Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La felicità familiare di Lev Tolstoj. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Garzanti con un prezzo di copertina di 8,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook a meno di tre euro.
La felicità familiare: trama del libro
La storia riguarda l’amore e il matrimonio tra una giovane donna diciassettenne, Mashechka, e Sergey Mikhaylych, un uomo trentaseienne, un vecchio conoscente ed amico di famiglia. Dopo il fidanzamento alquanto combattuto, i due si sposano per trasferirsi subito dopo nella casa di lui. Lungo il corso della vicenda la ragazza scopre che la vita coniugale e i propri sentimenti nei confronti del marito risultano essere in verità molto più complessi di quanto immaginasse in principio e che hanno ben poco a che fare con le ingenue nozioni di “vita matrimoniale” che le erano state insegnate quand’era ancora solamente una bambina.
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Katja era una vecchia amica di casa, la governante che ci aveva allevate con amore e che io ricordavo ed amavo fin da quando ricordavo me stessa. Sonja era la mia sorella minore. Trascorremmo un inverno tetro e triste nella nostra vecchia casa di Pokrovskoe. Il tempo era freddo, ventoso, tanto che i cumuli di neve salivano più su delle finestre; i vetri delle finestre erano quasi sempre incrostati di gelo e opachi, e quasi per tutto l’inverno non si andò in nessun luogo, né a piedi né in slitta. Era raro che qualcuno venisse da noi, e chi veniva non aggiungeva allegria né gioia alla nostra casa. Tutti avevano facce tristi, parlavano piano, come temessero di svegliare qualcuno, non ridevano, sospiravano e spesso piangevano guardando me e specialmente la piccola Sonja nel suo vestitino nero. Era come se nella casa si sentisse ancora la presenza della morte; la tristezza e l’orrore della morte stavano nell’aria. La camera di mammina era chiusa, ed io rabbrividivo di paura e non so che cosa mi spingeva a gettarvi un’occhiata quando passavo davanti a quella camera fredda e vuota per andare a dormire.
Ero allora sui diciassette anni, e proprio nell’anno in cui morì, mammina voleva trasferirsi in città per introdurmi nel gran mondo. La perdita della mamma era stata per me un gran dolore, ma devo confessare che al di là di questo dolore sentivo pure che ero giovane, bella, come tutti mi dicevano, e che, ecco, sciupavo già il secondo inverno inutilmente nella solitudine, in campagna. Verso la fine dell’inverno, questo senso di angoscia della solitudine, e semplicemente di noia, si accrebbe a tal segno che non uscivo dalla camera, non aprivo il pianoforte, non prendevo un libro in mano. Quando Katja mi esortava ad occuparmi di una cosa o dell’altra, rispondevo:
«Non ho voglia, non posso» e dentro, una voce mi diceva: «A che scopo? Perché fare qualche cosa quando così inutilmente si perde il mio tempo migliore? A che scopo?». E questo «a che scopo» non aveva altra risposta che le lacrime.
Mi dicevano che ero dimagrita e imbruttita in quel tempo, ma nemmeno questo mi dava pensiero. A che scopo? Per chi? Mi pareva che tutta la mia vita dovesse trascorrere così, in quel luogo deserto e solitario, in quell’angoscia impotente da cui non avevo da sola la forza e nemmeno il desiderio di uscire. Katja, verso la fine dell’inverno, cominciò a temere per me e decise che a ogni costo mi avrebbe condotta all’estero. Ma per ciò occorreva del danaro; e noi quasi non sapevamo che cosa ci fosse rimasto dopo la morte di nostra madre, e di giorno in giorno aspettavamo il tutore, che doveva giungere per sbrogliare i nostri affari.
Nel mese di marzo arrivò il tutore.
«Ebbene, sia lodato Iddio!» mi disse un giorno Katja mentre io, come un’ombra, senza un’occupazione, senza un pensiero, senza un desiderio, vagavo da un angolo all’altro. «Sergej Michajlovič è giunto, ha mandato a domandare nuove di noi, ha espresso l’intenzione di venire a pranzo. Tu, riscuotiti, mia Mašečka» ella aggiunse, «altrimenti, che cosa penserà di te! Egli voleva tanto bene a voi tutte.»
Sergej Michajlovič era proprietario d’una tenuta vicina alta nostra, e amico del nostro povero babbo, benché fosse assai più giovane di lui. Oltre a ciò che il suo arrivo modificava i nostri piani e ci dava la possibilità di lasciare la campagna, ero abituata fin dall’infanzia ad avere stima e affezione per lui, e Katja, consigliandomi di scuotermi, aveva indovinato che, fra tutti i nostri conoscenti, era specialmente davanti a Sergej Michajlovič che mi sarebbe spiaciuto di apparire in una luce sfavorevole. Per di più, tutti in casa, cominciando da Katja e da Sonja, sua figlioccia, fino all’ultimo cocchiere, gli volevano bene per abitudine; ma per me egli aveva uno speciale significato a cagione di una parola detta in mia presenza da mammina. Essa aveva detto che avrebbe desiderato un marito come quello per me. Allora questo mi era sembrato sorprendente e persino sgradevole; il mio eroe era del tutto diverso! Il mio eroe era esile, magrolino, pallido e triste. Sergej Michajlovič invece non era più giovane, era alto, atticciato, e, come mi sembrava, sempre allegro; ma, ciò nonostante, quelle parole di mammina si erano impresse nella mia immaginazione, e ancora sei anni prima, quando io ne avevo undici ed egli mi dava del tu, giocava con me e mi chiamava fanciulla-mammola, mi domandavo qualche volta, non senza apprensione, che cosa avrei fatto se, all’improvviso, avesse voluto sposarmi.
