Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di L’inventore di sogni di Ian McEwan. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Einaudi con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 6,99.
L’inventore di sogni: trama del libro
Un bambino sogna a occhi aperti e immagina di far sparire l’intera famiglia, un po’ per noia e un po’ per dispetto, con un’immaginaria Pomata Svanilina; oppure sogna di poter togliere al gatto di casa la pelliccia, di farne uscire l’anima felina e di prenderne il posto, vivendone per qualche giorno la vita, soltanto in apparenza sonnacchiosa; oppure sogna che le bambole della sorella si animino e lo aggrediscano per scacciarlo dalla sua camera… Fin dalle prime pagine di questo libro ritroviamo il consueto campionario di immagini perturbanti che sono un po’ il “marchio di fabbrica” di McEwan. Specialmente nella prima stagione della sua narrativa l’autore britannico ci aveva abituato a profondi e terribili scandagli nel microcosmo della famiglia, e in quei mondi chiusi e violenti i bambini e gli adolescenti giocavano sia il ruolo delle vittime e sia quello dei carnefici.
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Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che Peter finalmente capí. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L’altro problema era che gli piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente. Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo piú gli piaceva prendersi un’ora per stare tranquillo in qualche posto, che so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri.
Il guaio è che i grandi si illudono di sapere che cosa succede dentro la testa di un bambino di dieci anni. Ed è impossibile sapere di una persona che cosa pensa, se quella persona non lo dice. La gente vedeva Peter sdraiato per terra un bel pomeriggio d’estate, a masticare un filo d’erba o a contemplare il cielo. «Peter! Peter! A che cosa pensi?» gli domandavano. E Peter si rizzava a sedere di soprassalto dicendo: «A niente. Davvero!» I grandi sapevano che nella sua testa qualcosa doveva pur esserci, ma non riuscivano né a vedere né a sentire che cosa. Dirgli di smettere non potevano, non sapendo che cosa stesse facendo. Magari stava pensando di dare fuoco alla scuola, o di dare sua sorella in pasto a un alligatore, o di scappare di casa a bordo di una mongolfiera, ma loro non vedevano altro che un ragazzino tutto preso a contemplare il cielo senza battere ciglio, un ragazzino che, se qualcuno lo chiamava, neppure rispondeva.
Quanto a stare per conto suo, be’, neanche quello ai grandi andava giú. A mala pena sopportano che lo faccia uno di loro. Se ti unisci alla compagnia, la gente sa che cosa ti passa per la mente. Perché è la stessa cosa che sta passando per la mente degli altri. Se non vuoi fare il guastafeste, devi unirti alla compagnia. Ma Peter non la pensava cosí. Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso. Ma la gente esagera. Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un po’ meno tempo a stare insieme e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un po’ di piú a stare da soli e a pensare a chi siamo e chi potremo essere, allora il mondo sarebbe stato un posto migliore, magari anche senza le guerre.
A scuola Peter spesso lasciava Peter seduto nel banco, mentre la sua mente partiva per lunghi viaggi, ma anche a casa gli era capitato di avere delle noie per quei sogni a occhi aperti. Un Natale il padre di Peter, Thomas Fortune, stava sistemando le decorazioni in soggiorno. Detestava fare quel lavoro. Diventava sempre di cattivo umore. Quella volta, doveva attaccare dei nastri in alto in un angolo. Be’, proprio in quell’angolo c’era una poltrona e seduto su quella poltrona a fare niente di speciale, c’era Peter.
– Non ti muovere, – disse Mr Fortune. – Adesso salgo sulla poltrona per arrivare al muro.
– Va bene, – disse Peter. – Fa’ pure.
Ed ecco Mr Thomas Fortune salire sopra la poltrona, e Peter salire in groppa ai suoi pensieri. A vederlo si sarebbe detto che non faceva nulla, ma in realtà era occupatissimo. Si stava inventando un modo emozionante di scendere dalle montagne con un attaccapanni e una corda ben tesa tra due pini. Continuò a pensarci mentre suo padre stava ritto sullo schienale della poltrona, ansimando e stirandosi per arrivare al soffitto. Come si poteva fare, pensava intanto Peter, per scivolare senza andare a sbattere negli alberi che tenevano la corda?
