Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il ladro di merendine di Andrea Camilleri, romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99 ed è il terzo tra i volumi dedicati al commissario Montalbano.
Il ladro di merendine: trama del libro
Terzo giallo di Andrea Camilleri che vede come protagonista Salvo Montalbano, il commissario di stanza a Vigàta, immaginaria cittadina siciliana. Questa volta il commissario, sospetta l’esistenza di un collegamento tra due morti violente: quella di un tunisino imbarcato su di un peschereccio di Mazara del Vallo e quella di un commerciante di Vigàta accoltellato dentro un ascensore.
Per Camilleri la Sicilia di oggi è fonte continua di ispirazione e scoperta, di intrecci di romanzo poliziesco e di osservazione su di un costume magari inquietante ma certamente non statico, che gli suggerisce un linguaggio, una parlata mai banale nè risaputa.
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Il viaggio era appena principiato che venne subito interrotto dallo squillo del telefono. Gli parse che quel suono gli trasisse, come una virrìna, dentro un orecchio per nèsciri dall’altro, trapanandogli il cervello.
«Pronto!».
«Con chi è che io sto parlando?».
«Dimmi prima chi sei».
«Catarella sono».
«Che c’è?».
«Mi scusasse, ma non avevo arraccanosciuta la voce sua di lei, dottori. Capace che lei stava dormendo».
«Capace di sì, alle cinco di matina! Mi vuoi dire che c’è senza stare ulteriormente a scassarmi la minchia?».
«Ci fu un morto accìso a Mazàra del Vallo».
«E che me ne fotte a me? Io a Vigàta sto».
«Ma guardi, dottori, che il morto …».
Riagganciò, staccò la spina. Prima di chiudere gli occhi si disse che forse era stato il suo amico Valente, vicequestore di Mazàra, a cercarlo. Gli avrebbe telefonato più tardi, dal suo ufficio.
La persiana sbatté con violenza contro il muro e Montalbano di scatto si susì a mezzo del letto, gli occhi sgriddrati dallo spavento, persuaso, nel fumo del sonno che ancora l’avvolgeva, che qualcuno gli avesse sparato. In un vìdiri e svìdiri il tempo era cangiato, un vento freddo e umido faceva onde dalla scumazza gialligna, il
cielo era interamente coperto di nuvole che amminazzavano pioggia.
Si susì santiando, andò in bagno, raprì la doccia, s’insaponò. A un tratto l’acqua finì. A Vigàta, e quindi anche a Marinella dove lui abitava, l’acqua la davano probabilmente ogni tre giorni. Probabilmente, perché non era detto che non la dessero il giorno appresso o la settimana seguente. Per questo Montalbano si era premunito facendo installare sul tetto della villetta recipienti capienti, ma si vede che questa volta l’acqua non la stavano dando da più di otto giorni, questa era l’autonomia di cui poteva godere. Corse in cucina, mise una pentola sotto il rubinetto a raccogliere il magro filo che ne usciva, lo stesso fece con il lavabo. Arriniscì, con la poca acqua raccolta, a levarsi in qualche modo il sapone di dosso, ma tutta la facenna non aiutò certo il suo umore.
Mentre guidava verso Vigàta, dicendo parolazze a tutti gli automobilisti che incrociava, i quali, a suo parere, col codice della strada, per un verso o per l’altro, usavano puliziarsene il culo, gli tornarono a mente la telefonata di Catarella e la spiegazione che lui se n’era fatta. Non reggeva, se Valente avesse avuto bisogno di lui per qualche omicidio successo a Mazàra, l’avrebbe, alle cinco del matino, cercato a casa e non in ufficio. Quella spiegazione l’aveva confezionata per comodo, per scarricarsi la coscienza e farsi in pace altre due ore di sonno.
«Non c’è nisciuno assoluto!» gli comunicò Catarella appena lo vide, rispettosamente susendosi in piedi dalla seggia del centralino. Aveva con Fazio deciso di tenerlo lì dove, anche se riferiva telefonate stralunate e improbabili, avrebbe sicuramente fatto meno danno che in qualsiasi altro posto.
«E che è, festa?».
«Nonsi, dottori, non è giorno festevoli, ma sono tutti sul porto a scascione di quel morto a Mazàra di cui il quale le tilifonai, se s’arricorda, nei paraggi di questa matinata presto».
«Ma se il morto è a Mazàra, che ci fanno sul porto?».
