Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di I guardiani di Maurizio De Giovanni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Rizzoli con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
I guardiani: trama del libro
Napoli non è una città come le altre. Napoli non è neppure una città sola. Perché sotto quella che conosciamo ce n’è una sotterranea, nascosta agli occhi del mondo, con il buio al posto del- la luce. Marco Di Giacomo l’aveva intuito, un tempo, quando era un brillante antropologo e aveva un talento unico nell’individuare collega- menti invisibili tra le cose. Poi qualcosa non ha funzionato e ora, ad appena quarant’anni, non è altro che un professore universitario collerico e introverso, con un solo amico, il suo impacciato ma utilissimo assistente Brazo Moscati. Considerati folli per le loro accanite ricerche sui culti antichi, i due sono costante oggetto dell’ironia di colleghi e studenti. Perciò nessuno si meraviglia quando il direttore del loro dipartimento li spedisce a fare da balie a una giornalista tedesca venuta in Italia per scrivere un pezzo sensazionalistico sui luoghi simbolo dell’esoterismo. Per liberarsi della seccatura, Marco chiede aiuto a sua nipote Lisi, ricercatrice anche più geniale dello zio ma con una preoccupante passione per le teorie complottiste. I quattro s’imbatteranno in una lunga catena di reati e strani eventi, scoprendosi parte di un disegno che potrebbe coinvolgere l’intera umanità.
Approfondimenti sul libro
In ebook I guardiani (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Il panorama. La vista.
Forse, sa, la differenza è tutta lì.
Lo penso spesso, anche quando mi ritrovo a cercare di ricostruire ogni cosa, a scavare nei dati e a elaborare la miriade di notizie e di numeri. Per capire il cammino che è stato fatto e quello che resta da fare. Quando mi chiedo il perché, anche se Dio sa quanto e come io cerchi di evitare di pormi questa terribile domanda.
Quello è uno schermo, ovviamente. Lo so, sembra una grande finestra, ma è uno schermo. È là da molto tempo, non voglio nemmeno dirle da quanto, perché non mi crederebbe. O forse sì; dimentico spesso che lei è speciale. Forse lei mi crederebbe.
Comunque è uno schermo. Ha una definizione assoluta, quindi di fatto è indistinguibile da una finestra. E ha di buono che si può scegliere di guardare un po’ in giro, diciamo così. Una specie di circuito aperto, ma non per sorvegliare. Per guardare. Solo per guardare.
Il panorama.
Io preferisco tenere l’immagine sull’esterno, proprio sul luogo in cui ci troviamo. Non cerchi riferimenti, non ce ne sono. Neve, alberi. Quelle cime in fondo, le uniche più alte nei dintorni. Il cielo, le nuvole. Qualche animale che si avventura a scovare qualcosa da mangiare. Non succede molto. Eppure si starebbe a guardare per ore, no? Perché mentre si guarda, la mente trova pace, e comincia a scavare nel suo stesso interno arrivando a profondità impossibili anche solo da concepire.
Il segreto delle scoperte più incredibili. L’evoluzione di ogni scienza, la scintilla di ogni arte. Il principio basilare di tutte le religioni, anche se poi, come immaginerà – e chi meglio di lei, d’altronde, può farlo – arrivano sempre ad altre conclusioni. È così semplice, eppure nessuno mai l’ha detto. Il segreto, una cosa così semplice. Mettersi a guardare, e liberare la mente.
Sa, forse le ho detto già tutto. Forse è tutto là. Il panorama.
Solo noi. Siamo gli unici. Non troverà altri animali sul pianeta che si fermeranno a scrutare l’orizzonte. Non troverà altri animali sul pianeta a osservare, gli occhi perduti dietro il bagliore rosso di una stella qualsiasi che cade di sera o che sorge di mattina. Non troverà altri animali sul pianeta che viaggiano per ore, magari giorni interi, per affacciarsi a un parapetto e sostare per un tempo indefinito che è un tempo di anima e di pensiero. Non ne troverà, perché non ne esistono.
Non è un caso, sa, che via via che andiamo avanti verso la fine sentiamo aumentare l’incanto e la nostalgia. Sono due lati in lotta, diciamo; e man mano che, inevitabilmente, uno dei due prevarrà, l’altro andrà spegnendosi piano e lascerà una scia di eventi indecifrabili.
Per cui io passo qui la maggior parte del tempo. A guardar cadere la neve, a lasciar volare le idee in quel cielo così assurdo.
Così assurdo.
II
La donna era in mezzo ad altre cinque, al riparo dello stretto cornicione di fronte alla chiesa. Una pioggia fine rendeva lucide le pietre sconnesse della piazzetta, e penetrava nelle ossa e nelle anime attraverso i vestiti. I lampioni ancora accesi, la luce del sole che si rifiutava di irrompere, pochi frettolosi passanti.