Chissà, forse l’aria di montagna stuzzicò l’appetito di Peter. Fatto sta che in cucina c’era un pacchetto nuovo di biscotti al cioccolato. Non era bello continuare a ignorarli. Peter non fece in tempo ad alzarsi che sentí alle sue spalle un orrendo frastuono. E si voltò proprio mentre suo padre cadeva a testa prima nel buco tra la poltrona e il muro. Poi Mr Fortune riapparve, per prima la testa di nuovo. Sembrava deciso a fare Peter a pezzettini. Dall’altra parte della stanza, la mamma si teneva stretta la mano sulla bocca per non farsi sorprendere a ridere.
– Oh, scusa papà, – disse Peter. – Mi ero dimenticato che eri lí.
Poco dopo il suo decimo compleanno, a Peter venne affidato il delicato incarico di accompagnare a scuola la sorellina Kate, di sette anni. Peter e Kate frequentavano la stessa scuola. Ci voleva un quarto d’ora per raggiungerla a piedi e pochi minuti, con l’autobus. Di solito ci andavano a piedi con il papà che poi proseguiva per il suo ufficio. Adesso però i bambini erano abbastanza grandi da poter andare da soli in autobus, e la responsabilità dell’impresa ricadeva su Peter.
Non erano che due fermate lungo la stessa via, ma a sentire quanto la facevano lunga la mamma e il papà, si sarebbe detto che Peter stava portando Kate al Polo Nord. La sera prima ricevette istruzioni. Al risveglio gli toccò risentirsele tutte. Poi gliene fecero un dettagliato promemoria durante la colazione. E quando i bambini erano ormai sulla porta, la mamma, Viola Fortune, ripassò un’ultima volta le varie fasi dell’operazione.
Sono tutti convinti che io sia stupido, pensò Peter. Magari è vero. Non doveva lasciare mai la manina di Kate. Dovevano prendere posto a sedere al piano di sotto dell’autobus; Kate dalla parte del finestrino. Guai se si lasciavano convincere a chiacchierare con degli svitati o dei malintenzionati. Peter avrebbe detto bene al controllore dove doveva farli scendere, senza dimenticare di chiedere per piacere. E non doveva staccare gli occhi dalla strada.
Peter ripeté tutto quanto a sua madre, e si avviò alla fermata con sua sorella. Si tennero per mano lungo tutto il tragitto. Per la verità, non gli dispiaceva l’incarico, perché sua sorella gli stava simpatica. Sperava solo che nessuno dei suoi compagni lo vedesse in giro mano nella mano con una bambina. Ecco l’autobus. Salirono e presero posto al piano di sotto. Si sentivano ridicoli a tenersi per mano anche stando seduti e poi c’erano degli altri bambini della scuola intorno, perciò si lasciarono liberi. Peter era piuttosto fiero di sé. Avrebbe potuto badare a sua sorella dovunque. Kate poteva contare su di lui. Supponiamo ad esempio che si ritrovassero da soli su un valico d’alta montagna, di fronte a un branco di lupi affamati, lui avrebbe saputo esattamente come comportarsi. Facendo ben attenzione di non compiere alcun movimento improvviso, avrebbe indietreggiato con Kate fino ad avere le spalle al sicuro contro una parete rocciosa. In quel modo, i lupi non avrebbero potuto circondarli. Ed ecco giunto il momento di tirar fuori di tasca due cose importantissime che per fortuna si era ricordato di prendere: il coltello da caccia e la scatola di fiammiferi. Estrae il coltello dal fodero e lo appoggia a terra fra l’erba, pronto all’uso nel caso i lupi decidessero di attaccare. Si stanno avvicinando, in effetti. Sono cosí affamati che ululano e perdono bava dalle fauci. Kate intanto singhiozza, ma non è certo adesso che può consolarla. Sa bene di doversi concentrare sul piano d’azione…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore inglese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Ian McEwan.
Bel commento. Dà l’idea esatta di quello che leggeresti.
Come posso finire la storia?