Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La gita a Tindari di Andrea Camilleri, romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
La gita a Tindari: trama del libro
Il commissario Montalbano è impegnato in una nuova indagine tra l’immaginaria Vigàta e il promontorio di Tindari. Un triplice omicidio è avvenuto: un giovane dongiovanni che viveva al di sopra dei suoi mezzi apparenti, due anziani pensionati seppelliti in casa che improvvisamente decidono una gita a Tindari. Li collega, sembra, solo un condominio.
Ma Montalbano ha una maledizione, sa leggere i segni che provengono dall'”antichissimo” che vive nel “modernissimo” continente Sicilia: lo aiutano un vecchio ulivo contorto, la sua squadra, la svedese Ingrid, un libro di Conrad e un Innominato senza pentimento.
Per ulteriori dettagli sul libro rimandiamo alla scheda completa di La gita a Tindari su Amazon.
Qui potete leggere le recensioni dei lettori su Amazon.
Gli arrivò la friscatina di uno che caminava sulla spiaggia. A quell’ora, certamente qualcuno che andava per travaglio a Vigàta. Il motivo friscato gli era cognito, ma non ne ricordava né il titolo né le parole. Del resto, che importanza aveva? Non era mai riuscito a friscare, manco infilandosi un dito in culo. «Si mise un dito in culo / e trasse un fischio acuto / segnale convenuto / delle guardie di città»… Era una fesseria che un amico milanese della scuola di polizia qualche volta gli aveva canticchiato e che gli era rimasta impressa. E per questa sua incapacità di friscare, alle elementari era stato la vittima prediletta dei suoi compagnucci di scuola che erano maestri nell’arte di friscare alla pecorara, alla marinara, alla montanara aggiungendovi estrose variazioni. I compagni! Ecco che cosa gli aveva procurato la mala nottata! Il ricordo dei compagni e la notizia letta sul giornale, poco prima d’andare a corcarsi, che il dottor Carlo Militello, non ancora cinquantino, era stato nominato Presidente della seconda più importante banca dell’isola. Il giornale formulava i più sentiti auguri al neo Presidente, del quale stampava la fotografia: occhiali certamente d’oro, vestito griffato, camicia inappuntabile, cravatta finissima. Un uomo arrivato, un uomo d’ordine, difensore dei grandi Valori (tanto quelli della Borsa quanto quelli della Famiglia, della Patria, della Libertà). Se lo ricordava bene, Montalbano, questo suo compagnuccio non delle elementari, ma del ’68!
«Impiccheremo i nemici del popolo con le loro cravatte!».
«Le banche servono solo a essere svaligiate!».
Carlo Militello, soprannominato «Carlo Martello», in primisi per i suoi atteggiamenti di capo supremo e in secundisi perché contro gli avversari adoperava parole come martellate e cazzotti peggio delle martellate. Il più intransigente, il più inflessibile, che al suo confronto il tanto invocato nei cortei Ho Chi Min sarebbe parso un riformista socialdemocratico. Aveva obbligato tutti a non
fumare sigarette per non arricchire il Monopolio di Stato, spinelli e canne sì, a volontà. Sosteneva che in un solo momento della sua vita il compagno Stalin aveva agito bene: quando si era messo a rapinare banche per finanziare il partito. «Stato» era una parola che dava a tutti il malostare, li faceva arraggiare come tori davanti allo straccio rosso. Di quei giorni Montalbano ricordava soprattutto una poesia di Pasolini che difendeva la polizia contro gli studenti a Valle Giulia, a Roma. Tutti i suoi compagni avevano sputato su quei versi, lui aveva tentato di difenderli: «Però è una bella poesia». A momenti Carlo Martello, se non lo tenevano, gli scassava la faccia con uno dei suoi micidiali cazzotti. Perché allora quella poesia non gli dispiacque? Vedeva in essa già segnato il suo destino di sbirro? Ad ogni modo, nel corso degli anni, aveva visto i suoi compagni, quelli mitici del ’68, principiare a «ragionare». E ragionando ragionando, gli astratti furori si erano ammosciati e quindi stracangiati in concrete acquiescenze. E adesso, fatta eccezione per qualcuno che con straordinaria dignità sopportava da oltre un decennio processi e carcere per un delitto palesemente non commesso né ordinato, fatta eccezione ancora per un altro oscuramente ammazzato, i rimanenti si erano tutti piazzati benissimo, saltabeccando da sinistra a destra, poi ancora a sinistra, poi ancora a destra, e c’era chi dirigeva un giornale, chi una televisione, chi era diventato un grosso manager di Stato, chi deputato o senatore. Visto che non erano arrinisciuti a cangiare la società, avevano cangiato se stessi. Oppure non avevano manco avuto bisogno di cangiare, perché nel ’68 avevano solamente fatto teatro, indossando costumi e maschere di rivoluzionari. La nomina di Carlo ex Martello non gli era proprio calata. Soprattutto perché gli aveva provocato un altro pinsèro e questo certamente il più fastidioso di tutti.
«Non sei macari tu della stessa risma di questi che stai criticando? Non servi quello Stato che ferocemente combattevi a 18 anni? O ti fa lastimiare l’invidia, dato che sei pagato quattro soldi e gli altri invece si fanno i miliardi?».
Per un colpo di vento, la persiana sbatacchiò. No, non l’avrebbe chiusa manco con l’ordine del Padreterno. C’era la camurrìa Fazio:
«Dottore, mi perdonasse, ma lei se la va proprio a circari! Non solo abita in una villetta isolata e a piano terra, ma lascia macari aperta la finestra di notte! Accussì, se c’è qualchiduno che ci vuole mali, e c’è, è libero di trasiri nella sua casa quando e come vuole!».
