L’incredibile Infinite Jest di David Forster Wallace è uno dei romanzi più importanti e rappresentativi della letteratura contemporanea. La prosa sorprendente e l’acume geniale dello scrittore trascinano il lettore in un lunghissimo vortice dal quale si emerge con la sensazione di aver letto qualcosa di assolutamente unico e irripetibile. Vediamo insieme il riassunto della trama di Infinite Jest e un esempio delle straordinarie capacità tecniche di Forster Wallace.
Infinite Jest: trama del libro
In un futuro non troppo remoto e che somiglia in modo preoccupante al nostro presente, la merce, l’intrattenimento e la pubblicità hanno ormai occupato anche gli interstizi della vita quotidiana. Le droghe sono diffuse ovunque, come una panacea alla noia e alla disperazione. Finché sulla scena irrompe un misterioso film, Infinite Jest, cosí appassionante e ipnotico da cancellare in un istante ogni desiderio se non quello di guardarne le immagini all’infinito, fino alla morte. Nella caccia che si scatena attorno a questa che è la droga perfetta finiscono coinvolti i residenti di una casa di recupero per tossicodipendenti e gli studenti di un’Accademia del Tennis; e ancora imbroglioni, travestiti, artisti falliti, giocatori di football professionistico, medici, bibliofili, studiosi di cinema, cospiratori.
ACQUISTALO CON IL 15% DI SCONTO LEGGI RECENSIONI SU AMAZONMi siedono in un ufficio, sono circondato da teste e corpi. La mia postura segue consciamente la forma della sedia. Sono in una stanza fredda nel reparto Amministrazione dell’Università, dei Remington sono appesi alle pareti rivestite di legno, i doppi vetri ci proteggono dal caldo novembrino e ci isolano dai rumori Amministrativi che vengono dall’area reception, dove poco fa siamo stati accolti lo zio Charles, il Sig. deLint e io.
Sono qui dentro.
All’altro lato di un grande tavolo in legno di pino che splende della luce del mezzogiorno dell’Arizona, tre facce sono materializzate sopra giubbotti sportivi leggeri e Windsor a mezze maniche. Sono tre Decani – Ammissione, Affari Accademici e Affari Atletici. Non so attribuire le facce.
Credo di sembrare un tipo normale, forse perfino simpatico, anche se mi hanno consigliato di apparire il piú normale possibile, e di non provare nemmeno a fare quella che a me parrebbe un’espressione simpatica o un sorriso.
Ho deciso di incrociare le gambe come si deve, con attenzione, caviglia sul ginocchio e mani riunite in grembo. Tengo le dita intrecciate e mi sembrano diventare una serie di x vista allo specchio. Il resto delle persone presenti nella sala include: il Direttore di Composizione dell’Università, l’allenatore di tennis, e il prorettore dell’Accademia, il Sig. A. deLint. C.T. è accanto a me; gli altri sono rispettivamente seduto, in piedi, in piedi, alla periferia del mio campo visivo. L’Allenatore di tennis giochicchia con degli spiccioli. C’è qualcosa di vagamente digestivo nell’odore della stanza. La suola ad alta trazione della mia Nike regalatami dalla Nike è parallela al mocassino fremente del fratellastro di mia madre, qui nel suo ruolo di Preside, seduto anche lui davanti ai Decani a quella che spero sia la mia destra.
Il Decano sulla sinistra, un uomo magro e giallognolo il cui sorriso fisso ha la precarietà delle cose impresse su materiale non-cooperativo, fa parte di un tipo di personalità che di recente ho imparato ad apprezzare; è il tipo che, raccontando per me, a me, la mia versione dei fatti, allontana la necessità di una qualunque risposta da parte mia. Ha davanti a sé una pila di fogli scritti al computer appena passatigli da un Decano spelacchiato al centro, sta praticamente parlando a quelle pagine e sorride.