Le donne sembravano un piccolo stormo di grossi uccelli neri, in attesa di volare via. Due parlottavano sottovoce, come fossero già dentro la chiesa. Le teste coperte da uno scialle, le mani nelle tasche dei cappotti. Appena la lancetta dei minuti accostò quella delle ore, le sei e mezzo in punto, il portone si aprì e il sacrestano si avvicinò al cancello. Era un uomo basso e grasso, infreddolito e dall’aria sbrigativa. Lanciò un’occhiata torva alle donne, poi ostentando indifferenza aprì il chiavistello con studiata flemma. Le due più anziane, le stesse che chiacchieravano sottovoce, si diedero di gomito fissandolo ostili. Il sacrestano, una volta spalancato il cancello, si voltò e lentamente si avviò all’interno.
La chiesa era piccola, stretta tra i più recenti palazzi circostanti nel ventre molle della città antica. Dentro sembrava facesse più freddo che fuori. Odore di incenso bruciato e fiori appassiti. Umido, muffa.
Le vecchie sciamarono verso i primi banchi, prendendo posto per il rito del mattino. Una a mezza voce, incoerentemente, bestemmiò per il dolore alle ossa mentre si sedeva. Un’altra cominciò a salmodiare il rosario, imitata dalle altre.
Non si accorsero che una era rimasta indietro. Entrata per ultima, aveva fatto un passo di lato, infilandosi nell’ombra di una cappella senza candele. Curva, massiccia, tarchiata e nera come le altre, un cappotto logoro e una pesante sciarpa sulla testa. Si mosse silenziosa fino a un cancelletto che dava su una angusta rampa di scale. La voce del coro del rosario rispondeva decisa alle invocazioni declamate in un ipotetico, imbastardito latino. Furtiva, la donna nella navata laterale tirò fuori qualcosa dalla borsa che portava al braccio e iniziò ad armeggiare con la serratura del cancelletto, fermandosi quando il coro delle vecchie lasciava il posto alle invocazioni dell’improvvisata officiante. Lo scatto risuonò in una pausa della preghiera, ma fu preso per un rumore dalla strada; solo una delle vecchie, al secondo banco, alzò per un attimo la testa. La donna rimase ferma nell’oscurità, confusa contro la parete buia. La recitazione riprese, e dopo un attimo la donna aprì il cancelletto, attenta a evitare ogni minimo cigolio, e si dileguò giù per le scale.
Per quasi un quarto d’ora non accadde nulla. Il rosario si concluse e riprese, per poi terminare definitivamente quando entrò il parroco coi paramenti, pronto a officiare. Dietro di lui il sacrestano, impassibile e imbacuccato in un maglione a collo alto. La vecchia al primo banco gli lanciò un’occhiata velenosa che lui non restituì.
Dieci minuti ancora. Una luce flebile e grigia cominciò a filtrare dai finestroni in alto, avanzando minuto dopo minuto. Ma subito prima di raggiungere l’apertura sulla rampa di scale, una mano si posò sul cancelletto, spingendolo in avanti.
Un’agile ragazza scavalcò l’ultimo gradino con un saltello e fece il suo ingresso nella navata centrale. Era vestita di nero, come la signora anziana che era scesa ormai da mezz’ora, ma aveva movimenti fluidi, era più alta e i vestiti aderivano alle forme del corpo. Rimase in penombra fino al centro della navata, poi tolse lo scialle dalla testa liberando i capelli luminosi e, senza segnarsi, uscì a passo svelto dalla chiesa.
Il sacrestano aguzzò gli occhi per sbirciarle il sedere, mentre il portone si apriva nella luce piovigginosa di quel mattino di dicembre.
Le donne nei primi banchi continuarono a salmodiare, senza interrompersi.
III
Le due ragazze avevano atteggiamenti radicalmente diversi. Una si muoveva a disagio sulla sedia, cercando di non incontrare lo sguardo dell’altra, che si sforzava per non scoppiare a ridere. La prima portava gli occhiali, teneva le mani strette attorno a un fascicolo che aveva appoggiato sulle gambe; l’altra era bionda e aveva detto di essere lì solo per accompagnare l’amica.
Nella stanza ingombra di libri e documenti non erano sole. Dietro una disordinatissima scrivania sedeva il loro interlocutore, un giovane pallido e smunto, con due spesse lenti, e chiaramente in imbarazzo; a qualche metro di distanza, affaccendato davanti a una libreria che riempiva l’intera parete, l’altro personaggio.
