Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di L’estate fredda di Gianrico Carofiglio. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einiaudi con un prezzo di copertina di 18,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
L’estate fredda: trama del libro
Siamo nel 1992, tra maggio e luglio. A Bari, come altrove, sono giorni di fuoco, fra agguati, uccisioni, casi di lupara bianca. Quando arriva la notizia che un bambino, figlio di un capo clan, è stato rapito, il maresciallo Pietro Fenoglio capisce che il punto di non ritorno è stato raggiunto. Adesso potrebbe accadere qualsiasi cosa. Poi, inaspettatamente, il giovane boss che ha scatenato la guerra, e che tutti sospettano del sequestro, decide di collaborare con la giustizia. Nella lunga confessione davanti al magistrato, l’uomo ripercorre la propria avventura criminale in un racconto ipnotico animato da una forza viva e diabolica; da quella potenza letteraria che Gadda attribuiva alla lingua dei verbali. Ma le dichiarazioni del pentito non basteranno a far luce sulla scomparsa del bambino. Per scoprire la verità Fenoglio sarà costretto a inoltrarsi in quel territorio ambiguo dove è più difficile distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ambientato al tempo delle stragi di Palermo, “L’estate fredda” offre uno sguardo pauroso sulla natura umana, ma ci regala anche un protagonista di straordinaria, commovente dignità. E, alla fine, un inatteso bagliore di speranza.
Approfondimenti sul libro
In ebook L’estate fredda (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Fenoglio entrò nel Caffè Bohème con il giornale appena comprato nella tasca della giacca e andò a sedersi al tavolino accanto alla vetrata. Il posto gli piaceva perché il proprietario era un melomane e ogni giorno sceglieva una colonna sonora di romanze celebri e pezzi orchestrali. Quella mattina il sottofondo era l’Intermezzo della Cavalleria rusticana e Fenoglio si chiese se fosse solo casuale, visto quanto stava succedendo in città.
Il barista gli preparò il solito cappuccino con molto caffè e glielo portò insieme a un bocconotto con la crema e la marmellata di amarene.
Tutto era come sempre. La musica si diffondeva, discreta ma ben udibile da chi voleva ascoltarla. Gli avventori abituali entravano e uscivano. Lui mangiava il dolce, sorseggiava il cappuccino e sfogliava il giornale. Le pagine della cronaca si concentravano sulla guerra di mafia esplosa all’improvviso nei quartieri nord della città e sul fatto – spiacevolmente vero – che polizia, carabinieri e magistrati non capivano cosa stesse succedendo.
Stava leggendo un articolo in cui il direttore in persona spiegava agli investigatori, con ricchezza di utili consigli, come affrontare e risolvere il fenomeno. La lettura lo assorbiva e lo innervosiva in ugual misura, dunque si accorse del ragazzo con la siringa quando quello era già davanti alla cassiera e gridava.
– Damm’ tutt’ l’ trr’s’, pttan’, – «dammi tutti i soldi, puttana».
La donna rimase immobile, come paralizzata. Il ragazzo allora allungò la mano armata fin quasi a toccarle il viso. In un dialetto pressoché incomprensibile e con una voce roca e piuttosto impressionante le disse che aveva l’aids e le urlò di nuovo di dargli tutto quello che c’era in cassa. Lei si mosse lentamente, con gli occhi sbarrati dal terrore. Aprí il cassetto, cominciò a prendere i soldi mentre l’altro continuava a ripeterle di fare presto.
La mano di Fenoglio si chiuse sul polso del rapinatore proprio nel momento in cui la donna stava consegnando il denaro. Quello tentò di girarsi di scatto; Fenoglio fece un movimento quasi delicato – una mezza rotazione – torcendogli il braccio e portandoglielo dietro la schiena. Con l’altra mano lo prese per i capelli e gli tirò indietro la testa.
– Butta la siringa.
Quello fece un ringhio soffocato, cercando di divincolarsi. Fenoglio aumentò un poco la torsione del braccio, tirò un po’ piú forte la testa. – Sono un carabiniere –. La siringa cadde a terra con un rumore sommesso e secco.
