Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La figlia della fortuna di Isabel Allende. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La figlia della fortuna: trama del libro
Cile, 1832: Eliza viene abbandonata ancora neonata sulla soglia di casa dei fratelli inglesi Jeremy, John e Rose Sommers, che si sono trasferiti a Valparaíso. L’eccentrica Rose insiste perché la piccola cilena venga adottata ed entri a far parte della famiglia. Eliza vive tra due mondi: le viene impartita un’educazione rigidamente anglosassone, nella speranza di un futuro sereno coronato da un buon matrimonio, e al contempo le vengono fatte conoscere dalla cuoca di casa, Mama Freisa, la vitalità, la magia e la carnalità del suo popolo. Si innamora perdutamente di un giovane idealista che lavora per Jeremy, Joaquín Andieta, il quale però nel 1849, alla notizia che in California sono stati scoperti favolosi giacimenti d’oro, decide di salpare in cerca di fortuna. Eliza si mette sulle sue tracce e, assieme al medico cinese Tao Chi’en, si imbarca alla volta di San Francisco. Passa così da un’America all’altra, dove andrà alla ricerca dell’amato, tra dolore, sofferenza, speranza, fra avventurieri e banditi assetati di giustizia, sfidando sogni e sentimenti.
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“È impossibile che te ne ricordi, Eliza. I neonati sono come i gatti, non hanno né sentimenti né memoria,” sosteneva Miss Rose nelle rare occasioni in cui toccavano quest’argomento.
Tuttavia quella donna che la guardava dall’alto, con un vestito color topazio e uno chignon da cui sfuggivano le ciocche arruffate dal vento, era impressa nella sua memoria, ed Eliza non riuscì mai ad accettare altra spiegazione sulla sua origine.
“Il tuo sangue è inglese, come il nostro,” le assicurò Miss Rose quando raggiunse un’età sufficiente per comprendere. “Solamente a qualche membro della colonia britannica poteva venire in mente di metterti in una cesta davanti alla porta della Compagnia Britannica d’Importazione ed Esportazione. Sicuramente sapeva del buon cuore di mio fratello Jeremy e immaginò che ti avrebbe accolta. A quei tempi ero disposta a tutto pur di avere un bambino e tu mi piovesti tra le braccia, mandata dal Signore, per essere educata nei solidi principi della fede protestante e della lingua inglese.”
“Tu inglese? Bimba mia, non farti illusioni, hai i capelli da india, come me,” ribatteva Mama Fresia alle spalle della padrona.
La nascita di Eliza era un argomento tabù in quella casa e la bambina si abituò al mistero. Di questa, come di altre delicate questioni, non faceva parola con Rose e Jeremy Sommers, ma ne discuteva a bassa voce in cucina con Mama Fresia, che non modificò mai la descrizione della scatola di sapone, mentre con gli anni la versione di Miss Rose si arricchì fino ad assomigliare a una fiaba. A suo dire, la cesta rinvenuta nell’ufficio era fabbricata col vimine più fine e foderata di batista, il carnicino di Eliza era ricamato a nido d’ape, le lenzuola erano bordate con pizzi di Bruxelles e, come se non bastasse, la neonata era protetta da una copertina di visone, stramberia mai vista in Cile. Con il tempo vennero aggiunte sei monete d’oro avvolte in un fazzoletto di seta e un bigliettino in inglese in cui si spiegava che la bambina, pur essendo illegittima, discendeva da un ottimo casato, ma Eliza non ebbe mai modo di vedere niente di tutto ciò. Il visone, le monete e il bigliettino sparirono opportunamente e della sua nascita non rimase traccia. La spiegazione di Mama Fresia, invece, si avvicinava di più ai suoi ricordi: una mattina di fine estate, sulla porta di casa, fu trovata una creatura di sesso femminile nuda dentro una scatola.
“Di copertine di visone e di monete d’oro neanche l’ombra. Io c’ero e mi ricordo molto bene. Eri lì che tremavi in un panciotto da uomo, nemmeno un pannolino ti avevano messo ed eri piena di cacca. Una mocciosa rossa come un’aragosta strabollita, con un ciuffetto da pannocchia sul cocuzzolo. Così eri. Non farti illusioni, della principessina non avevi niente e se avessi avuto i capelli neri come adesso, i padroni avrebbero buttato la scatola nella spazzatura,” sosteneva la donna.