C’era l’altra camurrìa che si chiamava Livia:
«No, Salvo, di notte la finestra aperta, no!».
«Ma tu, a Boccadasse, non dormi con la finestra aperta?».
«Che c’entra? Abito al terzo piano, intanto, e poi a Boccadasse non ci sono i ladri che ci sono qua».
E così, quando una notte Livia, sconvolta, gli aveva telefonato dicendogli che, mentre era fuori, i ladri a Boccadasse le avevano svaligiato la casa, egli, dopo aver rivolto un muto ringraziamento ai ladri genovesi, era riuscito a mostrarsi dispiaciuto, ma non quanto avrebbe dovuto.
Il telefono principiò a squillare.
La sua prima reazione fu di inserrare ancora di più gli occhi, ma non funzionò, è notorio che la vista non è l’udito. Avrebbe dovuto tapparsi le orecchie, ma preferì infilare la testa sotto il cuscino. Niente: debole, lontano, lo squillo insisteva. Si susì santiando, andò nell’altra càmmara, sollevò il ricevitore.
«Montalbano sono. Dovrei dire pronto, ma non lo dico. Sinceramente, non mi sento pronto».
All’altro capo ci fu un lungo silenzio. Poi arrivò il suono del telefono abbassato. E ora che aveva avuto quella bella alzata d’ingegno, che fare? Rimettersi corcato continuando a pinsàre al neo Presidente dell’Interbanco che, quando era ancora il compagno Martello, aveva pubblicamente cacato su una guantiera piena di biglietti da diecimila? O mettersi il costume e farsi una bella nuotata nell’acqua ghiazzata? Optò per la seconda soluzione, forse il bagno l’avrebbe aiutato a sbollire. Trasì in acqua e lo pigliò una mezza paralisi. Lo voleva capire sì o no che forse, a quasi cinquant’anni, non era più cosa? Non era più tempo di queste spirtizze. Tornò mestamente verso casa e già da una decina di metri di distanza sentì lo squillo del telefono. L’unica era accettare le cose come stavano. E, tanto per principiare, rispondere a quella chiamata.
Era Fazio.
«Levami una curiosità. Sei stato tu a telefonarmi un quarto d’ora fa?».
«Nonsi, dottore. Fu Catarella. Ma disse che lei ci aveva risposto che non era pronto. Allora ho lasciato passare tanticchia di tempo e ho richiamato io. Pronto si sente ora, dottore?».
«Fazio, come fai a essere tanto spiritoso di primo matino? Sei in ufficio?».
«Nonsi, dottore. Hanno ammazzato a uno. Zìppete!».
«Che viene a dire, zìppete?».
«Che gli hanno sparato».
«No. Un colpo di pistola fa bang, uno di lupara fa wang, una raffica di mitra fa ratatatatatà, una coltellata fa swiss».
«Bang fu, dottore. Un colpo solo. In faccia».
«Dove sei?».
«Sul luogo del delitto. Si dice accussì? Via Cavour 44. Lo sa dov’è?».
«Sì, lo so. L’hanno sparato in casa?».
«Ci stava tornando, a casa. Aveva appena infilata la chiave nel portone. È restato sul marciapiede».
Si può dire che l’ammazzatina di una pirsona càpita al momento giusto? No, mai: una morte è sempre una morte. Però il fatto concreto e innegabile era che Montalbano, mentre guidava alla volta di via Cavour 44, sentiva che il malo umore gli stava passando. Buttarsi dintra a un’indagine gli sarebbe servito per levarsi dalla testa i pinsèri tinti che aveva avuto nell’arrisbigliarsi.
Quando arrivò sul posto dovette farsi largo tra la gente. Come mosche sulla merda, pur essendoci solamente la prima luce, màscoli e fìmmine in agitazione attuppavano la strata. C’era macari una picciotta con un picciliddro in braccio il quale taliava la scena con gli occhi sgriddrati. Il metodo pedagogico della giovane madre fece girare i cabasisi al commissario.
«Via tutti!» urlò.
Alcuni si allontanarono immediatamente, altri vennero spintonati da Galluzzo. Si continuava a sentire un lamento, una specie di mugolìo. A farlo, era una cinquantina, tutta vestita a lutto stritto, due òmini la tenevano a forza perché non si gettasse sul cadavere che giaceva sul marciapiede a panza all’aria, il disegno della faccia reso illeggibile dal colpo che l’aveva pigliato in mezzo agli occhi.
«Portate via quella fìmmina».
«Ma è la madre, dottore».
«Che vada a piangere a casa sua. Qui è solo d’impaccio. Chi l’ha avvertita? Ha sentito lo sparo ed è scesa?».
«Nonsi, dottore. Lo sparo non ha potuto sentirlo in quanto la signora abita in via Autonomia Siciliana 12. Si vede che qualcuno l’ha avvertita».
«E lei stava lì, pronta, con l’abito nìvuro già indossato?».
«È vidova, dottore».
«Va bene, con garbo, ma portatevela via».
Quando Montalbano parlava accussì, veniva a dire che non era cosa. Fazio s’avvicinò ai due òmini, parlottò, i due si strascinarono la fìmmina.
Il commissario si mise allato al dottor Pasquano che stava acculato vicino alla testa del morto.
«Allora?» spiò.
«Allora sessanta minuti» rispose il dottore. E continuò, più sgarbato di Montalbano: «Ha bisogno che gliela spieghi io la facenna? Gli hanno sparato un solo colpo. Preciso, al centro della fronte. Dietro, il foro d’uscita si è portato via mezza scatola cranica. Vede quei grumetti? Sono una parte del cervello. Le basta?».
«Quando è successo, secondo lei?».
«Qualche ora fa. Verso le quattro, le cinque».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
Lascia un commento