Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Un giorno per volta di Danielle Steel, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Un giorno per volta: trama del libro
Coco Barrington viene da una famiglia molto nota a Hollywood. Sua madre, Florence, è una famosa scrittrice; vedova ma ancora attraente, ha appena iniziato una relazione segreta con un uomo di ventiquattro anni più giovane di lei. Sua sorella, Jane, è una produttrice di successo; da ormai dieci anni vive alla luce del sole la sua storia d’amore con Liz. Coco, invece, ha sempre detestato la vita mondana, e dopo aver lasciato la facoltà di legge è fuggita dai riflettori, trasferendosi in una suggestiva cittadina sulla spiaggia della California del Nord. Accanto a lei c’era Ian. Da quando è morto, vive da sola lavorando come dog sitter. Ma quando Jane la prega di prendersi cura della sua villa per qualche mese, Coco non riesce a dirle di no. Non sa che, complice il destino, la raggiungerà un ospite inaspettato: Leslie Baxter, bellissimo attore di fama mondiale in fuga da una ex fidanzata, ha chiesto a Jane di ospitarlo per qualche giorno. Coco si trova così costretta a convivere con un uomo che rappresenta tutto ciò che odia. I loro mondi non potrebbero essere più diversi. L’attrazione non potrebbe essere più immediata. E, mentre Florence e Jane vivono le rispettive storie d’amore, tra Coco e Leslie nasce un sentimento profondo. Ma per amore riuscirà Coco ad accettare il mondo dal quale è fuggita?
Chiamarla «casa» era un vero atto di generosità. In realtà era poco più di un cottage, che sua madre e sua sorella definivano una «baracca». Per loro era impossibile capire perché Coco volesse vivere in quella specie di bicocca da incubo. La madre aveva provato in tutti i modi – blandendola, criticandola, insultandola e perfino ricattandola – a riportarla a Los Angeles, in quella che per lei era la civiltà, ma Coco stentava a definire «civile» lo stile di vita della donna e perfino il modo in cui lei stessa era cresciuta. Ogni cosa era un inganno, un artificio. Le persone, la loro quotidianità, gli obiettivi ai quali aspiravano, le case in cui abitavano, i volti falsamente giovani, tirati dai lifting. A Bolinas tutto era più semplice, autentico, sincero, proprio come Coco, che detestava la falsità. Non che sua madre fosse finta, ma esagerava nella cura di se stessa e doveva sempre apparire impeccabile. Negli ultimi trent’anni aveva sfornato un best seller dopo l’altro, ma quello che scriveva non aveva nulla di profondo, pur vantando un seguito di tutto rispetto. Firmava i romanzi con lo pseudonimo di Florence Flowers, il nome da nubile di sua madre, e con quelli aveva raccolto un immenso successo. Aveva sessantadue anni e la sua era stata una vita da romanzo, una vita che aveva legato a quella di Bernard «Buzz» Barrington, il più importante agente letterario e cinematografico di Los Angeles, fino alla morte di lui, avvenuta quattro anni prima per un ictus. Buzz aveva sedici anni più di lei ed erano stati sposati per trentasei. Era stato il marito a incoraggiare e guidare la sua carriera di scrittrice. Coco si era chiesta più volte se fosse certo che la madre sarebbe mai riuscita a raggiungere il successo senza l’aiuto del padre. Quanto a Florence… be’, non aveva mai messo in dubbio se stessa, la validità del proprio lavoro o delle proprie opinioni, che spaziavano da un argomento all’altro, e non si faceva scrupolo di mostrare la propria delusione nei confronti di Coco, definendola una hippy fallita e inaffidabile.
Anche il giudizio di sua sorella maggiore Jane, sebbene meno offensivo, non era lusinghiero. Per lei Coco era una «cronicamente al di sotto delle aspettative», che non aveva mai approfittato di tutte le opportunità offerte dal suo status sociale per crescere e farsi una posizione di successo, come invece aveva fatto lei. Inoltre, Jane le ricordava con martellante regolarità che non era troppo tardi per cambiare rotta, ma fintanto che avesse continuato a vivere in quella specie di baracca sulla spiaggia, la sua esistenza sarebbe stata solo un gran casino. A Coco, però, la sua vita non sembrava affatto così male. Si manteneva da sola, era una persona rispettabile, non si drogava né lo aveva mai fatto (a parte qualche occasionale e rarissimo spinello al college con gli amici). Non era un peso per la famiglia, non era mai stata sfrattata, non aveva frequentato compagnie pericolose, non aveva avuto gravidanze indesiderate e non era mai finita in carcere. Si guardava bene dal biasimare lo stile di vita della sorella, né desiderava farlo, e non criticava la madre per i suoi abiti troppo giovanili o per la faccia troppo snaturata dai lifting. Coco desiderava solo essere se stessa e vivere secondo le proprie scelte. Si era sempre sentita a disagio nel lussuoso ambiente di Bel Air, dove tutti l’additavano prima come la figlia di una coppia famosa, e poi come la sorella minore di un’altrettanto nota produttrice. Coco voleva vivere un’esistenza che fosse solo sua e per farlo aveva iniziato a combattere le proprie battaglie subito dopo essersi diplomata a pieni voti a Princeton e aver frequentato, l’anno successivo, la facoltà di legge a Stanford per mollare tutto in seguito. Erano passati tre anni, da allora.
