Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di L’età del dubbio di Andrea Camilleri, romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 8,99 ed è il quattordicesimo tra i volumi dedicati al commissario Montalbano.
L’età del dubbio: trama del libro
Nel corso di questo nuovo caso – “la più marina delle indagini di Montalbano” l’ha definita Camilleri – che si svolge tutto nel porto di Vigàta, tra yacht e cruiser, il lettore resterà colpito dal cambiamento che si è verificato nel commissario, come se Camilleri avesse voluto scavare più intensamente dentro i sentimenti del suo beniamino. Una mattina viene trovato nel porto di Vigàta un canotto, all’interno il cadavere sfigurato di un uomo. L’ha riportato a riva un’imbarcazione di lusso, 26 metri, abitata da una disinvolta cinquantenne e da un equipaggio con qualche ombra. Proprietaria e marinai devono trattenersi a Vigàta fino alla fine dell’inchiesta sul morto (ammazzato col veleno, stabilisce l’autopsia), ma intanto è proprio su di loro che Montalbano vuole indagare.
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Si susì, annò alla finestra, taliò fora. Era un timporali con tutte le carti in regola, celo uniformementi pittato di nìvuro, lampi agghiazzanti, cavalloni quattro metri d’altizza, che s’avvintavano scotenno la granni criniera bianca. La mariggiata si era mangiata la pilaja, l’acqua arrivava sutta alla verandina. Taliò il ralogio, erano appena le sei del matino.
Annò in cucina, si priparò il cafè e, aspittanno che passasse, s’assittò. A picca a picca gli assumò alla memoria il sogno che aviva fatto. Che grannissima camurria che gli era pigliata da qualichi anno! Pirchì gli era vinuta questa, d’arricordarisi di tutte le minchiate che sognava? Per quanto ne sapiva, non tutti, arrisbigliannosi, si portavano appresso la memoria dei sogni. Raprivano l’occhi e tutto quello che gli era capitato in sonno, piacevoli o spiacevoli, scompariva. Lui inveci, no. E il pejo era che si trattava di sogni problematici, che gli facivano nasciri dintra ’na gran quantità di dimanne alla maggior parti delle quali non sapiva dari risposta. E accussì finiva coll’essiri pigliato dal nirbùso.
La sira avanti si era annato a corcare di umori bono. Da ’na simanata in commissariato non capitava nenti d’importanti e lui aviva ’n menti di approfittarisinni per fari ’na sorpresa a Livia comparennole all’improviso davanti a Boccadasse. Astutò la luci, si stinnicchiò nella posizione del sonno e s’addrummiscì squasi subito. E immediato accomenzò a sognari.
«Catarè, stasera vado a Boccadasse» diciva trasenno in commissariato.
«Vengo anch’io!».
«No, tu no».
«Ma perché?».
«Perché no!».
A questo punto ’ntirviniva Fazio.
«Dottore, mi scusasse, ma taliasse che vossia non può andare a Boccadasse».
«Perché?».
Fazio pariva tanticchia restio.
«Ma dottore, se lo scordò?».
«Che cosa?».
«Che vossia è morto aieri matino alle 7 e un quarto pricise».
E tirava fora dalla sacchetta un pizzino.
«Vossia è Montalbano Salvo fu…».
«Lassa perdiri l’anagrafe! Davero morsi?! E come fu?».
«Ci vinni un colpo apoplettico».
«E indove?».
«Qua in commissariato».
«E quanno?».
«Mentri parlava al tilefono col signori e guistori» precisava Catarella.
Si vede che quel grannissimo cornuto di Bonetti-Alderighi l’aviva fatto arraggiare al punto tale da…
«Se vuole viniri a vedersi…» diciva Fazio. «La camera ardente è stata allestita nel suo ufficio».
Avivano fatto largo tra le muntagne di carte che c’erano supra alla scrivania e ci avivano posato la cascia aperta. Si taliò. Non aviva l’aspetto di un morto. Ma di subito si faciva persuaso che il catafero dintra alla cascia era il sò.
«Avete avvertito Livia?».
«Sì» diciva Mimì Augello, avvicinannoglisi.
Po’ l’abbrazzava forti e gli faciva, chiangenno:
«Condoglianze vivissime».
E ’na speci di coro arripitiva:
«Condoglianze vivissime».
Il coro era formato da Bonetti-Alderighi, dal sò capo di gabinetto, il dottor Lattes, da Jacomuzzi, dal preside Burgio, e da dù beccamorti.
«Grazie» diciva.
A questo punto si faciva avanti il dottor Pasquano.
«Come sono morto?» gli spiava.
Pasquano s’incazzava.
«Macari da morto mi deve scassare i cabasisi? Aspetti i risultati dell’autopsia!».
«Ma non mi può anticipare niente?».
«Parrebbe un colpo apoplettico fulminante, ma ci sono alcuni elementi che non mi persua…».
«Eh, no!» ’nterviniva il questore. «Il dottor Montalbano non può indagare sulla sua stessa morte!».
«Perché?».
«Non sarebbe corretto. Troppo coinvolto personalmente. E poi una cosa così non è prevista dal regolamento. Mi dispiace. L’indagine è affidata al nuovo capo della mobile!».
A questo punto gli viniva un pinsero e chiamava sparte a Mimì.
«Livia quanno arriva?».
Mimì pariva a disagio.
«Disse che…».
«Beh?».
Mimì si taliava la punta delle scarpi.
«Ha detto che non sa».
