Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Factotum di Charles Bukowski. Il volume è pubblicato in Italia da TEA con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Factotum: trama del libro
Avventuroso e osceno, divertito e disperato, sboccato e insieme lirico, Factotum, il romanzo che ha rivelato Charles Bukowski al pubblico italiano, è innanzitutto un romanzo on the road, che ha fatto di uno scrittore tedesco di nascita l’acclamato continuatore di un illustre filone tipicamente americano: la letteratura di vagabondaggio, la narrativa che corre dalla strada di Jack London alla strada di Jack Kerouac, con molte e significative soste tra l’una e l’altra. Henry Chinaski, alter ego dell’autore, è l’assoluto protagonista: un factotum, appunto, che attraversa l’America vivendo alla giornata, affidandosi all’improvvisazione e al caso, pronto a cogliere la prima occasione a portata di mano ma fedele a un destino che si trasforma quasi in uno stile di vita: i lavori cambiano ma sono sempre manuali; i rapporti con l’altro sesso sono intensi ma sfrontati, spesso brutali; la sbornia è un rito quotidiano; la miseria è la vera compagna di sempre. L’esistenza di ogni giorno, in Bukowski, è sgradevole, aspra; e lo è ossessivamente, in modo ripetitivo. E il realismo con cui egli la rappresenta è coerentemente un realismo «sporco», anzitutto a livello linguistico, là dove si gioca l’originalità di uno scrittore.
In ebook Factotum (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 5,99 euro.
Arrivai a New Orleans sotto una pioggia battente alle cinque del mattino. Mi fermai alla stazione degli autobus per un po’, ma la gente mi deprimeva, quindi presi la valigia e uscii sotto la pioggia e cominciai a camminare. Non sapevo dove fosse la zona delle stanze in affitto, dove fosse il quartiere dei poveri.
Avevo una valigia di cartone che si stava sfasciando. In origine era nera, ma il rivestimento si era staccato e si intravedeva il cartone giallo sotto. Avevo cercato di rimediare spalmando del lucido da scarpe nero sui pezzi di cartone giallo. Camminando nella pioggia il lucido da scarpe, senza che me ne accorgessi, era colato dalla valigia sui pantaloni tingendomeli con due strisce nere mentre mi passavo la valigia da una mano all’altra.
Be’, era una nuova città. Magari avrei avuto fortuna.
Smise di piovere e uscì il sole. Ero nel quartiere negro. Proseguii camminando lentamente.
«Ehi, poveraccio di un bianco!»
Appoggiai la valigia a terra. Una mulatta seduta sui gradini di un portico dondolava le gambe avanti e indietro. Davvero niente male.
«Ciao, poveraccio di un bianco!»
Non dissi nulla. Rimasi lì in piedi a guardarla.
«Hai voglia di un po’ di figa, poveraccio di un bianco?»
Mi rideva in faccia. Era scosciata con le gambe accavallate e scalciava i piedi; aveva tacchi alti, belle gambe e le dondolava ridendo. Raccolsi la valigia e cominciai ad avvicinarmi a lei. Mentre lo facevo vidi una tendina muoversi leggermente in una finestra sulla sinistra. Vidi la faccia di un negro. Assomigliava al pugile Jersey Joe Wolcott. Allora indietreggiai dal vialetto e tornai sul marciapiede. La risata della donna mi accompagnò lungo la strada.
2.
Stavo in una stanza al secondo piano di fronte a un bar. Il bar si chiamava The Gangplank Cafe. Dalla mia stanza riuscivo a vedere l’entrata e anche dentro il locale. C’erano delle facce dure in quel bar, facce interessanti. Di notte rimanevo nella mia stanza a bere vino e osservavo quelle facce mentre i miei soldi diminuivano. Di giorno facevo lunghe lente passeggiate. Mi fermavo ore e ore a fissare i piccioni. Mangiavo una sola volta al giorno per fare durare di più i soldi. Avevo trovato una tavola calda sporca con un proprietario sudicio, ma la colazione era abbondante – pancake, semolino, salsicce – per pochi centesimi.
3.
Un giorno uscii, come al solito, a fare quattro passi. Mi sentivo felice e rilassato. Il sole era perfetto. Mite. L’atmosfera tranquilla. Mentre mi avvicinavo al cuore dell’isolato ecco un tizio all’ingresso di un negozio. Gli passai di fianco.
«Ehi, AMICO!»
Mi fermai e mi girai.
«Vuoi un lavoro?»
Tornai da lui. Dietro quel tizio c’era una stanza ampia e buia. C’era un lungo tavolo con intorno uomini e donne in piedi. Impugnavano dei martelli con i quali rompevano delle cose che avevano davanti. Nell’oscurità potevano sembrare molluschi. Puzzavano come molluschi. Mi voltai e continuai a camminare lungo la strada.
