Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Kafka sulla spiaggia: trama del libro
Un ragazzo di quindici anni, maturo e determinato come un adulto, e un vecchio con l’ingenuità e il candore di un bambino, si allontanano dallo stesso quartiere di Tokyo diretti allo stesso luogo, Takamatsu, nel Sud del Giappone. Il ragazzo, che ha scelto come pseudonimo Kafka, è in fuga dal padre, uno scultore geniale e satanico, e dalla sua profezia, che riecheggia quella di Edipo. Il vecchio, Nakata, fugge invece dalla scena di un delitto sconvolgente nel quale è stato coinvolto contro la sua volontà. Abbandonata la sua vita tranquilla e fantastica, fatta di piccole abitudini quotidiane e rallegrata da animate conversazioni con i gatti, dei quali parla e capisce la lingua, parte per il Sud. Nel corso del viaggio, Nakata scopre di essere chiamato a svolgere un compito, anche a prezzo della propria vita.
Seguendo percorsi paralleli, che non tarderanno a sovrapporsi, il vecchio e il ragazzo avanzano nella nebbia dell’incomprensibile schivando numerosi ostacoli, ognuno proteso verso un obiettivo che ignora ma che rappresenterà il compimento del proprio destino.
Diversi personaggi affiancano i due protagonisti: Hoshino, un giovane camionista di irresistibile simpatia; l’affascinante signora Saeki, ferma nel ricordo di un passato lontano; Òshima, l’androgino custode di una biblioteca; una splendida prostituta che fa sesso citando Hegel; e poi i gatti, che sovente rubano la scena agli umani. E infine Kafka. “Uno spirito solitario che vaga lungo la riva dell’assurdo”.
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Avevo pensato di portarmi il Rolex Oyster a cui mio padre tiene tanto, ma dopo averci riflettuto su, ho lasciato perdere. La bellezza del meccanismo di quell’orologio mi affascinava molto ma non volevo attirare l’attenzione piú del necessario indossando oggetti costosi. Inoltre, dal punto di vista della praticità, un orologio da polso Casio con cronometro e sveglia mi è sufficiente. E sarà anche piú facile da usare. Cosí mio malgrado ho rimesso il Rolex nel cassetto della scrivania.
Oltre a queste cose, ho preso la foto di me e mia sorella da piccoli, che stava nel fondo di un cassetto. Nella foto siamo su una spiaggia, non so dove, e sorridiamo contenti. Mia sorella è girata da una parte, cosí metà della faccia è in ombra. Per questa ragione, il suo viso sorridente sembra diviso in due. Come in una maschera del teatro greco che ho visto su un libro di scuola, sembra rappresentare due concetti opposti. Luce e ombra. Speranza e disperazione. Riso e tristezza. Fiducia e solitudine. Invece io guardo dritto nell’obiettivo, senza alcun imbarazzo. Sulla spiaggia oltre a noi non c’è anima viva. Io e mia sorella siamo in costume da bagno. Il suo è un costume intero, a fiori rossi; io porto dei buffi pantaloncini blu troppo larghi. Ho in mano qualcosa. Sembrerebbe un bastone di plastica. La schiuma bianca delle onde ci bagna i piedi.
Dove e quando, e da chi sarà stata scattata questa foto? Come mai abbiamo un’espressione cosí gioiosa? Perché nostro padre si è tenuto soltanto questa foto? Tutte domande senza risposta. Io dovrei avere tre anni, mia sorella circa nove. Noi due eravamo davvero cosí uniti? Io non ricordo di essere mai andato su una spiaggia con la famiglia. Non ricordo di essere mai andato da nessuna parte. Comunque, non volevo andarmene lasciando quella vecchia foto nelle mani di mio padre, cosí l’ho infilata nel portafogli. Di mia madre non ce n’era nemmeno una. Probabilmente lui le aveva gettate via tutte.