«Lei è Harold Incandenza, diciott’anni, conseguirà la maturità di Scuola superiore all’incirca entro un mese da oggi, attualmente frequenta l’Enfield Tennis Academy di Enfield, nel Massachusetts, il collegio presso cui risiede». Ha degli occhiali da lettura rettangolari, a forma di campo da tennis, con le righe in cima e in fondo. «Lei è, secondo l’Allenatore White e il Decano [incomprensibile], un giocatore di tennis juniores classificato a livello regionale, nazionale e continentale; un potenziale atleta di livello Onancaa, una grande promessa. È stato contattato dall’Allenatore White attraverso uno scambio di corrispondenza con il qui presente Dott. Tavis a partire dal… febbraio di quest’anno». Una volta letta, la pagina in cima alla pila viene metodicamente messa in fondo al mazzo. «Lei vive alla Enfield Tennis Academy dall’età di sette anni». Sto cercando di capire se posso correre il rischio di grattarmi il lato destro della mascella, dove ho una cisti sebacea.
«L’Allenatore White fa presente ai nostri uffici di tenere in alta considerazione i programmi e i risultati conseguiti dall’Enfield Tennis Academy, dice che la squadra di tennis dell’Università dell’Arizona ha tratto beneficio dall’aver immatricolato in passato numerosi ex studenti Eta, uno dei quali è un certo signor Aubrey F. deLint, che sembra essere qui con lei, oggi. L’Allenatore White e il suo staff ci hanno convinto—»
L’eloquio dell’amministratore giallastro è piuttosto mediocre, ma devo ammettere che si è fatto capire. Il Direttore di Composizione sembra avere piú sopracciglia del normale. Il Decano sulla destra guarda la mia faccia in un modo un po’ strano.
Lo zio Charles sta dicendo che, pur sapendo che i Decani potrebbero valutare le sue affermazioni come quelle di un interessato sostenitore dell’Eta, si dichiara disposto a garantire ai Decani qui riuniti che è tutto vero, che l’Accademia annovera attualmente fra i suoi ospiti non meno di un terzo dei trenta migliori juniores del continente, in ogni fascia di età, e che io qui presente, «Hal», sono «proprio là in testa, fra la crema della crema». Il Decano sulla destra e quello al centro fanno un gentile sorriso professionale, le teste di deLint e dell’allenatore s’inclinano mentre il Decano a sinistra si schiarisce la gola:
«—che perfino come matricola lei potrebbe apportare un contributo sostanziale al programma tennistico di questa Università. Siamo lieti», dice o forse legge, mettendo a posto un’altra pagina, «che lei abbia scelto di essere qui tra noi, oggi, dandoci cosí l’opportunità di riunirci tutti insieme e parlare un po’ della sua domanda di iscrizione, del potenziale accoglimento, da parte nostra, della sua immatricolazione e della sua borsa di studio».
«Mi è stato chiesto di aggiungere che il nostro Hal è la terza testa di serie nel singolo maschile Under 18 del prestigioso torneo juniores WhataBurger Southwest Invitational al Randolph Tennis Center—» dice quello che ipotizzo essere
Piccolo cerchio bianco con ombra verso destra
ANNO DI GLAD
Mi siedono in un ufficio, sono circondato da teste e corpi. La mia postura segue consciamente la forma della sedia. Sono in una stanza fredda nel reparto Amministrazione dell’Università, dei Remington sono appesi alle pareti rivestite di legno, i doppi vetri ci proteggono dal caldo novembrino e ci isolano dai rumori Amministrativi che vengono dall’area reception, dove poco fa siamo stati accolti lo zio Charles, il Sig. deLint e io.
Sono qui dentro.
All’altro lato di un grande tavolo in legno di pino che splende della luce del mezzogiorno dell’Arizona, tre facce sono materializzate sopra giubbotti sportivi leggeri e Windsor a mezze maniche. Sono tre Decani – Ammissione, Affari Accademici e Affari Atletici. Non so attribuire le facce.
Credo di sembrare un tipo normale, forse perfino simpatico, anche se mi hanno consigliato di apparire il piú normale possibile, e di non provare nemmeno a fare quella che a me parrebbe un’espressione simpatica o un sorriso.
