Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Tradita di Danielle Steel, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Fino alla fine dei giorni: trama del libro
New York, 1975. Bill è un giovane avvocato. Lavora da appena un anno nel prestigioso studio legale di famiglia quando, annoiato da quel mondo a lui così estraneo, decide di lasciare il suo lavoro per inseguire un sogno: aiutare gli altri. Accanto a lui, la moglie Jenny: stilista appassionata e di successo, è pronta a seguirlo anche se questo vuol dire abbandonare l’ambiente che ama. Una scelta difficile, sorretta però dalla certezza che le loro vite sono destinate a essere unite per sempre. Inseparabili fino all’ultimo, Bill e Jenny muoiono a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra. Ma l’amore, quello vero, non muore mai. E così, dopo quasi quarant’anni, quello stesso sentimento accenderà i cuori di Robert – editore indipendente di Manhattan, ossessionato dagli affari e alla perenne ricerca di un grande bestseller da pubblicare – e Lillibet – giovane aspirante scrittrice –, conducendoli pagina dopo pagina verso il destino che l’universo ha già scritto per loro.
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Di recente, però, era tornato alla ribalta grazie a Jenny Arden, una giovane stylist inarrestabile e frizzante. L’ultima stagione si era infatti dimostrata una delle migliori quanto a freschezza e originalità, spalancandogli ogni porta. David aveva confidato agli amici più cari e ai soci che il genio della ragazza era stato per lui come una bacchetta magica.
Dal canto suo, Jenny mostrava un atteggiamento più modesto: il suo ruolo non era disegnare bozzetti ma condurre ricerche di mercato e offrire suggerimenti che rendessero le proposte eccitanti e vincenti. I suoi consigli tra una presentazione e l’altra di una linea e la partecipazione alle sfilate conclusive davano frutti sotto tutti i punti di vista, anche quello economico: sebbene David non fosse l’unico cliente, era tuttavia quello con il quale, fino ad allora, aveva ottenuto maggior successo.
D’altronde lei aveva sempre amato il mondo della moda e fin da bambina aveva deciso di dedicarvisi. La nonna, di origini francesi, aveva lavorato come sarta in parecchi atelier d’haute couture a Parigi, e anche la madre aveva una mano esperta. Erano vissute a Filadelfia portando avanti un piccolo ma rispettato negozio di confezioni nel quale riproducevano i modelli più raffinati delle grandi maison parigine.
A diciotto anni Jenny si era iscritta alla Parsons di New York nella speranza di diventare stilista. I corsi si erano però rivelati più noiosi del previsto e la ragazza aveva scoperto ben presto di non possedere né il talento né la passione per combattere con stoffe e drappeggi. Ad affascinarla erano soprattutto le tendenze stilistiche e gli sviluppi verso cui si lanciava quel mondo meraviglioso.
I clienti erano soliti definirla una sensitiva, poiché riusciva a lanciare nuovi trend che poi ricevevano ottimi riscontri. Lei faceva in modo che le cose accadessero, e sapeva come comportarsi quando si presentava l’occasione propizia. Era una style director maniaca del dettaglio e un’attenta osservatrice, oltre che una musa per gli stilisti con i quali lavorava.
Era solita insistere sul fatto che gli accessori e la maniera in cui si portavano erano tutto. Non bastava creare un vestito, una giacca o un cappello; bisognava trasformarlo in qualcosa di vivente, che si scostasse dal concetto di oggetto puro e semplice. Appassionata del proprio lavoro, trasmetteva la sua creatività energica e visionaria a chi la ingaggiava, che la trasferiva a sua volta sulla passerella. Proprio come stava succedendo alla sfilata di David Fieldston durante uno degli avvenimenti più importanti della moda newyorkese: la fashion week. Tutti i presenti, con il fiato sospeso, attendevano l’inizio dello show. E mentre David proseguiva con la sua intervista, Jenny si muoveva freneticamente tra i truccatori e i parrucchieri, controllando attentamente i dettagli, sistemando un abito appena indossato, sollevando il bavero di una giacca, infilando un braccialetto al polso di una modella, suggerendo a un’altra, all’ultimo secondo, di cambiare le scarpe.
«No, no, no!» esclamò, seccata nel vedere che una sarta vestiva una ragazza come fosse una bambola. «La collana va al contrario e la cintura non è messa dal verso giusto.» Intervenne rapida con gesti esperti, poi annuì e si avvicinò a un’altra indossatrice sulla quale alcuni aiutanti stavano letteralmente cucendo addosso un abito di pizzo a cui, per mancanza di tempo, non avevano applicato la lampo. Quel pezzo sarebbe stato un capo di punta nella collezione: l’effetto nudo lasciava intravedere il corpo sinuoso protetto solo da un perizoma color carne. David si era mostrato piuttosto ansioso nei riguardi di quel vestito, ma la sua consulente gli aveva fatto presente che ormai, nel 1975, il Paese era pronto a vedere dei seni durante una sfilata. D’altro canto Rudi Gernreich era giunto alla stessa conclusione e le sue creazioni sensazionali erano state accolte a braccia aperte. Vogue, inoltre, pubblicava foto di seni già dal 1963, quando l’allora editor Diana Vreeland aveva dato il via all’ardita tendenza. Per Jenny, Diana era il principale modello di riferimento, e per certi versi quasi una divinità.
