Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il generale nel suo labirinto di Gabriel García Márquez. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 6,99.
Il generale nel suo labirinto: trama del libro
Non ancora vecchio ma stremato dalle malattie, dalle delusioni e dal tradimento, il generale Simón Bolívar, “el Libertador”, l’uomo che ha scosso l’America Latina dal giogo spagnolo, rivive come in un sogno i giorni eroici delle sue battaglie e le appassionate notti dei suoi numerosi amori. Nel lungo viaggio che lo riporta nei luoghi che lo videro trionfatore, Bolívar, ormai morente e circondato solo da un pugno di seguaci, riflette sul fallimento dell’ideale che lo ha perseguitato per tutta la vita: l’unità politica delle terre che lui ha liberato e che gruppi di profittatori dominano ormai senza possibilità di riscatto. Un romanzo epico e drammatico, velato di una tristezza fatale e pervaso da un poetico senso di ineluttabilità del destino con il quale García Márquez rende onore al più illustre e sfortunato degli eroi del suo paese.
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«Andiamocene» disse. «Di fretta, che qui non ci vuole nessuno.»
José Palacios gliel’aveva udito dire così tante volte e in circostanze così diverse, che non credette ancora che fosse vero, sebbene le bestie da soma fossero pronte nelle stalle e la comitiva ufficiale stesse riunendosi. Lo aiutò ad asciugarsi alla bell’e meglio, e gli infilò il poncho degli altipiani sul corpo nudo, perché la tazza gli oscillava per via del tremito alle mani. Qualche mese prima, mettendosi un paio di pantaloni di daino che non aveva più indossato dopo le notti babiloniche di Lima, lui aveva scoperto che a mano a mano che calava di peso diminuiva di statura. Anche la sua nudità era diversa, perché aveva il corpo pallido e la testa e le mani come abbrustolite dall’abuso delle intemperie. Aveva compiuto quarantasei anni il precedente mese di luglio, ma ormai i suoi aspri riccioli caraibici erano divenuti cinerognoli e aveva le ossa sconquassate dalla decrepitudine prematura, e lui tutto aveva un aspetto così smunto che non sembrava capace di durare fino al luglio successivo. Tuttavia, i suoi gesti risoluti sembravano di un’altra persona meno bistrattata dalla vita, e camminava senza tregua intorno a nulla. Bevve la tisana in cinque sorsate brucianti che per poco non gli ustionarono la lingua, fuggendo dalle sue stesse tracce di acqua sulle stuoie sfilacciate sopra il pavimento, e fu come se avesse bevuto il filtro della resurrezione. Ma non disse una parola finché non risuonarono le cinque al campanile della vicina cattedrale.
«Sabato 8 maggio dell’anno trenta, giorno in cui gli inglesi centrarono con una freccia Giovanna d’Arco» annunciò il maggiordomo. «Sta piovendo dalle tre di notte.»
«Dalle tre di notte del secolo diciassettesimo» disse il generale con voce ancora turbata dal fiato acre dell’insonnia. E aggiunse con serietà: «Non ho udito i galli».
«Qui non ci sono galli» disse José Palacios.
«Non c’è nulla» disse il generale. «È terra di infedeli.»
Si trovavano a Santa Fe de Bogotá, a duemilaseicento metri sul livello del mare remoto, e l’enorme alcova dalle pareti aride, esposta ai venti gelidi che si insinuavano attraverso le finestre chiuse male, non era la più propizia per la salute di nessuno. José Palacios posò il bacile di schiuma sul marmo della toeletta, e l’astuccio di velluto rosso con gli strumenti per radersi, tutti di metallo dorato. Posò la bugia con la candela sopra un ripiano accanto allo specchio, affinché il generale avesse abbastanza luce, e avvicinò il braciere per riscaldarsi i piedi. Poi gli tese certi occhiali dalle lenti quadrate con una montatura d’argento fino, che teneva sempre per lui nella tasca del panciotto. Il generale se li infilò e si rase guidando il rasoio con pari destrezza nella mano sinistra come nella destra, perché era di natura ambidestro, e con un dominio stupefacente dello stesso polso che qualche minuto prima gli era servito per reggere la tazza. Finì per radersi alla cieca senza smettere di aggirarsi nella stanza, poiché faceva in modo di vedersi allo specchio il meno possibile per non ritrovarsi nei propri occhi. Poi si tirò via a strappi i peli dal naso e dalle orecchie, si nettò i denti perfetti con polvere di carbone su uno spazzolino di seta dal manico d’argento, si tagliò e si pulì le unghie delle mani e dei piedi, e infine si tolse il poncho e si versò addosso un grande flacone di acqua di Colonia, frizionandosi con entrambe le mani il corpo intero fino a rimanere esausto. In quell’alba officiava la messa quotidiana della pulizia con una crudeltà più frenetica del consueto, cercando di purificare il corpo e l’anima da vent’anni di guerre inutili e di disinganni del potere.
