Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Inés dell’anima mia di Isabel Allende. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Inés dell’anima mia: trama del libro
lnés de Suàrez nasce all’inizio del Cinquecento in Spagna, figlia di un modesto artigiano di Plasencia. Dotata di un forte temperamento che male si addice alla condizione femminile sottomessa all’autorità del clero e del maschio, lnés sposa contro la volontà della famiglia Juan de Malaga, che presto la abbandona per cercare fortuna in America. La giovane non si dà per vinta e, con i soldi guadagnati ricamando e cucinando, si imbarca anche lei per il Nuovo Mondo. lnés affronta le durissime condizioni di viaggio e si difende dai marinai libidinosi. Giunta in Perù, cerca invano il marito; senza più risorse, riprende a lavorare come sarta fin quando incontra Pedro Valvidia, un seducente hidalgo, fuggito dalle frustrazioni di un matrimonio deludente e venuto a combattere per la Corona spagnola. La passione infiamma lnés e Pedro che si mettono alla guida di pochi volontari attraverso un deserto infernale, combattono indigeni incattiviti e giungono infine nella valle paradisiaca dove fondano la città di Santiago. Le tribù autoctone difendono però il loro territorio e si accaniscono contro gli spagnoli, i cui feriti sono curati da Inés e da un’indigena a lei fedele: si rinforza così la fama di strega che la donna si era fatta scovando fonti d’acqua con una bacchetta (arte ereditata dalla madre). Non senza il malcontento di alcuni coloni, cresce la sua autorità a fianco di Pedro, divenuto governatore…
In ebook Inés dell’anima mia (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Ho perlomeno settant’anni, come ho detto, ben vissuti, ma la mia anima e il mio cuore, ancora imbrigliati in spiragli di gioventù, si domandano cosa diavolo sia successo al corpo. Quando mi guardo nello specchio d’argento, il primo regalo di Rodrigo per le nozze, non riconosco la nonnina coronata da capelli bianchi che a sua volta mi guarda. Ma chi è questa, che si burla della vera Inés? La esamino da vicino nella speranza di trovare in fondo allo specchio la bambina con le trecce e le ginocchia sbucciate che ero, la ragazza che scappava nei frutteti per fare l’amore di nascosto, la donna matura e appassionata che dormiva abbracciata a Rodrigo de Quiroga. Sono lì, appostate, ne sono certa, ma non riesco a intravederle. Ormai non monto più la mia giumenta, non porto né cotta di maglia né spada, e non per mancanza di coraggio, che ho sempre avuto in eccesso, ma per difetto del fisico. Mi mancano le forze, mi fanno male le giunture, ho freddo alle ossa e la vista appannata. Senza le lenti da scrivano, che ho commissionato in Perú, non potrei scrivere queste pagine. Volevo accompagnare Rodrigo – che Dio l’abbia in gloria – nella sua ultima battaglia contro gli indios, ma non me lo permise. “Sei troppo vecchia per queste cose, Inés” disse ridendo. “Almeno quanto te” risposi, benché non fosse vero, dato che era più giovane di me di alcuni anni. Credevamo che non ci saremmo più rivisti, ma ci congedammo senza lacrime, certi che ci saremmo ritrovati in un’altra vita. Da tempo sapevo che Rodrigo aveva i giorni contati, nonostante lui facesse di tutto per dissimulare. Non lo sentii mai lamentarsi, sopportava stringendo i denti e solo il sudore freddo sulla fronte denunciava il suo dolore. Partì per il Sud febbricitante, emaciato, con una pustola in suppurazione a una gamba, che tutti i miei rimedi e le preghiere non erano riusciti a curare; si accingeva a realizzare il suo desiderio di morire da soldato nel tumulto del combattimento e non sdraiato tra le lenzuola del letto come un vecchio. Io avrei desiderato essere lì per sostenergli la testa nell’istante finale e per ringraziarlo dell’amore che mi aveva donato nel corso delle nostre lunghe vite.
“Guarda, Inés,” mi disse indicando le nostre terre che si estendono fino alle falde della Cordigliera, “Dio ci ha affidato tutto ciò insieme alle anime di centinaia di indios. Come il mio dovere è combattere i selvaggi dell’Araucanía, il tuo è proteggere i possedimenti dell’encomienda e quanti vi abitano.”
