Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Fango di Niccolò Ammaniti, raccolta di racconti edita in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Fango: trama / descrizione
Dall’Apocalissi festosa de “L’ultimo capodanno dell’umanità” alle peripezie del picciotto Albertino protagonista di “Fango”, i racconti di Niccolò Ammaniti mettono in scena i nuovi eroi di un’umanità borderline e metropolitana, capace di passare con leggerezza da una modesta aspirazione a un efferato delitto. Sono racconti che mescolano tutti i generi, dall’horror alla commedia all’italiana, trovando infine in una grottesca vena comica il vero elemento comune. Storie nelle quali una minuziosa osservazione della realtà si fonde con una scatenata fantasia, per cui anche la morte si trasforma in uno scintillante spettacolo.
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Cristiano Carucci aveva in testa tre possibilità per sfangare quella maledettissima notte.
Uno.
Andare con gli altri della comitiva al centro sociale Argonauta. In programma quella sera c’era la megaspinellata di capodanno e il concerto degli Animal Death. Ma quel gruppo gli stava profondamente sulle palle. Dei fottuti integralisti vegetariani. Il loro gioco preferito era tirare braciole crude e bistecche grondanti sangue sulla platea. L’ultima volta che era andato a un loro concerto era tornato a casa tutto inzaccherato di sangue. E poi facevano uno schifo di rock anconetano…
Due.
Chiamare Ossadipesce, prendere la 126 e andare a vedere che si diceva in centro. Casomai imbucarsi a una festa. Sicuramente a mezzanotte si sarebbero fermati da qualche parte, nel panico del traffico, ubriachi lessi e avrebbero brindato all’anno nuovo in mezzo a un mare di stronzi sovreccitati che suonavano i clacson.
Oddio che tristezza!
Si rigirò nel letto. Prese dal comodino il pacchetto di Diana blu e se ne accese una.
Non sarebbe stato male se ci fossero state Esmeralda e Paola. Ma quelle due se ne erano andate a Terracina. Senza dire niente. Roba di uomini sicuramente. Avrebbe potuto fare un po’ di sesso se ci fossero state. Quando Paola si prendeva una delle sue famose pezze alcoliche finiva per dargliela.
Scopi a capodanno scopi tutto l’anno.
Tre.
Fottersene. Fottersene di tutto. Di qualsiasi cosa. Tranquillo. Un Buddha. Rimanersene chiuso in camera. Barricato nel bunker. Piazzare su un disco e fare come se quella non fosse una notte speciale ma una qualsiasi di un giorno qualsiasi.
Non male, si disse.
Unico problema.
Sua madre stava in cucina dalle cinque di mattina a preparare il fottuto cenone di San Silvestro.
Ma chi glielo fa fare?, si domandò senza trovare risposta.
Aveva organizzato un cenone esagerato per Mario Cinque, il portiere della palazzina Ponza, e la sua famiglia (tre bambini + moglie logorroica + suocera parkinsoniana), per Giovanni Trecase, il giardiniere del comprensorio, la moglie e Pasquale Cerquetti, il guardiano, e sua sorella Mariarosaria di ventiquattro anni (grandissimo cesso!) Mancava solo Stefano Riccardi che quella sera era di turno in guardiola. Aveva invitato tutti quelli che lavoravano nel comprensorio.
No, non lo aveva detto a Salvatore Truffarelli, quello che faceva la manutenzione della piscina condominiale. Ci aveva litigato.
È incredibile mia madre!… Se li ciuccia tutti anche a capodanno.
La signora Carucci era la portiera della palazzina Capri.
Tutti insieme appassionatamente, stipati in quello scantinato in cui vivevano come sorci. A sfondarsi di cibo. A spaccarsi il fegato di fritto.
Si alzò dal letto stiracchiandosi. Sbadigliò. Si guardò allo specchio.
Aveva una faccia veramente di schifo. Gli occhi rossi, la forfora, la barba non fatta da due giorni. Tirò fuori la lingua. Sembrava un calzino da tennis. Pensò a tutto quello che avrebbe dovuto fare per tirarsi fuori da lí.
Lavarsi, radersi, vestirsi e soprattutto passare per la cucina e salutare tutti.
Impresa titanica.
No… Non esiste proprio.
Vai con l’opzione tre!
Chiuse la porta a chiave. E cominciò ad annusare l’aria come un bracco italiano.
Si era insinuato nella stanza un odore forte, grasso.
Che sta preparando? Broccoli? Fagioli?
Cos’era quella puzza micidiale?
No, è che mia madre fa la spesa al Verano.
Accese lo stereo. I Nirvana. Sentiva qualcosa di vagamente eroico nel suo modo di agire, forse qualcosa addirittura di ascetico, nel suo disprezzo per il mondo e per il divertimento a tutti i costi.