L’ultima visita che aveva ricevuto la sera prima era stata quella di Manuela Sáenz, l’agguerrita donna di Quito che lo amava, ma che non l’avrebbe seguito fino alla morte. Si limitava, come sempre, all’incombenza di tenere il generale ben informato su tutto quanto accadeva in sua assenza, perché da molto tempo lui si fidava solo di lei. Le lasciava in custodia certe reliquie senz’altro valore che quello di essere state sue, così come certi suoi libri più pregiati e due bauli di archivi personali. Il giorno prima, durante il breve congedo formale, le aveva detto: «Ti amo molto, ma di più ti amerò se adesso avrai più giudizio che mai». Lei l’intese come uno dei tanti omaggi che lui le aveva fatto in otto anni di amori febbrili. Fra tutti i suoi conoscenti lei era l’unica a credergli: questa volta era vero che se ne andava. Ma era pure l’unica che aveva almeno un motivo sicuro per sperare che tornasse.
Non pensavano di rivedersi prima del viaggio. Tuttavia donna Amalia, la padrona di casa, volle offrir loro il regalo di un ultimo addio furtivo, e fece entrare Manuela vestita da amazzone dal portone delle stalle beffandosi dei pregiudizi della bigotta comunità locale. Non perché fossero amanti clandestini, visto che lo erano alla luce del sole e con pubblico scandalo, ma per conservare a tutti i costi il buon nome della casa. Lui fu ancora più prudente, perché ordinò a José Palacios di non chiudere l’uscio della sala attigua, che era un punto di transito obbligato per la servitù domestica, e dove gli aiutanti di campo addetti alla guardia giocarono a carte fino a molto dopo che la visita fu terminata.
Manuela passò due ore a leggere per lui. Era stata giovane fino a poco tempo prima, quando le sue carni cominciarono a essere vinte dall’età. Fumava una pipa da marinaio, si profumava con acqua di verbena che era una lozione da militari, si vestiva da uomo e girava fra i soldati, ma la sua voce afona faceva sempre effetto nelle penombre dell’amore. Leggeva alla luce povera della candela, seduta su una poltrona che recava ancora lo stemma dell’ultimo viceré, e lui l’ascoltava disteso sul dorso sopra il letto, con gli abiti da borghese che indossava in casa e coperto dal poncho di vigogna. Solo dal ritmo del respiro si capiva che non era addormentato. Il libro si intitolava Compendio di notizie e voci che si diffusero a Lima nell’anno di grazia 1826, del peruviano Noé Calzadillas, e lei lo leggeva con enfasi teatrale che si addiceva benissimo allo stile dell’autore.
Nell’ora successiva non si udì che la sua voce nella casa addormentata. Ma dopo l’ultima ronda esplose d’improvviso una risata unanime di molti uomini, che causò lo schiamazzo dei cani dell’isolato. Lui aprì gli occhi, più incuriosito che inquieto, e lei chiuse il libro contro il seno, segnando la pagina col pollice.
«Sono i suoi amici» gli disse.
«Non ho amici» disse lui. «E se ne rimane qualcuno sarà per breve tempo.»
«Ma sono lì fuori, che vegliano affinché non l’ammazzino» disse lei.
Fu così che il generale venne a sapere quanto tutta la città sapeva: non uno bensì parecchi attentati si stavano tramando contro di lui, e i suoi ultimi sostenitori vigilavano in casa per tentare di sventarli. L’atrio e le verande del giardino interno erano occupati dagli ussari e dai granatieri, tutti venezuelani, che l’avrebbero accompagnato fino al porto di Cartagena de Indias, dove sarebbe salito su un veliero per l’Europa. Due di questi avevano steso le loro stuoie per coricarsi dinanzi all’uscio principale dell’alcova, e gli aiutanti di campo avrebbero continuato a giocare nel salotto attiguo quando Manuela avesse finito di leggere, ma non erano tempi buoni per essere sicuri di nulla in mezzo a tanta gente di truppa dall’origine incerta e di diversa indole. Senza scomporsi per le brutte notizie, con un cenno della mano lui ordinò a Manuela di continuare a leggere.
Aveva sempre considerato la morte un rischio professionale inevitabile. Aveva fatto tutte le sue guerre in prima linea, senza riportare neppure un graffio, e si muoveva in mezzo al fuoco nemico con una serenità così folle che persino i suoi ufficiali si erano abituati alla spiegazione facile secondo cui si credeva invulnerabile. Era uscito illeso da tutti gli attentati che gli avevano ordito contro, e in parecchi si era salvato la vita perché non stava dormendo nel suo letto. Girava senza scorta, e mangiava e beveva senza preoccuparsi di quanto gli offrivano ovunque si trovasse. Solo Manuela sapeva che il suo disinteresse non era incoscienza né fatalismo, ma la certezza malinconica che sarebbe morto nel suo letto, povero e nudo, e senza il conforto della gratitudine pubblica.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore sudamericano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Gabriel García Márquez.
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