Dopo averci riflettuto un po’, ho deciso di portarmi il telefono cellulare. Forse, dopo essersi accorto della mia scomparsa, mio padre chiamerà la compagnia telefonica e annullerà il contratto. In quel caso non mi servirà piú a niente. Ma l’ho infilato lo stesso nel mio zaino. Ci ho messo pure il caricabatterie. Tanto pesa poco. Se mi accorgerò che non c’è piú linea, lo butterò via.
Nello zaino ho deciso di mettere solo lo stretto necessario. Scegliere i vestiti è la parte piú difficile. Di quanti cambi di biancheria avrò bisogno? Di quanti pullover? E come regolarmi con le camicie, i pantaloni, i guanti, le sciarpe, i pantaloni corti, il cappotto? Se comincio a pensarci, la lista è interminabile. Ma di una cosa sono certo. Non ho nessuna intenzione di andare in giro in un paese che non conosco con un grosso bagaglio: equivarrebbe a presentarmi ufficialmente come «ragazzo scappato di casa». In questo modo attirerei subito l’attenzione di qualcuno. La polizia mi prenderebbe in custodia, e sarei rispedito a casa all’istante. Oppure potrei suscitare l’interesse di qualche banda di balordi del luogo.
La cosa giusta è andare in un posto dove non fa freddo. È questa la conclusione a cui arrivo. In fondo non è difficile. Sceglierò un luogo dal clima mite. Cosí non avrò bisogno del cappotto. E nemmeno di guanti. Se non c’è il problema del freddo, la quantità dei vestiti da portare si riduce di almeno la metà. Scelgo abiti leggeri, quelli piú facili da lavare e asciugare, e che occupano meno spazio, li piego e li infilo nello zaino. Poi ci metto un sacco a pelo tre stagioni, arrotolato stretto in modo da ridurre il volume, pochi accessori da toilette, un mini-impermeabile, penna e taccuino, e un minidisc walkman della Sony che è anche registratore, una decina di dischetti (la musica mi è assolutamente necessaria), e una batteria ricaricabile di riserva. Questo è tutto. Decido di fare a meno di attrezzi per cucinare. Sono troppo pesanti e ingombranti. Comprerò da mangiare nei minimarket. Ci è voluto del tempo, ma alla fine sono riuscito a ridurre la lista delle cose da portare. Dopo averne aggiunte e cancellate, riaggiunte e ricancellate non so quante volte.
Il mio quindicesimo compleanno mi sembrava il momento piú adatto per scappare di casa. Prima sarebbe stato prematuro, ma aspettare oltre poteva essere rischioso. Nei due anni successivi al mio ingresso nella scuola media, mi sono concentrato e ho allenato il mio fisico in previsione di quel giorno. Fin dai primi anni delle elementari avevo frequentato i corsi di judō, e anche alle medie avevo proseguito piú o meno allo stesso ritmo. Ma non mi ero iscritto al club sportivo degli studenti. Quando avevo tempo, correvo da solo nel campo della scuola, nuotavo in piscina, e andavo alla palestra comunale ad allenarmi con gli attrezzi. Lí, dei giovani istruttori mi insegnavano gratis il modo corretto di fare stretching e l’uso degli attrezzi. Cosa dovevo fare per rafforzare i muscoli di tutto il corpo nel modo piú efficace. Quali muscoli vengono normalmente utilizzati nella vita quotidiana, quali invece possono essere rafforzati solo con l’uso degli attrezzi, il modo corretto di adoperare la bench press eccetera. Io che ho la fortuna di essere alto, grazie a un allenamento costante ho sviluppato spalle larghe e un torace robusto. Agli occhi di chi non mi conosce, potrei passare tranquillamente per diciassettenne. Se dimostrassi la mia vera età, avrei problemi a non finire.