La cassiera si mise a piangere. Gli altri avventori ripresero a muoversi, all’inizio piano, poi a velocità normale, come risvegliati da un incantesimo.
– Nicola, chiama il 112, – disse Fenoglio rivolgendosi al barista, dopo aver scartato l’ipotesi che la cassiera, al momento, fosse in grado di maneggiare un telefono.
– Mettiti in ginocchio, – disse poi al ragazzo. Dal tono gentile uno si sarebbe aspettato di sentirgli aggiungere: «Per piacere». Il ragazzo si inginocchiò, Fenoglio gli lasciò i capelli mentre continuava a tenergli il braccio, ma senza violenza, quasi fosse una formalità procedurale.
– Adesso distenditi faccia a terra e metti le mani intrecciate dietro la testa.
– Non mi date le mazzate, – disse quello.
– Non dire stupidaggini. Stenditi a terra, che non voglio stare cosí fino a quando arriva la macchina.
Il ragazzo fece un lungo sospiro, una specie di lamento per la sua sfortuna, poi obbedí. Si distese, appoggiò una guancia a terra e mise le mani dietro la nuca, con una rassegnazione quasi buffa.
Fuori intanto si era radunata una piccola folla. Alcuni clienti erano usciti e avevano raccontato quello che era successo. La gente pareva eccitata, come se fosse arrivato il momento della riscossa contro la criminalità dilagante. Qualcuno gridava. Due ragazzi entrarono nel bar e fecero per avvicinarsi al rapinatore.
– Dove andate? – chiese Fenoglio.
– Datecelo a noi, – disse il piú agitato, un magrolino con la faccia foruncolosa e gli occhiali.
– Volentieri. Che progetti avete? – disse Fenoglio.
– Gli facciamo passare la voglia, – disse l’altro, muovendo un passo in avanti.
– Siete mai stati in caserma da noi? – chiese loro Fenoglio, con un sorriso che sembrava amichevole.
L’altro rimase interdetto, non rispose subito. – No, perché?
– Perché vi ci faccio passare tutto il giorno, e magari anche la notte, se non sparite subito.
I due si guardarono, il brufoloso borbottò qualcosa per darsi un tono; l’altro si strinse nelle spalle e fece una smorfia di superiorità, anche lui per darsi un tono. Poi uscirono insieme dal bar. La piccola folla si disperse spontaneamente.
Qualche minuto dopo arrivarono le macchine del 112, due appuntati e un brigadiere in divisa entrarono nel bar e salutarono Fenoglio con un misto di ossequio e di inconsapevole diffidenza. Misero le manette al ragazzo e lo fecero rialzare in modo brusco, sollevandolo di peso.
– Vengo con voi, – disse Fenoglio dopo aver pagato alla cassiera il cappuccino e il bocconotto, incurante dei tentativi del barista Nicola di impedirglielo.
2.
– Io ti ho già visto da qualche parte, – disse Fenoglio, voltandosi verso il sedile posteriore e rivolgendosi al ragazzo che aveva appena arrestato.
– Stavo vicino al Petruzzelli, la sera, quando c’erano gli spettacoli. Facevo il posteggiatore. Mi avete visto là di sicuro.
Ecco, certo. Fino a qualche mese prima aveva fatto il posteggiatore abusivo vicino al Teatro Petruzzelli. Poi c’era stato l’incendio, il teatro era andato distrutto e lui aveva perso il lavoro. Disse proprio cosí: «Ho perso il lavoro», come se l’azienda per cui lavorava avesse chiuso o lo avesse licenziato. Allora si era messo a vendere le sigarette e a rubare qualche autoradio.
– Però non si prende quasi niente. I furti nelle case non sono capace e allora ho pensato che potevo fare le rapine con la siringa.
– Bravo, un’idea geniale. E quante ne hai fatte, di rapine?
– Nessuna, appuntato. Questo è il cazzo. Era la prima volta e ho trovato a voi, pensate che culo.
– Non è appuntato, è maresciallo, – lo corresse il carabiniere alla guida.
– Scusate, maresciallo. Senza divisa non lo potevo capire. Vi giuro che era la prima.