Ce la puoi fare fottuto monaco buddhista che non sei altro!
E si rituffò a pesce nel letto.
2. THIERRY MARCHAND
Thierry Marchand finalmente riuscí a trovare un posto per il suo pulmino Volkswagen. Faceva strano vedere quel vecchio scassone con il segno anarchico dipinto su una fiancata in mezzo a Mercedes 7000, a Saab 9000 e ad altre lussuose ammiraglie.
Aveva passato due ore nel traffico immobile della Cassia rischiando che il motore si fondesse. Si era guadagnato metro su metro di strada imprecando contro i romani.
La cosa che lo disgustava di piú era che quei pazzi, stipati dentro le loro macchine, sembravano contenti e felici. Ridevano. Strombazzavano.
E tutto questo perché è capodanno. Pazzesco! Terzo mondo.
Tra le gambe stringeva una bottiglia di vodka Kasatskij, prodotta e imbottigliata ad Ariccia, un paesino sui Castelli, vicino Roma. Seimila a bottiglia. Se ne ingollò un sorso e ruttò. Poi tirò fuori dalla tasca della camicia jeans stinta un foglietto stropicciato. Lo aprí.
«Discoteca il Lupo Mannaro, via Cassia 1041», c’era scritto sopra.
Eccolo là.
Proprio davanti al muso del pulmino. Una grossa balera con un’insegna intermittente. Davanti alle porte una fila di gente vestita elegante. Uomini in blu, alcuni addirittura in smoking, donne in abiti lunghi, tutte con delle orrende pellicce addosso. I buttafuori, con i piumini arancioni, davanti all’ingresso.
Sulla destra della discoteca, a meno di cinquanta metri, vide, oltre un distributore Agip, un cancello con un passaggio a livello.
Entravano e uscivano un sacco di macchine.
Cos’è?
Strizzò gli occhi.
Sul muro vide una grossa targa di ottone. «Comprensorio delle Isole», diceva. A sinistra del cancello una guardiola e a destra un albero di Natale pieno di palle illuminate. Oltre il muro di cinta e le fronde dei pini intravide due palazzine anni Settanta. Tetti di tegole marrone. Antenne paraboliche. Mattoncini. Balconi pieni di piante congelate dall’inverno. Mansarde. Grandi vetrate illuminate.
Un posto per signori!
Thierry aprí lo sportello e scese dal pulmino.
Faceva un freddo cane. Tirava un vento che tagliava le orecchie. Il cielo coperto di grosse e scure nuvole.
E botti. Piccole esplosioni. Timide traiettorie balistiche prima del grande carosello di mezzanotte.
Ah già, i botti. Giusto, a capodanno si sparano anche i botti…
Thierry si accese una Gitane senza filtro, aprí lo sportello laterale del pulmino e tirò fuori Régine. La sua arpa celtica. Era avvolta in uno spesso panno blu. La prese tra le braccia, chiuse con una pedata lo sportello e si avviò verso l’ingresso del Lupo Mannaro passando al lato del boa elegante e immobile fermo davanti al locale.
Quella roba di cattiva qualità che si era buttato giú gli bruciava le budella e gli faceva sentire le gambe molli come tentacoli di polpo.
Cazzo, sono già sbronzo!, si disse clinico.
I due buttafuori che controllavano gli inviti lo videro arrivare. Ondeggiava a destra e a sinistra. Con quel coso stretto tra le braccia.
Chi era quel tipo strano?
Con quei baffoni gialli e unti. Quegli occhi da triglia bollita. E quei capelli… Biondi, lunghi, sporchi.
Un vecchio vichingo alla frutta? Un fricchettone tedesco destinato all’estinzione?
– Che vuoi? – gli chiese in cagnesco un ragazzone dalla fronte bassa che sembrava scoppiare dentro la giacca di cammello pettinato e la camicia a rigoni strizzata intorno al collo taurino.
– Chi?! Io?
– Sí, tu.
– Devo suonare.
– E che c’è là dentro?
– Régine. La mia arpa.
Thierry tirò dritto, verso la porta, incurante del buttafuori, Régine pesava l’ira di Dio, ma una manona lo bloccò.
Gli invitati paganti lo guardavano con occhi bovini.
– Aspetta! Aspetta un attimo… Dove vai?! Tranquillo!
Il ragazzone afferrò il citofono e incominciò a parlarci dentro. Abbassò.
– Va bene! Puoi andare. L’unica cosa è che cosí non va. Ti sei visto? Qui la gente paga. Cosí non va proprio! – scuoteva la testa con disappunto, il giovanotto.
Thierry incominciava a innervosirsi.
– Cosí come? – sbuffò.
– Vestito in quel modo.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore romano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Niccolò Ammaniti.
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