Egli, tenendo Katja per mano, parlava forte e sorrideva. Vedendomi, s’interruppe, e, per qualche momento, mi guardò senza salutarmi. Provai un senso d’impaccio e sentii che arrossivo.
«Ah, ma siete proprio voi?» disse con la sua maniera risoluta e semplice, allargando le braccia e avvicinandosi a me. «È forse possibile cambiare così? Come siete cresciuta! Guardate un po’ la mammola! Un cespo di rose sete diventata.»
Con la sua grande mano egli prese la mia e mi diede una stretta così onesta e così forte che quasi mi fece male. Credevo che mi avrebbe baciata la mano e mi ero quasi inclinata verso di lui, ma egli me la strinse ancora una volta e mi guardò fisso negli occhi col suo sguardo fermo e allegro.
Non lo vedevo da sei anni. Si era molto cambiato: era invecchiato, scurito, aveva lasciato crescere le basette che non gli stavano affatto bene; ma aveva le stesse maniere semplici, la stessa faccia aperta, onesta, coi lineamenti forti, gli occhi intelligenti e brillanti e il sorriso carezzevole e come puerile.
In cinque minuti egli cessò di essere un ospite e diventò una persona di famiglia per tutti noi e persino per i domestici che, come si vedeva dalle loro premure, si rallegravano particolarmente del suo arrivo.
Egli non si comportava affatto come i nostri vicini, che venivano dopo la morte di mia madre e stimavano necessario tacere e piangere quando erano da noi; al contrario, era loquace, giocondo, e non faceva parola della mammina, tanto che da principio quella indifferenza mi sembrò strana e persino sconveniente da parte di una persona così prossima. Ma in seguito compresi che quella non era indifferenza, ma sincerità, e gliene fui riconoscente. Alla sera, Katja sedette a versare il tè al suo posto consueto nel salotto, come faceva quando mammina era viva; io e Sonja sedevamo presso di lei, il vecchio Grigorij portò a Sergej Michajlovič una pipa, che aveva trovata, del povero babbo, e lui, come nel tempo andato, cominciò a passeggiare avanti e indietro per la stanza.
«Quanti terribili mutamenti in questa casa, se ci pensi!» diss’egli fermandosi.
«Sì» rispose Katja con un sospiro, e, coprendo il samovar col suo coperchietto, lo guardò, già pronta a scoppiare in lagrime.
«Voi, credo, vi ricordate di vostro padre!» domandò, volgendosi a me.
«Poco» dissi.
«E come vi trovereste bene ora con lui!» aggiunse con voce piana e pensosa, guardando la mia testa, al di sopra dei miei occhi. «Io amavo molto vostro padre» disse con voce ancor più sommessa, e mi sembrò che i suoi occhi fossero più lucenti.
«E Dio ha preso anche lei!» fece Katja, e subito dopo posò il tovagliolo sulla teiera, cavò il fazzoletto e si mise a piangere.
«Sì, terribili mutamenti sono avvenuti in questa casa» ripeté lui, poi che si fu voltato. «Sonja, mostrami i giocattoli!» esclamò dopo qualche tempo, e passò nella sala. Quando egli fu uscito, guardai Katja con gli occhi pieni di lagrime.
«È un così eccellente amico!» ella disse.
E infatti io mi sentivo nell’anima come un tepore e un benessere cagionati dalla simpatia di quell’uomo estraneo e buono.
Dal salotto giungevano gli strilli di Sonja e il rumore che facevano giocando. Gli feci portare un bicchiere di tè, poi udii che sedeva al pianoforte e con le manine di Sonja batteva sulla tastiera.
«Mar’ja Aleksandrovna!» risuonò la sua voce. «Venite qui; suonate qualche cosa.»
Ebbi piacere che egli si rivolgesse a me in un tono così semplice e amichevolmente imperioso; mi alzai e mi avvicinai a lui.
«Ecco, suonate questo» diss’egli aprendo un quaderno di Beethoven, all’adagio della sonata Quasi una fantasia. «Sentiamo come lo eseguite» soggiunse, e si ritrasse col suo bicchiere in un angolo della sala.
Non so perché, sentii che con lui non potevo ricusarmi o fare il solito preambolo, dicendo che suonavo male. Sedetti ubbidiente davanti al pianoforte e cominciai a suonare come ero capace, sebbene temessi il suo giudizio: sapevo che egli comprendeva ed amava la musica.
L’adagio era nel tono di quel sentimento delle memorie che la conversazione aveva suscitato mentre si beveva il tè; io suonai, sembra, discretamente. Ma egli non mi permise di eseguire lo scherzo. «No, voi non lo suonate a modo» disse avvicinandosi a me, «lasciate, il primo pezzo andava abbastanza bene. Voi, sembra, comprendete la musica.» Questa lode misurata mi rallegrò talmente, che persino arrossii. Era per me una cosa così nuova e così piacevole che egli, l’amico e l’uguale di mio padre, parlasse seriamente con me da solo a sola, e non più come a una bambina, come faceva una volta. Katja salì al piano superiore per mettere a letto Sonja, e noi due rimanemmo nella sala.
Sergej Michajlovič mi narrava di mio padre, del come aveva stretto amicizia con lui, come avevano vissuto allegramente in un tempo lontano, quando io ancora me ne stavo fra libri e balocchi; e il padre mio, nei suoi racconti, mi appariva per la prima volta come un uomo semplice e caro quale io non avevo conosciuto sino allora. Egli mi andava interrogando pure su quel che mi piaceva…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore russo rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Lev Tolstoj.
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