Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il giorno prima della felicità di Erri De Luca. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 7,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il giorno prima della felicità: trama del libro
Don Gaetano è uomo tuttofare in un grande caseggiato della Napoli popolosa e selvaggia degli anni cinquanta: elettricista, muratore, portiere dei quotidiani inferni del vivere. Da lui impara il giovane chiamato “Smilzo”, un orfano formicolante di passioni silenziose.Don Gaetano sa leggere nel pensiero della gente e lo Smilzo lo sa, sa che nel buio o nel fuoco dei suoi sentimenti ci sono idee ed emozioni che arrivano nette alla mente del suo maestro e compagno. Scimmia dalle zampe magre, ha imparato a sfidare i compagni, le altezze dei muri, le grondaie, le finestre – a una finestra in particolare ha continuato a guardare, quella in cui, donna-bambina, è apparso un giorno il fantasma femminile. Un fantasma che torna più tardi a sfidare la memoria dei sensi, a postulare un amore impossibile. Lo Smilzo cresce attraverso i racconti di don Gaetano, cresce nella memoria di una Napoli (offesa dalla guerra e dall’occupazione) che si ribella – con una straordinaria capacità di riscatto – alla sua stessa indolenza morale. Lo Smilzo impara che l’esistenza è rito, carne, sfida, sangue. È così che l’uomo maturo e l’uomo giovane si dividono in silenzio il desiderio sessuale di una vedova, è così che l’uomo passa al giovane la lama che lo dovrà difendere un giorno dall’onore offeso, è così che la prova del sangue apre la strada a una nuova migranza che durerà il tempo necessario a essere uomo.
Approfondimenti sul libro
In ebook Il giorno prima della felicità (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 4,99 euro.
Solo un bambino smilzo e contorsionista come me poteva infilare la testa e il corpo tra le gambe poco divaricate del re guerriero, dopo aver aggirato la spada piantata giusto davanti ai piedi. La palla era finita lì dietro, dopo un rimbalzo di sponda tra la spada e la gamba.
La spinsi in fuori, gli altri ripresero il gioco, mentre mi attorcigliavo per uscire. Le trappole sono facili a entrare ma per uscire c’è da sudare. Avevo pure una fretta di paura. Ripresi il mio posto in porta. Mi facevano giocare con loro perché recuperavo la palla dovunque finiva. Una destinazione abituale era il balcone del primo piano, una casa abbandonata. La voce era che ci abitava un fantasma. I vecchi palazzi contenevano botole murate, passaggi segreti, delitti e amori. I vecchi palazzi erano nidi di fantasmi.
Andò così la prima volta che salii al balcone. Dal finestrino a pianoterra del cortile dove abitavo, il pomeriggio guardavo il gioco dei più grandi. Il pallone calciato male schizzò in alto e finì sul terrazzino di quel primo piano. Era perduto, un superflex paravinil un po’ sgonfio per l’uso. Mentre che bisticciavano sul guaio mi affacciai e chiesi se mi facevano giocare con loro. Sì, se ci compri un altro pallone. No, con quello, risposi. Incuriositi accettarono. Mi arrampicai lungo un tubo dell’acqua, discendente, che passava accanto al terrazzino e proseguiva in cima. Era piccolo e fissato al muro del cortile con dei morsetti arrugginiti. Cominciai a salire, il tubo era coperto da polvere, la presa era meno sicura di quello che mi ero immaginato. Mi ero impegnato, ormai. Guardai in su: dietro i vetri di una finestra del terzo piano c’era lei, la bambina che cercavo di sbirciare. Era al suo posto, la testa appoggiata sulle mani. Di solito guardava il cielo, in quel momento no, guardava giù.
Dovevo continuare e continuai. Per un bambino cinque metri sono un precipizio. Scalai il tubo puntando i piedi sui morsetti fino all’altezza del terrazzino. Sotto di me si erano azzittiti i commenti. Allungai la mano sinistra per arrivare alla ringhiera di ferro, mi mancava un palmo. In quel punto dovevo fidarmi dei piedi e stendere il braccio che teneva il tubo. Decisi di farlo di slancio e ci arrivai con la sinistra. Ora dovevo portarci la destra. Strinsi forte la presa sul ferro del terrazzo e buttai la destra ad afferrare. Persi l’appoggio dei piedi: le mani ressero per un momento il corpo nel vuoto, poi subito un ginocchio, poi due piedi e scavalcai. Com’è che non avevo avuto paura? Capii che la mia paura era timida, per uscire allo scoperto aveva bisogno di stare da sola. Lì invece c’erano gli occhi dei bambini sotto e quelli di lei sopra. La mia paura si vergognava di uscire. Si sarebbe vendicata dopo, la sera al buio nel letto, col fruscìo dei fantasmi nel vuoto.
Buttai il pallone di sotto, ripresero a giocare senza badare a me. La discesa era più facile, potevo stendere la mano verso il tubo contando su due buoni appoggi per i piedi sul bordo del terrazzino. Prima di allungarmi verso il tubo guardai veloce al terzo piano. Mi ero offerto all’impresa per desiderio che si accorgesse di me, minuscolo scopettino da cortile. Era lì con gli occhi sbarrati, prima che potessi azzardare un sorriso era scomparsa. Stupido a guardare se lei stava guardando. Bisognava crederci senza controllare, come si fa con gli angeli custodi. Mi arrabbiai con me buttandomi lungo il tubo in discesa per togliermi da quel palcoscenico. Sotto mi aspettava il premio, l’ammissione al gioco. Mi misero in porta e fu così deciso il mio ruolo, sarei diventato portiere.
Da quel giorno mi chiamarono “’a scigna”, la scimmia. Mi tuffavo in mezzo ai loro piedi per afferrare la palla e salvare la porta. Il portiere è l’ultima difesa, dev’essere l’eroe della trincea. Prendevo calci sulle mani, in faccia, non piangevo. Ero fiero di giocare coi più grandi, che avevano nove e anche dieci anni.
Capitò altre volte il pallone sul terrazzino, ci arrivavo in meno di un minuto. Davanti alla porta da difendere c’era una pozzanghera, per una perdita d’acqua. All’inizio del gioco era limpida, potevo vederci di riflesso la bambina ai vetri, mentre la mia squadra attaccava. Non la incontravo, non sapevo com’era il resto del corpo, sotto la faccia appoggiata alle mani. Nei giorni di sole dal mio finestrino arrivavo a risalire a lei attraverso un rimbalzo di vetri. Restavo a guardarla finché non mi lacrimavano gli occhi per la luce. I vetri chiusi delle finestre del cortile permettevano al riflesso con lei dentro di affacciarsi fino al mio angolo d’ombra. Quanti giri faceva il suo ritratto per raggiungere il mio finestrino. Da poco in un appartamento del palazzo era arrivato un apparecchio televisivo. Sentivo dire…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Erri De Luca.
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