Aveva promesso al padre di provare giurisprudenza e lui le aveva garantito un posto nella sua società di produzione, aggiungendo che essere avvocato l’avrebbe aiutata in quel lavoro. Purtroppo, però, Coco non voleva essere un agente né tantomeno stare alle dipendenze di suo papà. Non le interessava rappresentare autori di best seller, sceneggiatori o viziate star cinematografiche che erano l’amatissimo pane quotidiano di Buzz. Non esisteva celebrità hollywoodiana che non fosse passata da casa sua, quando era bambina, e lei non aveva alcuna intenzione di portare avanti la tradizione. In cuor suo, inoltre, Coco era convinta che fosse stato lo stress subito per quasi cinquant’anni, passati ad accontentare quella manica di pazzi viziati e pieni di assurde pretese, a portare suo padre alla tomba. Hollywood per lei equivaleva a una sentenza di morte.
Buzz se ne era andato quando lei frequentava il primo anno a Stanford. Aveva resistito ancora un po’ e poi aveva mollato. La madre aveva strillato per mesi e ancora adesso le rinfacciava di vivere come una barbona in quella baracca di Bolinas. C’era stata una sola volta, ma ancora ne parlava male. Coco aveva deciso di restare nelle vicinanze di San Francisco, dopo aver abbandonato l’università. La California settentrionale le piaceva. Anche Jane abitava lì, con grande disappunto della madre, che però riusciva a vederla con più frequenza, dal momento che il lavoro portava spesso la figlia maggiore a Los Angeles. Jane aveva trentanove anni e da dieci era una delle produttrici cinematografiche più famose di Hollywood. Undici dei suoi film avevano sbancato i botteghini. Tutto questo successo faceva apparire la vita di Coco ancora più fallimentare alla madre, che portava in palmo di mano la maggiore delle figlie e si disperava per la minore, versando fiumi di lacrime. Buzz, che adorava entrambe le sue ragazze, non aveva mai saputo resistere alle scenate di Florence, alla quale non rifiutava nulla. Talvolta Coco amava credere che a lui sarebbe riuscita a spiegare i motivi delle proprie scelte, anche se in verità sapeva che non ne sarebbe stata capace e che pure suo padre, come la madre e la sorella, avrebbe guardato con delusione al suo stile di vita. Era al settimo cielo quando Coco aveva iniziato a studiare a Stanford, convinto che la figlia si sarebbe sbarazzata presto delle sue idee troppo liberali. Preoccuparsi della salvezza del pianeta e del prossimo era più che giusto, ma esagerare no. Invece, anche se lui non lo sapeva, Coco era rimasta fedele a se stessa e aveva smesso di studiare.
Il padre le aveva lasciato abbastanza da poter vivere di rendita, ma lei non aveva mai toccato un centesimo. Preferiva spendere ciò che guadagnava e spesso faceva donazioni per i bambini del Terzo mondo, per sostenere progetti a favore della salvaguardia degli animali o dell’ecologia. «Compassionevole.» Era questo uno dei mille aggettivi – non il peggiore – con cui la chiamava Jane. Ebbene sì, Coco era fatta così e forse proprio per questo le stava a cuore la statua di Kuan Yin. L’integrità che la caratterizzava era pura e la sua anima gentile e aperta al prossimo. Era un crimine? Le pareva proprio di no.
Del resto anche Jane, verso la fine dell’adolescenza, aveva causato qualche piccolo terremoto in famiglia. A diciassette anni – Coco ne aveva sei e non si era accorta di nulla –, quando frequentava il liceo, aveva annunciato ai genitori di essere omosessuale e alla UCLA (la University of California di Los Angeles), dove frequentava la scuola di cinema, si era impegnata attivamente per i diritti delle lesbiche. Quando la madre le aveva chiesto di debuttare in società e lei aveva risposto che piuttosto avrebbe preferito morire, era scoppiato un altro dramma. A parte le preferenze sessuali e la militanza, gli obiettivi di Jane erano uguali a quelli dei genitori. Il padre l’aveva perdonata quando erano giunti i primi successi e aveva dimenticato tutto con l’arrivo della notorietà. Da dieci anni Jane viveva con Liz, una sceneggiatrice famosa e dal carattere dolcissimo. Entrambe avevano deciso di trasferirsi a San Francisco in quanto la città era nota per la vasta comunità omosessuale. I loro film erano conosciuti in tutto il mondo e Jane aveva già ricevuto quattro nomination all’Oscar, pur senza averne ancora vinto uno. Quanto alla madre, ormai aveva accolto Liz a tutti gli effetti in famiglia. Solo Coco veniva considerata un problema e seguitava a farla piangere per il suo stile di vita sciatto ed eccentrico.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice newyorchese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Danielle Steel.
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