Si trattava di un uomo sulla quarantina, alto e magro, piuttosto attraente nonostante l’aspetto disordinato. I capelli castani ricadevano in ciuffi sparsi sulla fronte. Sulla punta del naso un po’ lungo, un paio di occhiali da lettura; sotto, folti baffi brizzolati. Indossava una giacca sportiva marrone dai gomiti consunti e un’incongrua larga cravatta regimental coi colori sociali di un circolo nautico, giallo e verde, purtroppo per lui. I pantaloni di velluto a coste larghe, stazzonati e senza cintura, dai quali fuoriusciva di continuo una camicia color crema che ogni tanto, con un gesto nervoso, rimetteva a posto. L’uomo mormorava incessantemente qualcosa, tirando fuori e riponendo volumi sugli scaffali sempre più infastidito.
Davanti a lui un tavolo da riunioni, sul quale c’erano almeno trenta libri aperti e una pila di fogli sui quali si vedevano appunti scritti a mano in una grafia assai poco comprensibile.
Il giovane lanciò un’occhiata all’uomo proprio mentre si infilava per l’ennesima volta la camicia nei calzoni, si schiarì la voce e riportò l’attenzione sulla ragazza con gli occhiali. «Allora, signorina…»
La signorina gli venne in aiuto, incerta: «Rispoli, mi chiamo. Luisa Rispoli. Ero venuta per la tesi, dottor Moscati. Il professor Di Giacomo…». Si fermò, osservando per un attimo l’uomo coi baffi e subito distogliendo lo sguardo. «Il professore mi aveva detto di passare oggi, ma se disturbo posso ritornare un’altra volta.»
Senza voltarsi e mentre tentava di sfilare un enorme tomo dall’ultimo ripiano della libreria, in bilico sull’orlo di uno sgabello, Di Giacomo sibilò: «Sì, sì, Brazo, è vero, le ho detto io di passare, altrimenti non la finiva più di rompere le palle, lei e questa maledetta tesi. Vedi tu, io sto lavorando».
La ragazza bionda ridacchiò, sussurrando all’amica: «Manco se n’è accorto che stai qua, Lui’».
Il giovane chiamato Brazo tossicchiò, imbarazzato. «Allora, cara signorina Rispoli, lei è qui per la tesi, mi pare di capire, vero?»
La brunetta con gli occhiali era arrossita in maniera evidente. «Senta, dottore, il fatto che io sia una laureanda non deve certo consentire al professore di umiliarmi. Ho solo chiesto un appuntamento, com’è nel mio pieno dirit-
to, e…»
Moscati sorrise. «Oh, ma non deve tenere conto di quello che ha detto il professore, signorina. Anzi, ci scusi per il ritardo di questo incontro: l’istituto è onorato di avere una tesista così brillante e…»
«… e rompipalle» soggiunse ad alta voce Di Giacomo allungandosi verso il volume oggetto del suo desiderio. Il retro della camicia sventolava dalla giacca, mentre i pantaloni senza cintura calavano pericolosamente.
Brazo tossì ancora più forte, sperando di richiamare l’attenzione del professore, che tuttavia non si voltò.
La ragazza bionda fissava affascinata e divertita il pezzo di schiena nuda dell’uomo che si offriva alla vista. «Questo veramente è pazzo. Lo dicono tutti e tengono ragione.»
Moscati si girò verso di lei, corrugando la fronte ma senza smettere di sorridere. «E lei chi è, signorina?»
La bionda si strinse nelle spalle: «No, io sto a Economia. Abito con Luisa, qua, che si metteva paura di venire da sola, e così l’ho accompagnata».
La Rispoli sobbalzò e arrossì ancora di più. «Ma no, che c’entra, Gabriella è la mia coinquilina, dopo dobbiamo andare a fare la spesa e allora le ho chiesto…»
Di Giacomo, che era finalmente riuscito a prendere il volume e ora ondeggiava ancora più pericolosamente sullo sgabello, disse acido: «Le rompipalle passano a due, come le pizze di Totò».
La bionda strinse gli occhi e gli rispose: «Ma almeno si è accorto che le stanno scendendo i calzoni, sì?».
Il professore abbassò lo sguardo sull’addome scoperto e osservò pensoso lo spettacolo. «Ah. Ecco che cosa mi sono scordato, stamattina. La cintura. Eppure l’avevo messa da qualche parte.»
Brazo tossì più forte. «Va bene, allora, signorina Rispoli, a che punto siamo? Vedo che sta lavorando sui concetti di Karma e Dharma nell’induismo, è così? Un argomento basilare e di grande attualità, quindi ci aspettiamo…»
Senza alzare gli occhi dal volume che stava sfogliando, Di Giacomo commentò sarcastico: «Eh già. Seguiamo le maledette mode pure qua, dove si dovrebbe approfondire per trovare concetti nuovi. Sono più asini i laureati che le matricole, nel dipartimento di Antropologia».
La Rispoli sbatté le palpebre. «Ma… ma se sono venuta a chiederglielo almeno cinque volte, e lei…»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Maurizio De Giovanni.
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