Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il gioco di Gerald di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Il gioco di Gerald: trama del libro
In una casa isolata su un lago, Jessie si piega all’ennesima fantasia sessuale del marito Gerald, che questa volta l’ammanetta al massiccio letto in legno. Ma quando umiliata, lei lo allontana con un calcio, l’uomo si affloscia inerte, stroncato da un infarto. Il tempo passa e Jessie, immobilizzata e dolorante, sembra votata a una morte lenta, resa ancora più atroce dalla comparsa di un affamato cane randagio e da un’ombra misteriosa e irreale che fa capolino nella stanza. Un thriller claustrofobico e spiazzante di recente trasformato in un film da Netflix.
Quale atmosfera?
Bella domanda, quella. E mentre Gerald ruotava il corpo cavo della chiave nella seconda serratura, mentre udiva lo scatto lieve poco sopra l’orecchio sinistro, concluse che, almeno per lei, non c’era atmosfera da conservare. Proprio per questo si era accorta che la porta non era stata fissata a dovere. Per lei l’erotismo del rapporto schiava-padrone era stato di breve durata.
Lo stesso non si poteva però dire di Gerald. Indossava solo un paio di boxer, ora, e non aveva bisogno di guardarlo in faccia per vedere che il suo interesse per quel gioco era ancora più che vivo.
Che stupidaggine, pensò, ma nemmeno la stupidità la raccontava tutta. C’era anche una punta di paura. Non le andava di ammetterlo, ma c’era.
«Gerald, perché non lasciamo stare?»
Lui esitò, un po’ perplesso, poi attraversò la stanza diretto al comò a sinistra della porta del bagno. La sua espressione si rasserenò mentre camminava. Lei lo osservò dal letto, con le braccia sollevate e aperte, un po’ come Fay Wray incatenata che aspettava lo scimmione in King Kong. Due coppie di manette le bloccavano i polsi ai montanti di mogano del letto. Le catenelle le concedevano non più di una spanna di movimento. Non molto.
Gerald posò le chiavi sul comò, due tintinnii da niente, ma il suo udito era eccezionalmente sensibile per un mercoledì pomeriggio qualsiasi, e si girò verso di lei. Sopra di lui, sull’alto soffitto bianco della camera da letto, dondolavano e danzavano i riflessi delle increspature del lago.
«Che cosa ne dici? Non lo trovo più molto eccitante.» Posto che lo sia mai stato, fu l’aggiunta che tenne per sé.
Gerald ghignò. Aveva lineamenti pesanti di colorito roseo sotto la punta pronunciata dell’attaccatura dei capelli, neri come l’ala di un corvo, e quel ghigno aveva sempre suscitato in lei una reazione che non le piaceva molto. Non riusciva bene a definirla, ma…
Ma dai, che sai benissimo che cos’è. Lo fa sembrare stupido. Vedi praticamente il suo quoziente di intelligenza scendere di dieci punti per ogni centimetro di ghigno. E quando arriva al massimo della distensione delle labbra, il micidiale avvocato esperto in diritto societario che hai per marito sembra un custode di istituto per malattie mentali nella sua giornata di libertà.
Era crudele, ma non del tutto infondato. E come si fa a dire al consorte da quasi vent’anni che ogni volta che ghigna sembra che soffra di un lieve ritardo mentale? La risposta era semplice: non si fa. Ben altro era il suo sorriso. Aveva un sorriso adorabile e probabilmente era stato quel sorriso, così caloroso e affabile, a convincerla ad accettare di uscire con lui la prima volta. Le aveva ricordato il sorriso di suo padre quando raccontava alla famiglia episodi divertenti della sua giornata sorseggiando un gin tonic prima di cena.
Quello però non era il sorriso. Quello era il ghigno, la versione tutta speciale che riservava ai momenti di gioco. Aveva il sospetto che dal suo punto di vista, vale a dire da dentro, il ghigno fosse lupesco. Anzi, forse piratesco. Da quello di lei, invece, sdraiata con le braccia sollevate sopra la testa e nient’altro addosso che un paio di slip, era solo stupido. No… ritardato. Non era del resto un tracotante avventuriero di quelli che apparivano sulle riviste per uomini sulle quali aveva consumato le furiose eiaculazioni della sua solitaria e adiposa pubertà; era un avvocato con una faccia rosea e troppo larga che si apriva sotto il vertice di una stempiatura ineluttabilmente in viaggio verso la calvizie totale. Solo un avvocato con un’erezione che gli deformava le mutande. E neanche tanto, se è per questo.
Ma le dimensioni della sua eccitazione erano poca cosa a confronto del ghigno. Non era cambiato affatto e questo voleva dire che Gerald non la stava prendendo sul serio. Era previsto che protestasse. In fondo faceva parte del gioco.
«Gerald? Non sto scherzando.»
Il ghigno si ampliò. Apparvero altri piccoli denti inoffensivi da avvocato; il suo quoziente di intelligenza precipitò di un’altra trentina di punti. E ancora lui non la sentiva.
Ne sei sicura?
Sì. Non leggeva nei suoi pensieri come in un libro aperto e probabilmente ci volevano molto più che diciassette anni di matrimonio per arrivare a tanto, ma di solito indovinava abbastanza bene che cosa gli passasse per la testa. Riteneva che se così non fosse stato, c’era da scivolare per qualche china molto pericolosa.
Se è così, gioia, com’è che lui non capisce te? Com’è che non si rende conto che questa non è semplicemente una nuova versione della solita vecchia solfa pseudoerotica?