Ho deciso di incrociare le gambe come si deve, con attenzione, caviglia sul ginocchio e mani riunite in grembo. Tengo le dita intrecciate e mi sembrano diventare una serie di x vista allo specchio. Il resto delle persone presenti nella sala include: il Direttore di Composizione dell’Università, l’allenatore di tennis, e il prorettore dell’Accademia, il Sig. A. deLint. C.T. è accanto a me; gli altri sono rispettivamente seduto, in piedi, in piedi, alla periferia del mio campo visivo. L’Allenatore di tennis giochicchia con degli spiccioli. C’è qualcosa di vagamente digestivo nell’odore della stanza. La suola ad alta trazione della mia Nike regalatami dalla Nike è parallela al mocassino fremente del fratellastro di mia madre, qui nel suo ruolo di Preside, seduto anche lui davanti ai Decani a quella che spero sia la mia destra.
Il Decano sulla sinistra, un uomo magro e giallognolo il cui sorriso fisso ha la precarietà delle cose impresse su materiale non-cooperativo, fa parte di un tipo di personalità che di recente ho imparato ad apprezzare; è il tipo che, raccontando per me, a me, la mia versione dei fatti, allontana la necessità di una qualunque risposta da parte mia. Ha davanti a sé una pila di fogli scritti al computer appena passatigli da un Decano spelacchiato al centro, sta praticamente parlando a quelle pagine e sorride.
«Lei è Harold Incandenza, diciott’anni, conseguirà la maturità di Scuola superiore all’incirca entro un mese da oggi, attualmente frequenta l’Enfield Tennis Academy di Enfield, nel Massachusetts, il collegio presso cui risiede». Ha degli occhiali da lettura rettangolari, a forma di campo da tennis, con le righe in cima e in fondo. «Lei è, secondo l’Allenatore White e il Decano [incomprensibile], un giocatore di tennis juniores classificato a livello regionale, nazionale e continentale; un potenziale atleta di livello Onancaa, una grande promessa. È stato contattato dall’Allenatore White attraverso uno scambio di corrispondenza con il qui presente Dott. Tavis a partire dal… febbraio di quest’anno». Una volta letta, la pagina in cima alla pila viene metodicamente messa in fondo al mazzo. «Lei vive alla Enfield Tennis Academy dall’età di sette anni». Sto cercando di capire se posso correre il rischio di grattarmi il lato destro della mascella, dove ho una cisti sebacea.
«L’Allenatore White fa presente ai nostri uffici di tenere in alta considerazione i programmi e i risultati conseguiti dall’Enfield Tennis Academy, dice che la squadra di tennis dell’Università dell’Arizona ha tratto beneficio dall’aver immatricolato in passato numerosi ex studenti Eta, uno dei quali è un certo signor Aubrey F. deLint, che sembra essere qui con lei, oggi. L’Allenatore White e il suo staff ci hanno convinto—»
L’eloquio dell’amministratore giallastro è piuttosto mediocre, ma devo ammettere che si è fatto capire. Il Direttore di Composizione sembra avere piú sopracciglia del normale. Il Decano sulla destra guarda la mia faccia in un modo un po’ strano.
Lo zio Charles sta dicendo che, pur sapendo che i Decani potrebbero valutare le sue affermazioni come quelle di un interessato sostenitore dell’Eta, si dichiara disposto a garantire ai Decani qui riuniti che è tutto vero, che l’Accademia annovera attualmente fra i suoi ospiti non meno di un terzo dei trenta migliori juniores del continente, in ogni fascia di età, e che io qui presente, «Hal», sono «proprio là in testa, fra la crema della crema». Il Decano sulla destra e quello al centro fanno un gentile sorriso professionale, le teste di deLint e dell’allenatore s’inclinano mentre il Decano a sinistra si schiarisce la gola:
«—che perfino come matricola lei potrebbe apportare un contributo sostanziale al programma tennistico di questa Università. Siamo lieti», dice o forse legge, mettendo a posto un’altra pagina, «che lei abbia scelto di essere qui tra noi, oggi, dandoci cosí l’opportunità di riunirci tutti insieme e parlare un po’ della sua domanda di iscrizione, del potenziale accoglimento, da parte nostra, della sua immatricolazione e della sua borsa di studio».