Mi ricordai che mio padre tutte le sere quando tornava a casa parlava con mia madre del suo lavoro. La tiritera sul lavoro cominciava non appena apriva la porta, continuava a cena, e finiva in camera da letto da dove mio padre urlava: «Luci spente!» alle otto di sera, così poteva riposarsi a dovere e recuperare le forze per andare a lavorare il giorno dopo. Non c’era nessun altro discorso se non il lavoro.
All’angolo mi fermò un altro tizio.
«Senti, amico…» esordì.
«Sì?» chiesi.
«Senti, sono un veterano della Prima guerra mondiale. Ho rischiato la vita per questo paese, ma nessuno mi assume, nessuno mi dà un lavoro. Non apprezzano quello che ho fatto. Ho fame, aiutami…»
«Non lavoro.»
«Non lavori?»
«Proprio così.»
Mi allontanai. Attraversai la strada.
«Stai mentendo!» urlò. «Tu lavori. Tu ce l’hai un lavoro!»
Qualche giorno dopo cominciai a cercarne uno.
4.
L’uomo dietro alla scrivania aveva un apparecchio acustico e il cavo gli andava giù per la guancia fino alla camicia dove nascondeva la batteria. L’ufficio era buio e confortevole. Portava un abito marrone liso con una camicia bianca stropicciata e una cravatta sfilacciata sui bordi. Si chiamava Heathercliff.
Avevo visto l’annuncio sul giornale locale e il posto era vicino alla mia stanza.
Cercasi giovane ambizioso con un occhio proiettato al futuro. Esper. non richiesta. Impiego base Ufficio spedizioni possibilità di avanzamento.
Aspettai fuori con altri cinque o sei giovani che ce la mettevano tutta per sembrare ambiziosi. Avevamo riempito i moduli della domanda di lavoro e adesso stavamo aspettando. Fui l’ultimo a essere chiamato.
«Signor Chinaski, perché ha lasciato quelli delle ferrovie?»
«Be’, non vedevo un futuro nelle ferrovie.»
«Hanno ottimi sindacati, assistenza medica, pensione.»
«Alla mia età, la pensione può essere considerata superflua.»
«Perché è venuto a New Orleans?»
«Avevo troppi amici a Los Angeles, amici che sentivo interferire con la mia carriera. Volevo andare in un posto dove potevo concentrarmi indisturbato.»
«Come possiamo essere sicuri che rimarrà con noi per un bel po’ di tempo?»
«Potrei anche non farlo.»
«Perché?»
«Il vostro annuncio diceva che c’era un futuro per un uomo ambizioso. Se non ci sarà futuro allora me ne andrò.»
«Perché non si è fatto la barba? Ha perso una scommessa?»
«Non ancora.»
«Non ancora?»
«No; ho scommesso con il padrone di casa che riuscivo a trovarmi un lavoro in un giorno solo anche con la barba.»
«Va bene, le faremo sapere.»
«Non ho telefono.»
«D’accordo, signor Chinaski.»
Me ne andai e tornai alla mia stanza. Percorsi il corridoio sporco e feci un bagno caldo. Poi mi infilai di nuovo i vestiti e uscii a prendere una bottiglia di vino. Tornai in camera e mi sedetti alla finestra a bere e a guardare la gente nel bar, a guardare la gente passare. Bevevo lentamente e cominciai di nuovo a pensare di procurarmi una pistola e di farla finita alla svelta… senza troppi pensieri e troppe chiacchiere. Questione di fegato. Chissà come stava il mio fegato. Finii la bottiglia e andai a letto a dormire. Verso le quattro del pomeriggio mi svegliò qualcuno che bussava alla porta. Era un fattorino della Western Union. Aprii il telegramma:
SIGNOR H. CHINASKI. SI PRESENTI AL LAVORO ALLE 8.00 DOMANI. R.M. HEATHERCLIFF CO.
5.
Era una compagnia di distribuzione di riviste e noi eravamo al banco imballaggio e dovevamo controllare gli ordini per vedere se il numero di riviste corrispondeva alle fatture. Poi firmavamo la fattura e assemblavamo gli ordini per spedirli fuori città, oppure mettevamo da parte i giornali per la distribuzione locale con il furgone. Il lavoro era facile e noioso, ma gli impiegati erano in costante stato di agitazione. Erano preoccupati per il posto. Erano tutti giovani, sia uomini che donne, e sembrava non esserci un capo. Dopo diverse ore scoppiò una discussione tra due donne. Riguardava le riviste. Stavamo impacchettando dei fumetti e qualcosa era andato storto dall’altra parte del banco. Le due donne diventavano sempre più violente man mano che la discussione continuava.
«Sentite» dissi, «questa roba non vale neanche la pena di leggerla e tantomeno di litigarci su.»
«Bene» disse una delle donne, «sappiamo che ti credi troppo in gamba per questo lavoro.»
«Troppo in gamba?»
«Sì, è per il tuo atteggiamento. Credi che non ce ne siamo accorte?»
