Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di L’isola dei monaci senza nome di Marcello Simoni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Newton Compton con un prezzo di copertina di 5,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 3,99.
L’isola dei monaci senza nome: trama del libro
Il 12 luglio 1544 l’armata del corsaro ottomano Barbarossa mette sotto assedio le coste dell’isola d’Elba. Lo scopo è liberare il figlio ventenne del suo generale delle galee, Sinan il Giudeo, tenuto in ostaggio dal principe di Piombino. Ma il vero interesse del corsaro non è il ragazzo, ma il terribile segreto che egli custodisce. Il figlio di Sinan ha scoperto infatti di essere l’ultimo depositario di un mistero risalente ai tempi di Gesù e in grado di minare, se rivelato, le basi della fede cattolica. Ma il segreto del Rex Deus è stato occultato per oltre due secoli ed entrarne in possesso sarà tutt’altro che semplice. Il giovane dovrà seguire un’antica pista di indizi lasciata da un monaco templare, destreggiandosi tra rivalità di corsari, intrighi di corte e battaglie navali. E dovrà anche sventare il complotto della loggia dei Nascosti, intenzionata a impossessarsi dell’antico segreto.
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Una notte senza luna, sul mare di Toscana.
Il monaco si chinò per raccogliere il pugnale scivolato sull’assito del ponte, poi si rialzò in fretta e corse barcollando verso poppa, per non restare coinvolto nello scontro che infuriava ai piedi dell’albero di maestra. I pirati turchi avevano approfittato dell’oscurità per arrembare la galea. Se voleva salvarsi doveva assolutamente calarsi in mare, ma prima di raggiungere la scialuppa si accorse di avere un uomo alle calcagna. Lo vide uscire dalle tenebre, indifferente al violento oscillare della nave, con una scimitarra in una mano e una lanterna nell’altra. Non gli parve di stazza troppo robusta, tuttavia qualcosa nel suo portamento lo indusse a indietreggiare. Non sono all’altezza, si disse, provando il bruciore della vergogna. Fino ad allora era sempre riuscito a evitare simili pericoli, benché fosse preparato all’eventualità, e come un lampo nella tempesta sentì i precetti del suo maestro attraversargli la mente. Mai esitare dinanzi al nemico. Il monaco annuì tra sé, valutando se uno sguardo deciso e una voce salda fossero sufficienti a piegare un animo feroce, ma temette che l’oscurità e il fragore della burrasca avrebbero vanificato l’uno e l’altra.
D’un tratto avvertì l’incombere dell’inseguitore e capì di non avere scelta. Doveva battersi, come stava facendo chiunque altro a bordo di quella dannata galea. Tuttavia non fu la paura a fargli tremare i polsi, bensì la consapevolezza di cosa sarebbe accaduto se fosse morto. La sua vita era votata a proteggere un segreto antichissimo. Un segreto che non avrebbe mai dovuto essere scoperto.
In nome di quel segreto, trovò il coraggio di tendere il pugnale in avanti per sfidare l’inseguitore. Ne scorse l’ampio turbante, poi il volto privo di un occhio e la barba corvina che si apriva a ventaglio sotto il mento. Aveva il torace protetto da un corsaletto lamellato d’oro, il resto del corpo abbigliato da vesti pregiate. Non si trattava di un comune pirata.
«Abbassate quell’arma», intimò il turco con voce cavernosa, «o ve la toglierò io stesso, insieme alla mano che la brandisce».
Il monaco sentì la sua voce rimbombare nel petto, ma accolse la minaccia senza tradire emozioni. «Troverete maggior resistenza di quanta ne immaginiate!», e con un balzo improvviso tentò un affondo.
Il pirata si limitò a spostarsi di lato, mandandolo a terra con uno sgambetto. Lo guardò ruzzolare sull’assito, il pugnale finito chissà dove, poi si avvicinò sollevando la lanterna. «L’ardimento non basta», ghignò. «E tuttavia, per quel che vale, avete ottenuto il mio rispetto».
«Ebbene, uccidetemi!», disse il monaco, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento sull’umiliazione. «Cosa aspettate?».
Con sua grande sorpresa, il pirata rifoderò la scimitarra e si chinò su di lui, afferrandogli un braccio per aiutarlo a rialzarsi. «Non sono qui per versare il vostro sangue», rivelò, «ma per conoscere il vostro segreto». Il suo tono si era fatto serio, quasi confidenziale.
Il monaco ebbe il sentore di potersi fidare, ma volle dubitare di quella sensazione. «Io non ho segreti», sibilò, divincolandosi.
Il turco scoppiò in una seconda risata. «L’unico monachus peregrinus a bordo di una galea del papa», e gli batté l’indice sul petto, «pretende di non custodire segreti?». Portò la mano all’elsa. «Sciogliete la lingua, so bene cosa nascondete».