Il vero motivo della partenza era che non voleva offrirmi il triste spettacolo della sua malattia, preferiva essere ricordato a cavallo, al comando dei suoi coraggiosi soldati, mentre combatteva nella regione sacra a sud del fiume Bío-Bío, dove si sono acquartierate le feroci milizie mapuche. Era nei suoi diritti di capitano; per questo ho accettato i suoi ordini da moglie sottomessa quale non ero mai stata. Dovevano portarlo al campo di battaglia in amaca e là suo genero, Martín Ruiz de Gamboa, lo legava al cavallo, come avevano fatto col Cid Campeador, la cui sola presenza bastava a terrorizzare il nemico. Si lanciava alla testa dei suoi uomini come un pazzo, sfidando il pericolo e con il mio nome sulle labbra, ma non trovò la morte bramata. Me lo riportarono indietro su un improvvisato palanchino, gravemente ammalato perché il veleno del tumore gli aveva invaso il corpo. Qualunque altra persona avrebbe capitolato molto prima, ma Rodrigo era forte, nonostante la devastazione della malattia e la stanchezza della guerra. “Ti ho amata dal primo momento in cui ti ho vista e ti amerò per l’eternità, Inés” mi disse durante l’agonia e aggiunse che desiderava essere sepolto senza clamore e che venissero officiate trenta messe per il riposo della sua anima. Morì in questa casa, tra le mie braccia, un caldo pomeriggio d’estate. Vidi aggirarsi la Morte, un po’ indistinta, ma inconfondibile, come vedo le lettere su questo foglio di carta, e allora ti chiamai, Isabel, perché mi aiutassi a vestirlo visto che Rodrigo era troppo orgoglioso per mostrare i segni della malattia alla servitù. Solo a te, sua figlia, e a me, permise di sistemargli l’armatura completa e gli stivali ribattuti; poi lo mettemmo a sedere sulla sua poltrona preferita, con l’elmo e la spada sulle ginocchia, perché ricevesse i sacramenti della Chiesa e ci lasciasse con l’inalterata dignità con cui aveva vissuto. La Morte, che non si era allontanata dal suo fianco e attendeva con discrezione che terminassimo di prepararlo, lo avvolse tra le sue braccia materne e poi mi fece un segno affinché mi avvicinassi a ricevere l’ultimo respiro di mio marito. Mi chinai su di lui e lo baciai sulla bocca, un bacio da innamorata.
Non potei tener fede alle disposizioni di Rodrigo che voleva essere congedato senza clamore, perché era l’uomo più amato e rispettato del Cile. L’intera Santiago lo pianse inconsolabilmente e dalle altre città del regno giunsero innumerevoli manifestazioni di cordoglio. Alcuni anni prima, la gente era uscita per strada a festeggiare con fiori e salve d’archibugio la sua nomina a governatore. Gli demmo sepoltura con i dovuti onori nella chiesa di Nuestra Señora de las Mercedes, che io e lui avevamo fatto erigere per la gloria della Santissima Vergine, dove ben presto anche i miei resti riposeranno. Il lascito che ho fatto all’ordine della Virgen de las Mercedes garantisce che per trecento anni verrà officiata una messa settimanale per il riposo dell’anima del nobile hidalgo don Rodrigo de Quiroga, valoroso soldato di Spagna, adelantado, conquistador e due volte governatore del Regno del Cile, cavaliere dell’ordine di Santiago, mio marito. Questi mesi senza di lui sono stati eterni.
Non debbo anticipare la narrazione, se racconto i fatti della mia vita senza rigore né criterio mi perderò lungo la strada; una cronaca deve seguire l’ordine naturale degli avvenimenti, per quanto la memoria sia un groviglio privo di logica. Scrivo di notte, sul tavolo da lavoro di Rodrigo, avvolta nella sua coperta di alpaca. Mi protegge Baltasar quarto, bisnipote del cane che venne in Cile e mi accompagnò per quattordici anni. Quel primo Baltasar morì nel 1553, nello stesso anno in cui uccisero Valdivia, ma mi lasciò i suoi discendenti, tutti giganteschi, dalle zampe tozze e il pelame ispido. Nonostante i tappeti, le tende, la tappezzeria e i bracieri che la servitù tiene sempre pieni di carboni accesi, questa casa è fredda. Spesso ti lamenti, Isabel, del fatto che qui non si respira dal caldo; il freddo non deve essere nell’aria allora, ma dentro di me. Posso annotare i miei ricordi e i miei pensieri con inchiostro su carta grazie al sacerdote González de Marmolejo che nell’esercizio della sua missione di evangelizzare i selvaggi e consolare i cristiani si ritagliò del tempo per insegnarmi a leggere e a scrivere. A quei tempi era cappellano, ma poi diventò il primo vescovo del Cile, nonché l’uomo più ricco di questo regno, come racconterò più avanti. Morì senza portarsi nulla nella tomba, lasciando traccia delle sue buone azioni che gli valsero l’amore della gente. Alla fine, si possiede solo ciò che si è dato, come diceva Rodrigo, il più generoso tra gli uomini.
Iniziamo dal principio, dai miei primi ricordi. Sono nata a Plasencia, nella parte settentrionale dell’Estremadura, una città di frontiera, bellicosa e pia. La casa di mio nonno, dove sono stata allevata, era a un tiro di schioppo dalla cattedrale, chiamata La Vieja, in tono affettuoso visto che era del XIVsecolo. Sono cresciuta all’ombra della sua strana torre coperta di tegole a scaglie. Non ho più rivisto le ampie mura che proteggono la città, la spianata della plaza Mayor, le sue buie stradine, le palazzine in pietra e le verande ad arco, e nemmeno la piccola tenuta di mio nonno, dove vivono ancora i nipoti di mia sorella maggiore. Mio nonno, ebanista di professione, era membro della Confraternita della Vera Cruz, privilegio molto al di sopra della sua condizione sociale. Tale congregazione, insediata presso il più antico convento della città, è quella che apre le processioni durante la Settimana santa. Mio nonno, vestito con l’abito viola, cingolo giallo e guanti bianchi, era uno dei portantini della Santa Cruz. La sua tunica era macchiata di sangue, sangue delle frustate che si infliggeva per condividere la sofferenza di Cristo nel cammino verso il Golgota.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice di origine cilena rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Isabel Allende.
Ottimo romanzo ne comprerò il libro