A parte le conversazioni con gli istruttori del centro sportivo e le poche parole scambiate con la domestica che viene a casa a giorni alterni, e a parte quel minimo di conversazione a cui sono costretto a scuola, non scambio quasi parola con nessuno. Quanto a mio padre, già da tempo evito ogni rapporto con lui. Anche se viviamo nella stessa casa, i nostri orari sono completamente diversi, e lui se ne sta chiuso quasi tutto il giorno nel suo atelier, che si trova in un altro posto. E poi, inutile dire che io sto attento a incontrarlo il meno possibile.
La scuola dove vado è un istituto privato, frequentato soprattutto da ragazzi dell’alta borghesia, o semplicemente con soldi. A meno di non fare dei veri disastri, si ha la garanzia di passare automaticamente al liceo. Tutti hanno i denti ben allineati, portano abiti puliti e fanno discorsi noiosi. Naturalmente nella mia classe non piaccio a nessuno. Ho costruito intorno a me un muro altissimo, che non permetto a nessuno di valicare, e io stesso sto bene attento a non uscirne mai. È escluso che un individuo cosí possa piacere a qualcuno. Gli altri mi tengono a distanza, e diffidano di me. Forse mi considerano sgradevole, e a volte persino mi temono. Ma io sono grato del fatto che mi lascino in pace. Ho una montagna di cose da fare, e devo farle da solo. Quando ho dei momenti liberi, vado alla biblioteca della scuola e leggo avidamente.
Però ho sempre seguito con attenzione le lezioni. Me l’aveva raccomandato con insistenza il ragazzo chiamato Corvo.
Le conoscenze e le tecniche che vengono insegnate nelle lezioni della scuola media, difficilmente potranno esserti utili nella vita reale: su questo non c’è dubbio. Gli insegnanti sono quasi tutti degli incapaci. Lo so bene. Però, ascolta, tu stai per scappare di casa. E può darsi che non avrai mai piú occasione di frequentare una scuola, perciò ti conviene assorbire fino in fondo tutte le nozioni che ti vengono impartite in classe, che ti piacciano o meno. Devi diventare una carta assorbente. In seguito, farai sempre in tempo a decidere cosa mantenere e cosa buttare.
Ho seguito il suo consiglio (avevo stabilito in linea di principio di seguire tutti i consigli del Corvo). Concentrandomi al massimo, trasformando il cervello in una spugna, ascoltavo con attenzione tutto ciò che veniva detto in classe, e me ne riempivo la testa. Senza sprecare tempo, capivo e memorizzavo. Grazie a ciò, nonostante al di fuori delle lezioni studiassi poco o niente, i miei voti agli esami sono sempre stati fra i piú alti della classe.
Man mano che i miei muscoli si rafforzavano diventando duri come acciaio, parlavo sempre meno. Tentavo il piú possibile di evitare che il mio viso tradisse le emozioni, e mi allenavo affinché i miei insegnanti e i compagni di classe non capissero quello che pensavo. Stavo per entrare nel mondo spietato degli adulti, e lí dovevo sopravvivere da solo. Dovevo diventare piú duro di chiunque altro.
Guardandomi allo specchio, mi accorgevo che nei miei occhi c’era una luce fredda simile allo sguardo di una lucertola, e che la mia espressione si faceva sempre piú impenetrabile. A pensarci bene, non rido da cosí tanto tempo che ne ho quasi perso la memoria. Non sorrido neanche piú. Né agli altri, né a me stesso.
Ma non è che sia riuscito sempre a mantenere questo atteggiamento calmo e imperturbabile. È capitato a volte che il muro altissimo che avevo costruito intorno a me sia andato in frantumi. Non di frequente, ma è accaduto. Senza che me ne accorgessi, il muro si è dissolto e io mi sono ritrovato nudo di fronte al mondo. In quei momenti ero assalito da una grande confusione. Una confusione terribile. E in mezzo a quella confusione, c’era la profezia. La profezia era sempre lí, torbida come acqua stagnante.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore giapponese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Haruki Murakami.
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