Fu in quel momento che imparai che svolgere il tuo lavoro non era abbastanza, dovevi anche mostrare interesse, persino passione.
Lavorai lì tre o quattro giorni, poi al venerdì ci pagarono precisi fino all’ultimo minuto. Ci diedero delle buste gialle con biglietti verdi e monete contate. Soldi sonanti, niente assegni.
Verso la fine della giornata arrivò un po’ in anticipo quello che guidava il furgone. Si sedette su una pila di riviste a fumare una sigaretta.
«Ehi, Harry» disse a uno degli impiegati, «oggi mi hanno dato l’aumento. Un aumento di due dollari.»
Alla chiusura mentre tornavo a casa mi fermai per prendermi una bottiglia di vino, salii in camera, bevvi un bicchiere e poi tornai giù e telefonai alla ditta. Il telefono squillò a lungo. Finalmente rispose il signor Heathercliff. Era ancora lì.
«Signor Heathercliff?»
«Sì?»
«Sono Chinaski.»
«Sì, signor Chinaski?»
«Voglio due dollari di aumento.»
«Cosa?»
«Proprio così. L’autista ha avuto un aumento.»
«Ma è con noi da due anni.»
«Ho bisogno di un aumento.»
«Le diamo diciassette dollari a settimana e lei ne chiede diciannove?»
«Sì, è così. Me li da o no?»
«Non possiamo proprio farlo.»
«Allora mi licenzio.» Riagganciai.
6.
Lunedì doposbronza. Mi ero fatto la barba ed ero andato a un colloquio di lavoro visto su un annuncio. Ero seduto di fronte al redattore, un tizio in camicia con due borse profonde sotto gli occhi. Sembrava che non dormisse da una settimana. Era fresco e buio lì dentro. Era la sala composizione di uno dei due giornali locali della città, quello più piccolo. C’erano alcuni uomini seduti dietro a scrivanie con le lampade che lavoravano ai testi.
«Dodici dollari a settimana» disse lui.
«Va bene» dissi, «accetto.»
Lavoravo con un tizio basso grassoccio con la pancia dall’aria malaticcia. Aveva un orologio da taschino vecchio stile con una catena d’oro, un camice e una visiera verde, labbra carnose e un’espressione intensa e cupa sul volto. Le rughe sulla faccia erano senza carattere e per niente interessanti; sembrava gli avessero piegato e ripiegato la faccia per poi spianarla, come fosse un pezzo di cartone. Aveva scarpe quadrate e masticava tabacco, che poi scaracchiava in una sputacchiera ai suoi piedi.
«Il signor Belger» disse dell’uomo che aveva bisogno di farsi una bella dormita «ha lavorato duramente per rimettere in sesto questo giornale. È un brav’uomo. Eravamo quasi in bancarotta quando è arrivato da noi.»
Mi guardava. «Di solito questo lavoro si dà a uno studente universitario.»
È una rana, pensai, ecco cos’è.
«Intendo» disse «che di solito è un lavoretto che affidiamo a uno studente. Così può studiare i suoi libri mentre aspetta che lo chiamiamo. Lei è uno studente?»
«No.»
«Di solito è un lavoro che fa uno studente.»
Tornai alla mia postazione e mi sedetti. C’erano file e file di cassetti di metallo e dentro c’erano le matrici di zinco incise che erano state utilizzate per gli annunci. Parecchie venivano adoperate di continuo. C’erano anche molti caratteri diversi – nomi di clienti e marchi. Il grassoccio urlava «Chinaski!» e io andavo a vedere quale annuncio o che tipo di carattere voleva. Molte volte mi spedivano dal giornale concorrente per farmi prestare alcuni dei loro caratteri. E loro si facevano prestare i nostri. Era una bella passeggiata e avevo scovato un baretto in un vicolo nascosto dove mi davano un bicchiere di birra per cinque centesimi. Non c’erano poi tante richieste dal grassoccio e il posto della birra a cinque centesimi era diventato il mio rifugio. Cominciai a mancare al grassoccio. All’inizio si limitava a guardarmi male. Poi un bel giorno mi chiese:
«Dove è stato?»
«Fuori a bermi una birra.»
«Questo lavoro è adatto a uno studente.»
«Non sono uno studente.»
«Devo lasciarla a casa. Mi serve qualcuno che stia qui sempre a disposizione.»
Il grassoccio mi portò da Belger, che sembrava più stanco che mai. «Questo lavoro è per uno studente, signor Belger. Temo che questo signore non sia adatto. Ci serve uno studente.»
«D’accordo» disse Belger. Il grassoccio uscì con passo felpato.
«Quanto le dobbiamo?» chiese Belger.
«Cinque giorni.»
«Okay, porti questo giù in contabilità.»
«Ascolti, Belger, quel vecchio scorreggione è rivoltante.»
Belger sospirò. «Cristo santo, vuole che non lo sappia?»
Scesi in contabilità.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla nostra pagina dedicata a Charles Bukowski.
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