Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di L’enigma della cattedrale sommersa di Fabrizio Santi. Il romanzo è pubblicato in Italia da Nerwton Compton, con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto).
L’enigma della cattedrale sommersa: trama del libro
È da dieci anni che Arturo non sale su un tram. L’ultima volta che lo ha fatto era un giovane attore di belle speranze e andava a incontrare una ragazza perfetta e misteriosa, con il nome di un’isola, quella leggendaria di Platone: Atlantide. Ma il destino cancella il loro appuntamento e, da lì in poi, niente andrà come doveva andare. Oggi Arturo è un quarantenne tormentato da mille paure. Mentre attorno tutto si muove, lui resta fermo, immobile, come un divano rimasto con la plastica addosso in quelle stanze in cui non si entra per paura di sporcare. Quando sale sul tram 14, che da Porta Maggiore scandisce piano tutta la Prenestina, ha un cappellino in testa per nascondere i pensieri scomodi e nella pancia il peso rumoroso dei rimpianti. E mentre i binari scorrono lenti, in una Roma che si risveglia dall’inverno, e la gente sale e scende, ognuno con la sua storia complicata appesa al braccio come una ventiquattrore, Arturo, che nella sua vita sbagliata ha sempre aspettato troppo, fa i conti con il passato, cercando il coraggio di prenotare la sua fermata. Perché nel posto in cui sta andando c’è forse l’ultima possibilità di ricominciare daccapo, e di prendersi quel futuro bello da cui lui è sempre scappato.
Approfondimenti sul libro
L’enigma della cattedrale sommersa è in vendita anche in formato eBook al prezzo di euro 2,99.
Il custode notturno si stiracchiò sulla sedia spalancando la bocca in un enorme sbadiglio. Sprofondò ancora di più con il busto sullo schienale e appoggiò le gambe incrociate sul tavolino di fronte. Accanto ai suoi piedi, sulla sinistra, c’era un piccolo televisore che stava trasmettendo una partita di un campionato di football sudamericano. Si grattò una guancia dalla barba ispida e diede un’occhiata svogliata ai monitor alla sua destra, che rimandavano le immagini di alcune sale del museo. Stava seguendo un’azione di attacco della squadra uruguayana quando, con la coda dell’occhio, gli parve d’intravedere una specie di macchia che attraversava uno dei monitor. Non si voltò e continuò a seguire la partita. Dopo qualche secondo gli sembrò di percepire lo stesso movimento. Rivolse pigramente lo sguardo verso gli schermi, stropicciandosi gli occhi. Niente. Stava per riprendere a seguire la partita quando scorse un’ombra passare sullo schermo n. 2. Sollevò allora i piedi dal tavolo e li poggiò a terra, poi si chinò con il busto per guardare meglio i quattro monitor. Per un momento non apparve nessuna immagine che non fosse quella delle opere esposte nelle sale. Poi, d’improvviso, qualcosa sembrò sfrecciare attraverso la sala dei vasi di porcellana cinese. Tommaso si avvicinò ulteriormente agli schermi e aggrottò la fronte. Questa volta l’ombra si profilò di nuovo sul fondo di un’altra sala e parve attardarsi di fronte all’entrata del settore degli strumenti musicali. Il custode cominciò a seguire la scena con crescente apprensione. L’ombra, che ora si muoveva lentamente, cominciò a definirsi come una sagoma umana. Era una figura di donna avvolta in un lungo mantello nero con il volto velato. Sembrava procedere al rallentatore e, piuttosto che camminare, pareva che scivolasse sul pavimento. Nell’inquadratura della telecamera n. 3 ora appariva una sorta di fantasma nero che si avvicinava a un organo positivo del Settecento. Si sedette di fronte alla tastiera e, con gesti quasi ieratici, maneggiò alcuni registri. Il custode, ipnotizzato e con la bocca aperta, seguiva sbalordito la scena. L’uomo vide la figura nera oscillare leggermente, poi comprese che quell’essere scuro aveva cominciato a suonare lo strumento, pur se a bassissimo volume. La stanza dei guardiani notturni era lontana dalla sala degli strumenti musicali e solo un suono più alto avrebbe potuto raggiungerla. Tommaso, inebetito, era paralizzato sulla sedia e quasi non udiva più la voce del telecronista che dal televisore urlava per la realizzazione del primo gol segnato dalla squadra di casa. Rimase ancora per un po’ immobile, con lo sguardo fisso sul monitor. Avrebbe potuto suonare l’allarme o precipitarsi, con la mano sulla fondina della pistola, verso il settore degli strumenti antichi. Si alzò, invece, dalla sedia come un automa, senza distogliere lo sguardo dalla scena. Poi, con grande lentezza, si voltò verso la porta e con passi misurati si avviò verso il corridoio esterno. Da qui si diresse verso la scala che portava ai piani superiori. Raggiuntala, salì al secondo piano.