«Non sa che cosa?».
«Se fa a tempo a venire per il funerale».
Nisciva arraggiato dalla càmmara, annava in cortili, indove c’erano ’na quantità di corone mortuarie e il carro funebre pronto, tirava fora il cellulare.
«Pronto, Livia? Salvo sono».
«Ciao, come stai? Ah, scusa, non volevo…».
«Cos’è ’sta storia che non sai se fai a tempo a…».
«Salvo, senti. Se tu fossi vissuto, io avrei cercato in tutti i modi di continuare a stare con te. Forse ti avrei anche sposato. D’altra parte, alla mia età e dopo aver perso la vita dietro di te, che altro avrei potuto fare? Ma dato che mi si presenta all’improvviso quest’occasione unica, tu capisci bene che…».
Astutava il cellulare e tornava dintra. Attrovava che avivano già mittuto il coperchio alla cascia e che il corteo principiava a cataminarisi.
«Lei viene?» gli spiava Bonetti-Alderighi.
«Beh, sì» arrispunniva.
Ma appena arrivati nel cortile, uno dei portatori cadiva e la cascia annava a sbattiri ’n terra con un botto che l’arrisbigliò.
E non era arrinisciuto cchiù a ripigliare sonno, assugliato dalle dimanne. Ma una soprattutte lo martelliava. Che significava la frasi di Livia quanno diciva che voliva cogliere l’occasione? Significava semplicementi che la sò morti costituiva per Livia ’na speci di liberazioni. E allura la dimanna seguenti non potiva essiri che questa: quanta parti di virità c’è in un sogno? Nel caso spicifico, di virità ne abbastava e supirchiava ’na parti infinitesima.
Pirchì era vero che Livia di lui doviva averne piene non sulo le scatole, ma intere vagonate di containers. Ma era possibili che la sò cuscenzia si facissi viva sempri e sulamenti nel sogno, arrovinannogli le nuttate? Comunque, si disse, il fatto che Livia non aviva ’ntinzioni di scinniri per il sò funerali, con tutte le ragioni che potiva aviri, non era cosa, a pinsaricci bono, era propio ’na mala azioni.
Quanno niscì per mittirisi in machina e annare in commissariato, s’addunò che il mari era junto a mezzo metro dallo spiazzo davanti casa, mai l’aviva viduto arrivari accussì in profondità. La pilaja non c’era cchiù, era tutta ’na distisa d’acqua.
Ci misi un quarto d’ura bono e ’na para di centinara di biastemie prima che il motori dell’auto s’addecidisse a fari il doviri sò e questo naturalmenti non fici che peggiorare lo stato del sò sistema nirbùso, già ’ntaccato dalle condizioni fituse della jornata.
Doppo manco cinquanta metri dovitti fermarisi, c’era ’na coda che s’allungava a perdita d’occhio, o meglio, che era longa quanto pirmittiva di vidiri il vitro del parabrezza che i tergicristalli non arriniscivano a tiniri libbiri dall’acqua di celo.
La fila era tutta di machine che annavano verso Vigàta, nell’altra carreggiata ’nveci non si vidiva passari manco un motorino.
Doppo ’na decina di minuti addecisi di nesciri dalla fila, tornari narrè, arrivari al bivio di Montereale e da lì pigliare ’na strata cchiù longa ma che l’avrebbi comunque fatto arrivari a distinazioni.
Ma non si potì cataminare pirchì il muso della sò machina era ’mpiccicato al darrè dell’auto che aviva davanti e lo stisso aviva fatto la machina appresso alla sò.
Non c’erano santi, doviva ristarisinni lì. Era ’ncastrato, ’mbottigliato. E la cosa che cchiù l’arraggiava era che non arrinisciva a capiri che minchia era capitato.
Persa completamenti la pacienza doppo ancora un’altra vintina di minuti, raprì lo sportello e scinnì. In un vidiri e svidiri si sintì assammarari macari le mutanne. Si misi a corriri verso la testa della fila. E po’ si vinni a trovari sul loco dell’intoppo la cui scascione era subito evidenti: il mari si era portato via la strata. Completamenti. Le dù carreggiate erano spirute, al loro posto c’era uno sbalanco il cui funno non era terra, ma acqua giallastra e schiumosa. La prima machina della fila aviva il muso propio sull’orlo, ancora ’na trentina di centilimetri e po’ sarebbi caduta sutta. Il commissario però si fici immediato pirsuaso che quella prima machina era in piricolo pirchì la strata, sia pure con estrema lintizza, continuava a smottare. Entro ’na vintina di minuti quell’auto era distinata a essiri agliuttuta dallo sbalanco. Lo sdilluvio ’mpidiva di vidiri chi c’era dintra.
S’avvicinò, tuppiò al finistrino. Che doppo tanticchia vinni appena appena abbassato da ’na picciotta poco cchiù che trentina, con l’occhiali a funno di buttiglia, che ammostrava ’na facci veramenti scantata.
Era l’unica occupanti dell’auto.
«Lei deve scendere».
«Perché?».
«Guardi, temo che la sua macchina, se non arrivano subito i soccorsi, sarà tra poco inghiottita».
Lei fici la facci di ’na picciliddra che si sta mittenno a chiangiri.
«E dove vado?».
«Prenda quello che deve prendere e venga nella mia auto».
Quella lo taliò e non dissi nenti. Montalbano accapì che non si fidava di un omo scanosciuto.
«Senta, un commissario di polizia sono».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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