Una volta resasi conto di non voler lavorare sulla Settima Avenue e di voler fare la stilista, la ragazza di Filadelfia aveva iniziato come tuttofare presso la redazione di quel giornale dopo il diploma alla Parsons, diventando in breve tempo, proprio durante gli anni della Vreeland, la custode del «guardaroba», la stanza in cui si riponevano gli abiti più belli del mondo, un vero e proprio paradiso per una giovane affascinata dalla moda. In quell’angolo divino, vedeva entrare e uscire creazioni da sogno utilizzate per servizi fotografici di ogni genere. Jenny non ci aveva messo molto a farsi notare dalla famosa Diana Vreeland, che poco dopo il suo arrivo l’aveva scelta come prima assistente.
Cinque anni dopo l’esordio nell’editoria, però, la giovane Arden aveva deciso di lasciare la rivista per mettersi in proprio, aprire un’agenzia di consulenza per stilisti e fotografi di moda. La sola persona che aveva appoggiato quel progetto era stata la sua mentore, la Vreeland, che l’aveva rassicurata sulla bontà della sua scelta. La stessa Diana, qualche tempo dopo, aveva abbandonato Vogue per assumere la carica di consulente presso il Costume Institute al Metropolitan Museum of Art. Il legame tra le due donne era rimasto tuttavia sempre forte, come la lealtà di Jenny nei confronti della sua superiore. Quel giorno l’ex editor si trovava all’Hotel Pierre, nel quale, di lì a pochi minuti, sarebbe cominciata la nuova sfilata di David Fieldston.
Come ogni bravo burattinaio, per evitare di essere notata Jenny era vestita interamente di nero, alla maniera della Vreeland. I lunghi capelli corvini le scendevano sulle spalle; portava un leggero velo di trucco e i grandi occhi azzurri controllavano incessantemente quanto accadeva intorno, come un falco. D’un tratto nella sala da ballo calò il silenzio e partì la colonna sonora. I Beatles avrebbero creato l’atmosfera adatta. Gli abiti che presto avrebbero sfilato sulla passerella sarebbero stati in vendita l’autunno seguente. E poco importava che fossero i primi di febbraio e fuori nevicasse, in quell’ambito gli acquirenti dovevano fare gli ordini con largo anticipo.
La consulente guardava le modelle allineate e pronte per entrare in scena. Nonostante avesse un fisico esile e slanciato – era alta quasi quanto loro, senza i tacchi – e un fascino delicato, preferiva restare invisibile dietro le quinte, limitandosi a tirare le fila dello show. Il direttore della sfilata le fece un cenno con la testa. La prima indossatrice si preparò all’uscita.
«Vai!»
La ragazza scostò la tenda di velluto nero e avanzò lungo la pedana, una struttura in rame che attraversava l’intera sala da ballo ed era stata montata in due giorni. Jenny si era raccomandata in più occasioni di fare attenzione agli eventuali scivoloni – un’impresa non da poco considerati i tacchi alti e il fatto che le scarpe erano soltanto dei prototipi, una preproduzione, e pertanto molto spesso non calzavano a pennello. Spettava alle modelle portarle con disinvoltura, come si pretendeva dalla loro professione, non era escluso che qualcuna sarebbe finita per terra. Non sarebbe stata la prima volta. Qualunque cosa accadesse, lo spettacolo doveva continuare comunque.
«Vai tu, ora!» Una dopo l’altra, le quarantacinque indossatrici apparvero sulla scena non senza aver prima subìto qualche piccolo ritocco da parte della Arden, che si occupava anche dei cambi d’abito di chi aveva già sfilato.
David Fieldston osservava tutto a breve distanza, ansioso come sempre, sebbene l’evento procedesse alla grande, a giudicare dagli applausi. Aveva ideato una linea meravigliosa grazie all’aiuto di Jenny, la quale gli aveva proibito di inserire alcuni elementi che lui amava, suggerendone altri. Il risultato era stato tuttavia un incastro perfetto, e David le aveva perdonato ogni ingerenza. D’altronde, la stylist era pagata per quello, e i suoi consigli si erano rivelati fino a quel momento più che azzeccati.
Lei indietreggiò sorridendo nel momento in cui David le sfrecciò davanti e le scoccò un rapido bacio sulla guancia mentre si preparava a salire sulla passerella per i ringraziamenti, quando anche l’ultima modella in un abito da sera in velluto verde brillante aveva terminato il suo défilé.
«Ce l’hai fatta di nuovo!» le sussurrò Fieldston con una risatina prima di lasciare le quinte. L’applauso fu assordante. Lei gli aveva restituito lo status d’icona fashion e lui non le sarebbe mai stato grato abbastanza. Jenny Arden lavorava con amore a quello che era il suo sogno di bambina; a lei non interessava tanto la creazione di bei modelli quanto il lancio di una tendenza, il renderla memorabile, farne l’oggetto del desiderio di qualunque donna. Da sempre adorava il mondo della moda e si impegnava per crearla giorno dopo giorno.
Non avrebbe saputo fare di meglio, pensò Jenny mentre infilava nella borsetta la scatola delle spille da balia e il rocchetto del nastro biadesivo, poi indossava in fretta il cappotto e si precipitava verso l’uscita.
Esattamente due ore più tardi un altro cliente – Pablo Charles, per cui lavorava da poco tempo – avrebbe sfilato in un teatro di periferia. La fashion week aveva ritmi da pazzi, ma lei la adorava. Il giorno prima aveva partecipato alla presentazione della linea di un altro stilista e per il giorno seguente ne aveva ancora due in programma. Capitava che per l’occasione si affittasse ogni sorta di locale – ristoranti, loft, teatri o sale da ballo – e lei non faceva che correre da una parte all’altra, trafelata.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice newyorchese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Danielle Steel.
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