Quanto meno tutti concordavano nel ritenere che la bambina avesse fatto il suo ingresso nella vita il 15 marzo 1832, un anno e mezzo dopo l’arrivo dei Sommers in Cile, motivo per il quale tale data fu scelta come quella del suo compleanno. Tutto il resto non fu che un cumulo di contraddizioni e alla fine Eliza concluse che non valeva la pena sprecare energie nel tentativo di venirne a capo perché, quale che fosse la verità, non ci si poteva più fare niente. L’importante è quel che si fa al mondo, e non come ci si arriva, era solita dire a Tao Chi’en negli anni della loro splendida amicizia, ma lui non era d’accordo e gli sembrava impossibile immaginare la propria esistenza separata dalla lunga catena degli avi che avevano contribuito non solo a dargli le caratteristiche fisiche e mentali, ma che gli avevano trasmesso anche il karma. Il suo destino, diceva, era determinato dalle azioni dei parenti vissuti prima di lui e per questo era necessario onorarli con preghiere quotidiane e temere quelle figure spettrali quando apparivano a reclamare i loro diritti. Tao Chi’en era in grado di recitare i nomi di tutti i suoi avi fino ai più remoti e venerabili trisavoli morti più di un secolo prima. Ai tempi della corsa all’oro, la sua più grande preoccupazione era riuscire a tornare a morire nel suo paese, in Cina, per essere sepolto insieme ai suoi parenti; diversamente, la sua anima avrebbe vagato per sempre alla deriva in terra straniera. Eliza propendeva naturalmente per la storia della splendida cesta – a nessuno, sano di mente, piacerebbe venire al mondo in una scatola di sapone dozzinale – ma, a onor del vero, non poteva crederci. Il suo naso da segugio ricordava molto bene il primo odore della sua vita e non era quello di linde lenzuola di batista, ma di lana, di sudore d’uomo e di tabacco. Il secondo era stato un selvatico fetore di capra.
Eliza divenne grande guardando il Pacifico dal balcone della residenza dei suoi genitori adottivi. Arrampicata sui pendii di una collina del porto di Valparaíso, la casa cercava di imitare lo stile allora in voga a Londra, ma le caratteristiche del terreno, il clima e la vita in Cile avevano imposto alcune sostanziali modifiche e quella bislacca costruzione ne era il risultato. In fondo al patio, a mano a mano erano spuntate, come tumori organici, numerose stanze senza finestre e con porte da segrete in cui Jeremy Sommers immagazzinava i carichi più preziosi della compagnia, che nelle cantine del porto sarebbero spariti.
“Questo è un paese di ladri, in nessun posto del mondo si spende tanto come qui per assicurare le merci. Sparisce tutto e quel che si salva dai furti si inonda d’inverno, si brucia d’estate o viene distrutto da un terremoto,” ripeteva ogni volta che i muli trasportavano nuovi colli da scaricare nel patio di casa.
Dal tanto stare seduta davanti alla finestra a guardare il mare per contare le navi e le balene all’orizzonte, Eliza si convinse di essere figlia di un naufragio e non di quella madre degenere che aveva avuto il coraggio di abbandonarla nuda nell’incertezza di un giorno di marzo. Sul suo diario scrisse che fu un pescatore a trovarla sulla spiaggia tra i resti di una barca ormai a pezzi, ad avvolgerla nel suo panciotto e a deporla davanti alla casa più grande del quartiere degli inglesi. Con gli anni giunse alla conclusione che questa versione non era affatto male: c’è una certa poesia e un alone di mistero in ciò che il mare restituisce. Se l’oceano si ritirasse, rimarrebbe solo sabbia e sabbia, un infinito deserto umido disseminato di sirene e pesci agonizzanti, diceva John Sommers, fratello di Jeremy e Rose, che aveva navigato per tutti i mari del mondo e sapeva descrivere con intensità come l’acqua scendeva in mezzo a un silenzio sepolcrale, per tornare in un’unica onda smisurata, travolgendo tutto al suo passaggio. Orribile, sosteneva, ma almeno c’era tempo per fuggire verso le colline; invece durante i terremoti le campane delle chiese rintoccavano per annunciare la catastrofe quando tutti stavano già scappando tra le macerie.