«Giammai!».
L’unico occhio del pirata si strinse. «Preferite dunque confessare alla confraternita dei Nascosti?».
A quelle parole, il monaco si dimenticò della rabbia e lo fissò incredulo. Nessun uomo comune conosceva quel nome. Nessuno! E i pochi eletti che sapevano cosa significasse, lo pronunciavano con timore reverenziale. «Come fate a…».
«Dove credevate vi stesse portando questa galea?», ribatté il pirata, indicando l’insegna con le chiavi di Pietro in cima al pennone. «A Roma, certo, ma non dal pontefice».
«Mi è stata offerta protezione», balbettò il monaco, sempre più sbalordito.
L’uomo scosse il capo, lasciando trapelare una punta di delusione. «Non avete ancora compreso? Vi hanno ingannato! In verità siete atteso nelle segrete dei Nascosti, dove troverete soltanto catene e tormenti». Allungando il braccio con uno scatto, gli afferrò il bavero e lo trasse a sé, avvicinando il viso al suo. «Sanno del diario, capite? Il diario del templare! Non potete permettere che cada in loro possesso».
Una fitta al cuore lo fece trasalire. «Come può un uomo d’arme… un turco… essere al corrente di simili questioni?».
Il pirata si guardò alle spalle, per sincerarsi di non essere minacciato da pericoli imminenti. Lo scontro sul ponte continuava a protrarsi senza quartiere, ma pareva che nessuno, per il momento, facesse caso a loro. «Conosco il vostro segreto, ve l’ho detto», ammise, lasciandolo libero di muoversi. «Lo conosco intimamente, a essere sinceri. So del Rex Deus e pure della Loggia dei senza nome che lo custodisce da secoli. Voi siete l’ultimo di loro».
Ormai il monaco era ben oltre la sorpresa, ma si impose di mantenersi lucido. Non sarebbe stato certo uno sciacallo venuto dal mare a distoglierlo dal suo sacro compito, qualsiasi cosa avesse in mente di raccontargli sotto la sferza del vento salmastro. «Allora saprete anche che sono pronto a morire pur di tenere fede al segreto», esclamò. «Poiché nessuno è degno di conoscerlo».
«Nessuno, tranne i legittimi eredi».
«Parlate di cose arcane. Cose proibite, nascoste dai sacri simboli».
«Il simbolo, vorrete dire», ribatté il turco, senza esitazione. «È uno soltanto e corrisponde al serpente coronato. Il serpente che liberò Adamo, mostrandogli la via della conoscenza del bene e del male».
Il monaco non poté opporsi alla meraviglia. Quelle parole le aveva udite un’altra volta soltanto e a pronunciarle era stato il suo maestro, poco prima di spirare. Oltre agli Ofiti e agli iniziati di poche logge esoteriche, nessuno era a conoscenza di quell’ancestrale insegnamento. «Di grazia, posso sapere chi vi ha reso edotto?». La domanda gli rotolò letteralmente fuori dalle labbra.
«Mio padre», rispose l’uomo con la scimitarra. «Ed egli l’apprese dal proprio, secondo un’usanza tramandata dalla notte dei tempi».
«Quanto affermate è impossibile! Gli eredi legittimi sono tutti estinti».
«Non la discendenza di Smirne, da cui io provengo». Così dicendo, il pirata estrasse un piccolo oggetto dalla scarsella che portava appesa alla cintura, e glielo mostrò con orgoglio.
Il monaco lo studiò con attenzione al lucore della lanterna, ma fin dal primo sguardo fu certo di non sbagliarsi. Aveva già visto quell’oggetto in un antico disegno su pergamena e sapeva esattamente di cosa si trattasse, benché l’avesse sempre creduto una leggenda. «La chiave cilindrica…», si lasciò sfuggire, strappando un cenno affermativo al turco. Era certo che nessuno dei suoi predecessori fosse mai stato al cospetto di quel mistico cimelio, e mentre sentiva i pensieri correre veloci, si chiese all’improvviso se fosse giunto il momento. Forse, dopo quindici secoli di silenzio, il mistero del Rex Deus stava per essere svelato all’umanità. «Dovrete dimostrarmi di affermare il vero…», farfugliò, quasi incapace di mettere in fila le parole. «Di essere senza ombra di dubbio chi affermate…».
«Lo farò, non temete». Il pirata ripose con cura il piccolo oggetto nella scarsella, poi sguainò la scimitarra e volse lo sguardo alla scena del combattimento. «Prima, però, dovrò portarvi sulla mia nave».
«A quale scopo?»
«Per nascondervi agli occhi di chi vuole distruggere il Rex Deus».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore di Comacchio rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Marcello Simoni.