– Non ci credo, – disse Fenoglio. Però non era vero. Ci credeva, e il ragazzo gli faceva simpatia. Era buffo, parlava con un ritmo quasi comico, magari in un’altra vita avrebbe potuto fare l’attore o il cabarettista, invece del piccolo delinquente di strada.
– Ve lo giuro. E poi non sono tossicodipendente e non c’ho l’aids. Tutte puttanate. Io mi caco sotto degli aghi. Se dire le puttanate è un reato, allora mi devono dare l’ergastolo, perché ne dico assai. Però sono solo un coglione. Mettete una parola buona nel rapporto, scrivete che mi sono comportato bene.
– In effetti ti sei comportato bene.
– Pensate che la siringa era nuova, c’avevo solo messo un poco di tintura di iodio per fare credere che era il sangue e per fare paura.
– Parli un sacco, eh?
– Scusate, maresciallo. È che mi sto un poco cacando sotto, non sono mai andato in carcere.
A Fenoglio venne voglia di lasciarlo andare. Avrebbe voluto dire al carabiniere alla guida: fermati e passami le chiavi delle manette. Liberare il ragazzo – ancora non sapeva come si chiamava – e buttarlo fuori dalla macchina. Non gli era mai piaciuto arrestare la gente, e l’idea stessa della galera lo disturbava parecchio. Una cosa che non racconti troppo in giro, se di mestiere fai il maresciallo dei carabinieri. Naturalmente c’erano delle eccezioni, per certi reati, per certi personaggi. Come per il tizio che erano andati a prendere qualche mese prima e che per mesi aveva stuprato la nipotina di nove anni – la figlia di sua figlia.
Gli era costato trattenere i suoi dal dargli un’anticipazione di giustizia a schiaffi, pugni e calci. A volte i principî sono fastidiosi.
Ovvio che non poteva liberare il ragazzo, sarebbe stato un reato, anzi diversi reati insieme. Però simili assurdità gli passavano per la testa sempre piú spesso. Fece un gesto conclusivo con la mano, come a scacciare i pensieri molesti, quasi fossero entità svolazzanti davanti a lui.
– Come ti chiami?
– Albanese Francesco.
– E dici che non sei mai stato dentro?
– Mai, vi giuro.
– Si vede che sei stato bravo a non farti prendere.
Il ragazzo sorrise.
– Però non è che ho fatto niente di speciale. Ve l’ho detto, un poco di sigarette, un poco di macchine, di pezzi di ricambio.
– Poi vendi un po’ di fumo, no?
– Vabbe’, qualche pezzettino, che c’è di male? Non è che mo’ mi arrestate anche per queste cose che vi sto dicendo?
Il maresciallo si girò a guardare la strada, senza rispondere.
Arrivarono negli uffici del nucleo radiomobile e Fenoglio scrisse rapidamente il verbale di arresto. Disse a uno dei due brigadieri intervenuti sul posto di completare gli atti per la procura e per il carcere, e di avvertire il pubblico ministero. Poi si rivolse al ragazzo: – Adesso me ne vado. Ti portano dal giudice già stamattina. Quando parli con il tuo avvocato, digli che vuoi fare il patteggiamento. Avrai la pena sospesa e non dovrai nemmeno passare dal carcere.
Quello lo guardò con gli occhi di un cane grato al padrone che gli ha tolto una spina dalla zampa.
– Maresciallo, grazie. Se vi serve qualche cosa, io me la faccio tra Madonnella e il Petruzzelli, mi potete trovare al Bar del Marinaio. Qualsiasi cosa, a disposizione.
Il nuovo riferimento al Teatro Petruzzelli lo mise di malumore. Qualche mese prima qualcuno aveva incendiato il teatro e Fenoglio non riusciva a darsi pace. Come si poteva anche solo pensare un gesto del genere? Bruciare un teatro. E poi quella cosa assurda e quasi insopportabile – chissà se era un caso o se gli incendiari avevano voluto aggiungere una nota di macabra ironia? – di bruciarlo dopo una recita della Norma, cioè un’opera che finisce proprio con un rogo.
Il Petruzzelli era uno dei motivi per cui gli piaceva – gli era piaciuto? – stare a Bari.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Gianrico Carofiglio.
Lascia un commento