Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La giostra degli scambi di Andrea Camilleri, un romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si acquista con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 9,99 ed è il 24° tra i volumi dedicati al commissario Montalbano.
La giostra degli scambi: trama del libro
Non abbagli la luce matta che, sugli schermi delle pagine, proietta comiche a rapidi scatti: una schermaglia rodomontesca con due mosche fastidiose; una rissa con attori che sbaccanano e come palla si involvono e rotolano, con braccia e gambe che si agitano, tra pugni e morsi, e lampi di lama; un commissario con un occhio pesto e un orecchio morsicato, che per “scangio” viene arrestato dai carabinieri; una servente che prende a padellate e fa prigioniero un intruso, che l’ha distolta dalle occupazioni culinarie; un signore ben curato e ben vestito, che più volte va a un appuntamento: a vuoto sempre, e deluso. E c’è anche il remake di una scenetta antica e surreale (dal “Libro mio” di Pontormo passata a “Il contesto” di Sciascia) di chi, con la mente scardinata, sta chiuso in casa, e a chi bussa risponde di non esserci. In così lunatica atmosfera sembra che i dettagli creino digressioni. Ma è negli interstizi che il mistero prospera, insondabile; e lento scivola, dilatatorio, deviando gli aghi di qualsivoglia bussola e decorando di apparenze ingannevoli le sue trame da brivido. Il romanzo è un pantanoso labirinto del malamore, di un tenebroso malessere: geloso oppure ossessivo. Nel dedalo di meandri, giravolte, gomiti d’ombra, nasconde una “camera della morte”: l’ultima, la più segreta, come quella delle mattanze nelle tonnare. A Vigàta i notturni sono di leopardiana bellezza. Non assolvono però il fruscio di invisibili ali di tenebra. Montalbano si è svegliato con una premonizione.
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Ccà si nni ristò tanticchia ferma a considerari la situazioni e po’ volò sparata dintra alla narici mancina del naso di Montalbano che durmiva della bella.
Nel sonno, il commissario avvirtì un fastiddioso chiurito al naso e, per farisillo passari, si detti ’na forti manata supra alla facci. Ma, ’ntronato com’era per la durmuta in corso, non ne calcolò la forza, sicché la gran botta che s’ammollò ebbi dù risultati ’mmidiati: quello d’arrisbigliarlo e quello di scugnarigli il naso.
Si susì di cursa dal letto santianno a mitraglia mentri che il sangue gli nisciva a fontana, s’apprecipitò ’n cucina, raprì il frigorifiro, agguantò a dù cubetti di ghiazzo che s’applicò alla radici del naso e s’assittò tinenno la testa tutta ghittata narrè.
Passati cinco minuti il sangue attagnò.
Annò ’n bagno, si detti ’na lavatina alla facci, al collo e al petto e tornò a corcarisi.
Aviva allura allura chiuiuto l’occhi quanno sintì lo stisso priciso ’ntifico chiurito di prima, ma stavota alla narici destra. Si vidi che la musca aviva addeciso di cangiare campo d’esplorazioni.
Che fari per eliminari quella grannissima camurria?
Data la recenti sperienza, non era propio il caso di usare le mano.
Scotì a leggio la testa. La musca non sulo non si cataminò, ma s’addentrò chiossà.
Forsi facennola scantare…
«Ahhhhh!».
La vociata che fici fu tali da ’ntronarlo, ma ottinni l’effetto voluto. Il chiurito era finuto.
Stava finalmenti piglianno sonno quanno la sintì novamenti che gli passiava supra a la fronti. Risantianno, addecidì di spirimintari ’na nova strategia.
Affirrò con le dù mano il linzolo e se lo tirò di colpo fino a supra alla testa, cummigliannola completamenti. Accussì la musca non avrebbi cchiù potuto attrovari un centilimetro di pelli scoperta, macari se, stannosinni tanto ’ncuponato, gli viniva a mancari l’aria.
Fu ’na vittoria di brevissima durata.
Manco un minuto appresso la sintì distintamenti atterrari supra al labbro ’nferiori.
Era chiaro che la laidissima cajorda non si nni era volata ma era ristata sutta al linzolo.
L’assugliò ’no scoramento ’mproviso. Contro a quella musca mallitta non ce l’avrebbi mai fatta.
«L’omo forti sapi arraccanosciri la propia sconfitta» si dissi, susennosi rassignato dal letto e annannosinni ’n bagno.
Quanno tornò ’n càmmara di dormiri per vistirisi, mentri che stava per pigliari i cazùna dalla seggia, vitti con la cuda dell’occhio alla musca posata supra al commodino.
Era propio a tiro, e lui ni approfittò.
Fulmineo, isò la mano dritta e l’abbasciò, scrafazzanno la musca che gli ristò attaccata nel palmo.
Annò ’n bagno e si lavò a longo le mano canticchianno e sintennosi appagato per la rivincita.
Ma quanno che rientrò nella càmmara di dormiri col passo spavaldo del vincitori, s’apparalizzò.
C’era ’na musca che passiava supra al cuscino.
Allura le musche erano dù! E lui, a quali aviva ammazzata?
Alla ’nnuccenti o alla colpevoli? E se putacaso aviva ammazzato alla ’nnuccenti, ’st’errori, un jorno, qualichiduno glielo avrebbi rinfacciato e fatto pagari?
«Ma che minchiate ti passano per la testa?» si dissi.
E accomenzò a cangiarisi.
Vivutasi ’na gran cicarunata di cafè e finuto di vistirisi di tutto punto, raprì la porta-finestra e niscì fora nella verandina.
