Everyman: la trama
Il destino dell'”Everyman” di Roth si delinea dal primo sconvolgente incontro con la morte sulle spiagge idilliache delle sue estati di bambino, attraverso le prove familiari e i successi professionali della vigorosa maturità, fino alla vecchiaia, straziata dall’osservazione del deterioramento patito dai suoi coetanei e funestata dai suoi stessi tormenti fisici. Pubblicitario di successo presso un’agenzia newyorkese, è padre di due figli di primo letto, che lo disprezzano, e di una figlia nata dal secondo matrimonio, che invece lo adora. È l’amatissimo fratello di un uomo buono la cui prestanza fisica giunge a suscitare la sua più aspra invidia, ed è l’ex marito di tre donne diversissime tra loro, con ciascuna delle quali ha mandato a monte un matrimonio. In definitiva, è un uomo che è diventato ciò che non vuole essere.
Nancy disse a tutti: – Posso iniziare dicendovi qualcosa di questo cimitero, perché ho scoperto che il nonno di mio padre, il mio bisnonno, non solo è sepolto nelle poche centinaia di metri quadrati del nucleo originario accanto alla mia bisnonna, ma fu anche uno dei suoi fondatori nel 1888. L’associazione che per prima finanziò ed eresse il cimitero era composta dalle società incaricate delle onoranze funebri delle organizzazioni caritatevoli e delle congregazioni ebraiche sparse nelle contee di Union ed Essex. Il mio bisnonno era il proprietario e il gestore di una pensione di Elizabeth che accoglieva soprattutto immigrati arrivati di fresco, e si preoccupava del loro benessere piú di quanto in genere facesse un possidente. Ecco perché fu tra i soci originari che acquistarono il campo che c’era qui e lo spianarono e lo disegnarono personalmente, ed ecco perché diventò il primo presidente del cimitero. Allora era un uomo relativamente giovane ma nel pieno vigore delle forze, e c’è solo il suo nome sui documenti nei quali si specifica che il cimitero era destinato ad «accogliere i soci defunti in armonia con le norme e i riti ebraici». Come appare fin troppo evidente, la manutenzione dei singoli lotti e del recinto e dei cancelli non è piú come dovrebbe essere. Le cose sono marcite e crollate, i cancelli sono arrugginiti, i lucchetti spariti, ci sono stati dei vandalismi. Ormai questo posto è diventato il retrobottega dell’aeroporto, e quello che sentite a qualche miglio di distanza è il rumore costante dell’autostrada, la New Jersey Turnpike. Naturalmente avevo pensato, prima, ai posti veramente belli dove mio padre poteva essere sepolto, i posti dove andava a nuotare con mia madre quando erano giovani, e le località costiere dove amava fare il bagno. Ma nonostante il fatto che guardarmi intorno e vedere il degrado che c’è qui mi spezza il cuore – come probabilmente spezza il vostro, e forse addirittura vi spinge a domandarvi perché ci siamo riuniti in un luogo cosí deturpato dal tempo – volevo che riposasse accanto alle persone che lo amavano e dalle quali è disceso. Mio padre amava i suoi genitori e deve stare vicino a loro. Non volevo che fosse solo, chissà dove –. Tacque un momento per ritrovare la padronanza di sé. Era una donna fra i trenta e i quarant’anni, dall’aria dolce, semplice e carina com’era stata la madre, e all’improvviso perse tutta la sua autorevolezza e il suo coraggio e finí per somigliare a una bambina di dieci anni schiacciata da quella situazione. Voltandosi verso la bara, prese una manciata di terra e, prima di lasciarla cadere sul coperchio, disse con leggerezza, sempre con quell’aria da bambina frastornata: – Be’, cosí vanno le cose. Non c’è piú niente da fare, papà –. Poi le venne in mente la stoica massima che lui ripeteva decenni addietro, e scoppiò in lacrime. – È impossibile rifare la realtà, – gli disse. – Devi prendere le cose come vengono. Tener duro e prendere le cose come vengono.
Il prossimo a gettare un pugno di terra sul coperchio della bara fu Howie, il fratello del defunto, che era stato oggetto della sua adorazione quando i due ragazzi erano piccoli e che in cambio lo aveva sempre trattato con dolcezza e grande affetto, insegnandogli pazientemente ad andare in bicicletta e a nuotare e a praticare tutti gli sport nei quali lo stesso Howie eccelleva. Aveva ancora l’aria di poter andare in meta con la palla, e aveva settantasette anni. Non era mai stato ricoverato all’ospedale per nessun motivo e, pur essendo dello stesso stampo, era rimasto trionfalmente sano per tutta la vita.
La sua voce era appannata dall’emozione quando sussurrò alla moglie: – Il mio fratellino. Non ha senso –. Poi anche lui si rivolse a tutti. – Vediamo se ce la faccio. Parliamo dunque di questa persona. Mio fratello… – Si interruppe per raccogliere le idee e tenere un discorso filato. Il suo modo di parlare e il simpatico tono di voce somigliavano a quelli del fratello, tanto che Phoebe cominciò a piangere e Nancy, in fretta, la prese a braccetto. – Negli ultimi anni, – disse, guardando verso la fossa, – ha avuto problemi di salute, e c’era anche la solitudine… Problema non minore. Ci parlavamo per telefono ogni volta che era possibile, anche se verso la fine della vita si era isolato da me per ragioni che non sono mai state chiare. Da quando era al liceo ha sempre avuto un bisogno irresistibile di dipingere, e dopo essere andato in pensione e aver lasciato il mondo della pubblicità, dove aveva avuto un considerevole successo prima come art director e poi quando fu promosso creative director…
Editore: Einaudi
Pagine: 123
Collana: Super ET
eBook: 6,99 euro
Philip Roth è uno dei maggiori scrittori contemporanei e uno dei più importanti romanzieri ebrei di lingua inglese in assoluto. Il suo romanzo più famoso è Pastorale Americana, per il quale Roth ha ricevuto il Premio Pulitzer nel 1998.
Altri libri
Il complotto contro l’America
Il teatro di Sabbath
La macchia umana
Lamento di Portnoy
Pastorale Americana
Quando lei era buona
Nemesi
Ho sposato un comunista
L’animale morente
La controvita
Inganno
L’umiliazione
La mia vita di uomo
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