Il silenzio era totale e solo qualche rada luce di cortesia consentiva di vedere i corridoi, le sale e i contorni di alcuni oggetti esposti. Percorse i primi metri del corridoio con il cuore che batteva all’impazzata. Entrato in una sala di dipinti del Seicento, accese una torcia elettrica e la puntò sul pavimento. Procedette attraverso alcuni settori sentendo crescere dentro di sé il terrore, a mano a mano che si avvicinava alla sala degli strumenti. Attorniato dal silenzio e dal buio si chiedeva come mai ancora non udisse il benché minimo suono. Quella constatazione, che avrebbe dovuto tranquillizzarlo un po’, non faceva invece che terrorizzarlo. Giunto dietro alla parete che lo separava adesso dalla sala dell’oscura presenza, si appiattì sul muro quasi trattenendo il fiato. Aveva spento la torcia e teneva una mano sul calcio della pistola. Dal vano adiacente non proveniva il benché minimo rumore. Con la massima circospezione si avvicinò all’uscio, cercando di sporgere il capo quel tanto che gli consentisse di guardare verso l’organo. Purtroppo l’antico strumento si trovava su una parete che non era di fronte all’uscio da cui stava cercando di affacciarsi. Si sporse ancor di più, voltando la testa verso destra, nella direzione dell’organo. Fece appello a tutto il coraggio rimastogli e con un impercettibile scatto varcò la soglia della stanza. Il silenzio e il vuoto erano totali. Il bellissimo organo dalle tinte verdi e avana e il triangolo delle canne sovrastanti si ergevano addossati al muro dove, poco più a destra, su un tavolo era poggiato un antico liuto. Anche nella semioscurità, tutta la sala appariva deserta. Accese di nuovo la torcia elettrica e ispezionò con il fascio di luce tutti gli angoli più reconditi. Niente. Aveva avuto un’allucinazione? No, non era possibile. Le immagini erano chiarissime. Una figura nera si era seduta dinanzi allo strumento e aveva iniziato a muovere le mani sulla tastiera. Il guardiano, sempre tremando, diede una rapida sbirciata alle sale adiacenti. Niente sembrava muoversi e non c’era nessuno, se non le ombre nere degli oggetti esposti, dietro ai quali non si sarebbe potuta celare alcuna presenza umana. D’improvviso si voltò, si guardò attorno. Poi, con passi spediti, ritornò verso la sua saletta di controllo. Appena entrato si abbandonò sulla poltroncina di fronte ai monitor. Respirò profondamente, si chinò in avanti, poggiò i gomiti sul tavolo e, tenendosi la fronte con una mano, fissò lo sguardo sugli schermi. Tutte le opere esposte, immobili, sembravano cristallizzate in un mondo iperuranio da cui non promanava né vita né movimento. Nessun’ombra, nessun riflesso turbava più quella quiete fredda e lunare.
Tommaso rimase così per il resto della notte, fino a quando non si avvide di una timida lama di luce che, profilandosi sul tavolo dove era appoggiato, gli annunciava che era spuntata l’alba.
Per la biografia e la bibliografia dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina del sito Newton Compton dedicata a Fabrizio Santi.
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