La jornata s’apprisintava pricisa ’ntifica a ’na cartolina illustrata: pilaja dorata, mari azzurro, celo cilestri senza manco l’accenno di ’na nuvola. Ci stava persino ’na vela luntana.
Montalbano respirò a funno inchiennosi i purmuna d’aria salina sintennosi rinasciri.
Notò a mano dritta, propio a ripa di mari, a dù òmini che si nni stavano fermi a discutiri. La discussioni doviva essiri chiuttosto animata, il commissario, macari se non arrinisciva a sintiri le paroli a scascione della distanza, l’accapì dai movimenti agitati e nirbùsi delle vrazza e delle mano.
Po’, tutto ’nzemmula, uno dei dù fici un gesto che Montalbano in prima non vitti bono, fu come se avissi portato in avanti la mano dritta che sparluccicò colpita dal soli.
Era ’ndubbiamenti la lama di un cuteddro e l’autro reagì bloccannogliela con tutte e dù le sò mano mentri che gli ammollava ’na ginocchiata nei cabasisi. Appresso i dù corpi s’avvinghiaro, persero l’equilibrio, cadero ma continuaro ad azzuffarisi firocementi rotuliannosi aggrampati supra alla rina.
Senza starici a pinsari dù vote, il commissario scinnì dalla verandina e si misi a corriri verso i dù. Via via che s’avvicinava, accomenzava a sintiri le voci.
«T’ammazzo, grannissimo cornuto!».
«E io ti mangio il cori!».
Arrivò col sciato grosso.
Uno dei dù aviva mittuto sutta all’avvirsario, lo tiniva immobilizzato ’n croci, con le ginocchia appuiate supra alle vrazza aperte dell’autro, praticamenti gli stava assittato supra alla panza e gli stava scassanno la facci a cazzotti.
Montalbano, senza sapiri né leggiri né scriviri, lo disarcionò con una gran pidata nel scianco. L’omo, pigliato alla sprovista, cadì di lato supra alla rina gridanno:
«Attento che avi ’u cuteddro!».
Il commissario si girò di scatto.
L’omo che era a terra si stava ’nfatti susenno tinenno nella mano dritta un cuteddro a serramanico.
Aviva fatto un grosso errori, uno scangio, il cchiù periglioso dei dù era quello che stava supra alla rina. Montalbano però non gli detti manco il tempo di fari biz. Con una pidata ’n facci lo rispidì nella stissa posizioni di prima, spalli ’n terra. Il cuteddro era volato luntano.
L’autro, che ’ntanto si era susuto, approfittò ’mmidiato della situazioni favorevoli e si ghittò supra all’avvirsario ripiglianno a scazzottarlo.
Tutto era tornato al punto di partenza.
Allura Montalbano si calò, affirrò per le spalli al cazzottatore e circò di tirarlo narrè. Ma siccome che quello non fici nisciuna resistenza, fu Montalbano a perdiri l’equilibrio e a cadiri a panza all’aria tirannosi di supra al cazzottatore.
L’omo col cuteddro, vilocissimo, si ghittò supra a loro dù. Il cazzottatore scalciava tintanno di centrari i cabasisi del commissario, Montalbano col pugno mancino pistiava al cazzottatore e col pugno destro timpistava a quello che stava supra a tutti, il quali, a sò vota, con ’na mano circava d’accicari al commissario
cavannogli l’occhi e con l’autra tintava di fari l’istisso al cazzottatore.
’N brevi fu ’na speci di palla con sei vrazza e sei gamme a rotuliarisi supra alla rina, ’na palla vociante tra santioni, pugni, gastime, ginocchiate e minazze. Fino a che…
Fino a che ’na voci, vicinissima e ’mpiriosa, non intimò:
«Fermi o sparo!».
I tri s’immobilizzaro e taliaro.
A parlari era stato un appuntato dei carrabbineri che tiniva un mitra contro di loro. Darrè all’appuntato ci stava un carrabbineri che aviva ’n mano il cuteddro a serramanico. Evidentementi stavano passanno per la strata che costeggiava la pilaja, avivano viduto tri òmini che s’azzuffavano ed erano ’ntirvinuti.
«Alzatevi!».
I tri si susero.
«Muovetevi!» continuò l’appuntato facenno ’nzinga con la testa d’addiriggirisi verso ’na grossa camionetta ferma nella strata con un carrabbineri al volanti.
«Arrivilarimi come commissario opuro non arrivilarimi?» fu questo l’amletico dubbio di Montalbano mentri che caminava con l’autri verso la camionetta.
Arrivò alla conclusioni che la meglio era d’arrivilarisi subito chiarenno l’equivoco.
«Un momento. Io sono…» dissi firmannosi.
E il gruppo s’arristò taliannolo.
Ma il commissario non potti continuari.
Pirchì in quel priciso momento si era arricordato d’aviri lassato il portafoglio con dintra la tessera d’arraccanoscimento nel cascionetto del commodino.
«Allora, ce lo dici chi sei?» spiò ironico l’appuntato.
«Lo dirò al vostro tenente» arrispunnì Montalbano ripiglianno a caminare.
Per fortuna la grossa camionetta aviva la parti posteriori cummigliata dal tiloni, masannò tutto il paìsi avrebbi viduto passari al commissario Montalbano arristato dai carrabbineri e si sarebbi fatto non quattro ma milli e passa risate.
Dintra alla stazioni dei carrabbineri vinniro portati, non si può diri con gintilizza, in ’na càmmara spaziusa e l’appuntato annò ad assittarisi darrè a una delle dù scrivanie che ci stavano.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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