All’epoca in cui apparve la bambina, Jeremy Sommers aveva trent’anni e stava iniziando a gettare le fondamenta di un brillante futuro nella Compagnia Britannica d’Importazione ed Esportazione. Negli ambienti commerciali e bancari godeva fama di uomo d’onore: la sua parola e una sua stretta di mano equivalevano a un contratto firmato ed erano requisiti indispensabili in qualsiasi transazione, dato che le lettere di credito impiegavano mesi a solcare gli oceani. Per lui, privo di fortuna, il buon nome era più importante della vita stessa. A fatica si era guadagnato una posizione sicura nel remoto porto di Valparaíso, e per la sua esistenza organizzata l’ultimo degli eventi desiderabili era l’arrivo di una neonata a turbare la routine; ma quando Eliza piovve in casa sua non poté fare a meno di accoglierla, perché la vista di sua sorella Rose avvinghiata alla piccola come una madre lo indusse a cedere.
Rose aveva allora solo vent’anni, ma era già una donna con un passato alle spalle e le sue possibilità di contrarre un buon matrimonio erano pressoché nulle. D’altra parte aveva fatto i suoi conti e aveva concluso che il matrimonio, anche nel migliore dei casi, per lei sarebbe stato un pessimo affare; stando con il fratello Jeremy godeva di un’indipendenza che non avrebbe mai avuto con un marito. Era riuscita a far quadrare la sua vita e non si lasciava intimidire dal marchio di zitella, anzi, era decisa a suscitare l’invidia delle maritate – nonostante una teoria in voga sostenesse che alle donne, quando sfuggiva loro il ruolo di madre e sposa spuntassero i baffi, come alle suffragette – ma non aveva figli e questa era l’unica fonte d’angoscia che non riusciva a trasformare in trionfo attraverso l’esercizio disciplinato dell’immaginazione. A volte sognava che le pareti della sua camera fossero coperte di sangue, sangue che inzuppava il tappeto, sangue schizzato fino al soffitto, e lei, in mezzo, nuda e scapigliata come una pazza, stava partorendo una salamandra. Si svegliava gridando e passava il resto della giornata con gli occhi fuori dalle orbite, senza riuscire a liberarsi dall’incubo. Jeremy la osservava preoccupandosi per i suoi nervi e si sentiva in colpa per averla trascinata così lontano dall’Inghilterra, anche se non riusciva a non provare una certa egoistica soddisfazione quando pensava alla sistemazione trovata per entrambi. Siccome l’idea del matrimonio non lo aveva mai nemmeno sfiorato, la presenza di Rose risolveva problemi domestici e sociali, due aspetti importanti per la sua carriera. La sorella compensava la sua natura introversa e solitaria ed era per questo che ne sopportava di buon grado gli sbalzi d’umore e le spese inutili. Quando Eliza apparve e Rose insistette per tenerla, Jeremy non osò opporsi o esprimere meschine esitazioni, perse cavallerescamente tutte le battaglie, da quella per mantenere la bimba a distanza a quella relativa al nome da assegnarle.
“Si chiamerà Eliza, come nostra madre, e porterà il nostro cognome,” decise Rose dopo averle dato da mangiare, averle fatto il bagno e averla avvolta nella sua mantiglia.
“Non se ne parla nemmeno, Rose! Hai idea di cosa direbbe la gente?”
“Di questo mi occuperò io. La gente dirà che sei un santo ad accogliere questa povera orfanella, Jeremy. Non c’è peggior disgrazia che non aver famiglia. Che ne sarebbe di me se non avessi un fratello come te?” replicò lei, conscia del terrore che coglieva il fratello al minimo accenno di sentimentalismo.
Le chiacchiere non si poterono evitare, anche a questo si dovette rassegnare Jeremy Sommers dopo aver accettato che la bambina prendesse il nome della madre, dormisse per i primi anni in camera di sua sorella e imponesse la confusione in casa. Rose divulgò l’incredibile storia della lussuosa cesta depositata da mani anonime nell’ufficio della Compagnia Britannica d’Importazione ed Esportazione e nessuno la bevve, ma non potendo accusarla di aver fatto un passo falso, dato che l’avevano vista ogni santa domenica cantare durante la funzione anglicana e il suo vitino di vespa era una sfida alle leggi dell’anatomia, conclusero che il bebé era frutto di una relazione di lui con qualche donna di malaffare e che per questo la stavano allevando come figlia di famiglia. Jeremy non si prese la briga di contraddire le voci maliziose. L’irrazionalità dei bambini lo sconcertava, ma Eliza trovò il modo di conquistarlo. Anche se non l’ammetteva, gli piaceva vederla giocare ai suoi piedi di pomeriggio, quando si sedeva sulla poltrona a leggere il giornale. Tra loro non c’erano dimostrazioni d’affetto, lui si irrigidiva alla semplice vista di una mano umana da stringere e l’idea di un contatto più intimo lo gettava nel panico.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice di origine cilena rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Isabel Allende.
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