Questa volta apparvero anche sulla sua fronte le rughe di un’espressione perplessa. Aveva sempre sentito voci estranee parlare nella sua testa, come probabilmente capitava a tutti, anche se normalmente non se ne parlava in giro più di quanto si conversasse in pubblico delle proprie funzioni corporali, e per la maggior parte le voci erano come vecchi amici, confortanti e confortevoli come un paio di vecchie pantofole. Ora invece c’era una voce nuova, che non le stava recando alcun conforto. Era una voce forte, vibrava di gioventù e vigore. Ed era anche spazientita. Parlò di nuovo, rispondendo alla propria domanda.
Gioia, guarda che non è che non ti capisce perché non ne è capace. Certe volte non ne ha proprio voglia.
«Gerald, davvero, non sono in vena. Riprendi le chiavi e toglimi le manette. Faremo qualcos’altro. Mi metto sopra io, se vuoi. Oppure tu te ne stai tranquillo, sdraiato sul letto con le mani dietro la testa e faccio tutto io nell’altro modo, ti va?»
Sei sicura di volerlo fare? la interrogò la voce nuova. Sei sicura di avere voglia di fare qualcosa con quest’uomo, qualunque cosa sia?
Chiuse gli occhi, come se così potesse far tacere la voce. Quando li riaprì, Gerald era fermo ai piedi del letto, con i boxer tesi in avanti come la prora di una nave. Be’… di una barchetta a remi, magari. Il ghigno si era dilatato ancora, mettendo in mostra anche gli ultimi denti su entrambi i lati, quelli incapsulati. Ma sì, non trovava quel ghigno solo sgradevole. Lo trovava odioso.
«Sono disposto a liberarti… se sarai molto, molto brava. Saprai essere molto, molto brava, Jessie?»
Stucchevole, commentò in tono sbrigativo la voce nuova. Très stucchevole.
Gerald si infilò i pollici sotto l’elastico dei boxer nell’improbabile posa di un pistolero. L’indumento scivolò velocemente verso il basso appena superato l’ostacolo non indifferente della ciambella di grasso intorno alla vita. Ed eccolo lì, in bella mostra. Non la formidabile macchina d’amore che aveva conosciuto da adolescente sulle pagine di Fanny Hill, bensì un cosino mansueto, roseo e circonciso; tredici centimetri di erezione decisamente trascurabile. Due o tre anni prima, in una delle sue sporadiche visite a Boston, aveva visto un film che si intitolava Il ventre dell’architetto. Pensò: Perfetto. E adesso vedo Il pene dell’avvocato. Dovette morsicarsi l’interno delle guance per non ridere. Ridere a quel punto sarebbe stato incauto.
Le sovvenne un’idea in quel momento e le fece passare d’incanto tutta la voglia di ridere. L’idea era questa: lui non sapeva che lei non stava recitando perché per lui Jessie Mahout Burlingame, moglie di Gerald, sorella di Maddy e Will, figlia di Tom e Sally, madre di nessuno, non era più lì. Aveva cessato di esserci nell’istante in cui le chiavi avevano prodotto quel piccolo scatto metallico nelle serrature delle manette. Le riviste di avventure degli anni dell’adolescenza di Gerald erano state sostituite da una pila di riviste di donnine nude nell’ultimo cassetto della scrivania, riviste in cui le donne indossavano al massimo un filo di perle e stavano a quattro gambe su una pelle d’orso a farsi prendere da uomini equipaggiati con attributi genitali al confronto dei quali quelli di Gerald erano il corrispondente di una miniaturizzazione in scala ridotta. Nelle ultime pagine di quelle riviste, fra le inserzioni di numeri telefonici da chiamare per eccitarsi snocciolando porcherie, c’erano le pubblicità di bambole gonfiabili, delle quali si vantava la precisione anatomica, concetto bizzarro e senza precedenti, a suo avviso. Pensò in quel momento a quei bamboloni pieni di aria, con la pelle rosa, il corpo senza rughe, da cartone animato, e il volto anonimo e privo di fisionomia, e la sensazione che provava era di illuminante stupore. Vi si mescolava qualcosa di simile all’orrore, ma non proprio; era come se dentro di lei fosse esplosa una luce intensa e il panorama che le aveva dischiuso era certamente più spaventoso di quello stupido gioco o del fatto che questa volta la messinscena era stata allestita nella casa estiva al lago, quando l’estate era già scappata da un pezzo all’inseguimento dell’anno prossimo.
Ma nessuna di queste riflessioni aveva minimamente pregiudicato il suo udito. Ora era la sega a catena, quella che sentiva nel bosco a distanza considerevole, forse addirittura cinque miglia. Più vicino, sulle acque del Kashwakamak, levò il suo grido folle nell’aria blu d’ottobre una gavia ritardataria, che ancora indugiava a intraprendere il suo viaggio annuale verso sud. Ancora più vicino, nei pressi della casa sulla sponda settentrionale, abbaiò un cane. Erano brutti latrati, versi storpi, che Jessie tuttavia trovò stranamente consolanti. Stavano a significare che, anche in un giorno feriale in pieno ottobre, c’era qualcuno nelle vicinanze. Altrimenti c’era solo il rumore della porta, che sbatteva contro lo stipite imbarcato, dondolando come un vecchio dente in una gengiva fracida. Sentì che non avrebbe sopportato a lungo quella tortura prima di impazzire.
Gerald, ora nudo salvo che per gli occhiali, si inginocchiò sul letto e cominciò a strisciare verso di lei. Gli brillavano ancora gli occhi.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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