«Mi è stato chiesto di aggiungere che il nostro Hal è la terza testa di serie nel singolo maschile Under 18 del prestigioso torneo juniores WhataBurger Southwest Invitational al Randolph Tennis Center—» dice quello che ipotizzo essere Affari Atletici, la testa chinata di traverso a mostrare uno scalpo punteggiato di efelidi.
«Là al Randolph Park, vicino al fantastico El Con Marriott», si inserisce C.T., «una sede sportiva che si dice sia il meglio del meglio, che—»
«Proprio cosí, Chuck, e vorrei anche aggiungere che, come dice il nostro Chuck, Hal ha già giustificato il suo numero di testa di serie entrando in semifinale con la vittoria, mi si dice schiacciante, di questa mattina, e domani giocherà di nuovo contro il vincitore di uno dei quarti di finale di stasera, e quindi giocherà domani, credo alle 0830h—»
«Cercano di anticipare questo maledetto caldo. Anche se ovviamente è un caldo secco».
«—e a quanto pare si è anche già qualificato per gli Indoor Continentali di quest’inverno su a Edmonton, mi dice Kirk—» e si inclina un altro po’ per guardare in su e a sinistra verso l’allenatore, i cui denti splendono contro la violenta scottatura del viso. «Il che non è davvero poco». Mi guarda, sorride. «Tutto giusto, Hal?»
C.T. ha incrociato le braccia con noncuranza; la carne dei suoi tricipiti è screziata nella luce filtrata dall’aria condizionata. «Tutto giustissimo, Bill». E sorride. Le due metà dei suoi baffi non sono mai perfettamente parallele. «E se mi è consentito vorrei aggiungere che Hal è entusiasta, entusiasta all’idea di essere stato invitato al torneo per il terzo anno consecutivo; di ritrovarsi ancora una volta in una comunità per la quale nutre un autentico affetto; di potersi intrattenere con i vostri studenti e i vostri istruttori; di aver già giustificato il suo numero di testa di serie passando indenne per le difficili sfide di questa settimana; di essere ancora in ballo, per cosí dire; ma naturalmente, sopra ogni cosa, Hal è entusiasta di avere l’opportunità di incontrare voi, signori, e di poter dare un’occhiata a strutture e servizi. Da quanto ha avuto modo di constatare, qui tutto è davvero di prima categoria».
Silenzio. DeLint appoggia la schiena ai pannelli della stanza e ritrova l’equilibrio. Mio zio fa un gran sorriso e raddrizza il cinturino dell’orologio, già dritto di suo. Il 62,5 per cento delle facce nella stanza è rivolto verso di me, in cortese e compiaciuta attesa. Il torace mi sussulta come una centrifuga in azione con delle scarpe dentro. Cerco di mettere insieme quello che dovrebbe esser visto come un sorriso. Mi volto da una parte e dall’altra, lentamente, lievemente, come a dedicare il sorriso a ognuno di loro.
Di nuovo silenzio. Le sopracciglia del Decano giallastro si fanno circonflesse. Gli altri due Decani guardano il Direttore di Composizione. L’allenatore di tennis è andato a sistemarsi accanto alla grande finestra e si tocca sulla nuca i capelli tagliati a spazzola. Lo zio Charles si carezza l’avambraccio, subito sopra l’orologio. Sul lucore del tavolo di pino si muovono piano le ombre arcuate e affilate delle foglie di una palma, l’ombra dell’unica testa riflessa pare una luna nera.
«Chuck, scusa, ma Hal si sente bene?» chiede Affari Atletici. «Mi pare che l’espressione di Hal sia… be’, molto tesa. Sta male? Ti senti male, figliolo?»
«Hal sta che è una meraviglia», sorride mio zio, e muove l’aria con un movimento noncurante della mano.
Per la biografia e la bibliografia dell’autore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a David Forster Wallace.
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