«Nonsi, dottori, il morto qua è».
«Ma se il morto è qua, Cristo santo, perché mi vieni a dire che è morto a Mazàra?».
«Pirchì il morto era di Mazàra, lui lì travagliava».
«Catarè, ragionando, si fa per dire, come usi tu, se ammazzano qua a Vigàta un turista di Bergamo, tu che mi dici? Che c’è un morto a Bergamo?».
«Dottori, la quistione sarebbe che è che questo morto è un morto di passaggio. Dunqui, lui l’hanno sparato ammentre che si trovava imbarcato sopra un piscariggio di Mazàra».
«E chi l’ha sparato?».
«I tunisini, dottori».
Ci rinunziò a saperne di più, avvilito.
«Macari il dottor Augello è andato al porto?».
«Sissignori».
Il suo vice, Mimì Augello, sarebbe stato ben felice se lui al porto non si fosse fatto vedere.
«Senti, Catarè, io devo scrivere un rapporto. Non ci sono per nessuno».
«Pronti, dottori! Ci sarebbe la signorina Livia che sta al tilifono da Genova. Che faccio, dottori? Gliela passo o no?».
«Passamela».
«Siccome che lei disse, manco deci minuti, che lei non c’era per nisciuno…».
«Catarè, ti ho detto di passarmela».
«Pronto Livia? Ciao».
«Ciao un cavolo. È tutta la mattina che cerco di telefonarti. A casa tua il telefono squilla a vuoto».
«Ah sì? Mi sono dimenticato di riattaccarlo. Vedi, ti faccio ridere, stamattina alle cinque mi hanno telefonato che …».
«Non ho voglia di ridere. Ho provato alle sette e mezzo alle otto e un quarto, ho riprovato alle…».
«Livia, ti ho già spiegato che avevo dimenticato…».
«Me. Avevi semplicemente dimenticato me. Ieri t’avevo avvertito che avrei chiamato alle sette e mezzo per decidere se…».
«Livia, t’avverto. Sta per piovere e tira vento».
«E con ciò?».
«Lo sai. Con questo tempo divento di cattivo umore. Non vorrei che parola dietro parola …».
«Ho capito. Non ti chiamo più. Fallo tu, se vuoi».
«Montalbano? Come sta? Il dottor Augello m’ha riferito tutto. È certamente una faccenda che avrà ripercussioni internazionali. Non crede?».
Si sentì pigliato dai turchi, non capiva di cosa il questore stesse parlandogli. Scelse la strada di un generico consenso.
«Eh già, eh già».
Ripercussioni internazionali?!
«Comunque, ho disposto che il dottor Augello conferisse col prefetto. La cosa, come dire, esula».
«Eh già».
«Montalbano, si sente bene?».
«Benissimo. Perché?».
«No, è che mi pareva…».
«Un po’ di mal di testa, tutto qui».
«Oggi che giorno è?».
«Giovedì, signor questore».
«Senta, sabato vuol venire a cena da noi? Mia moglie le preparerà spaghetti al nero di seppia. Una squisitezza»
La pasta al nìvuro di sìccia. Coll’umore che si trovava in quel momento, avrebbe potuto condire un quintale di spaghetti. Ripercussioni internazionali?
Trasì Fazio e se l’abbatté davanti per porco.
«Qualcuno vuole avere la compiacenza di dirmi che cazzo sta succedendo?».
«Duttù, non se la pigliasse con mia solo perché tira vento. Io, stamatina presto, prima d’avvertire il dottor Augello ho fatto cercare lei».
«Con Catarella? Se tu mi fai cercare da Catarella per una cosa importante vuol dire che sei un fetente. Lo sai benissimo che con quello non ci si capisce una minchia. Che è successo?».
«Un motopeschereccio di Mazàra che, a quanto dice il comandante, stava pescando nelle acque internazionali, è stato attaccato da una motovedetta tunisina che gli ha sparato una raffica di mitra. Il peschereccio ha segnalato la posizione a una nostra motovedetta, la Fulmine, ed è riuscito a scappare».
«Bravo» fece Montalbano.
«Chi?» spiò Fazio.
«Il comandante del peschereccio che invece di arrendersi trova il coraggio di scappare. E poi?».
«La mitragliata ha ammazzato uno dell’equipaggio».
«Di Mazàra?».
«Sì e no».
«Ti vuoi spiegare?».
«Era un tunisino. Dicono che travagliava con le carte in regola. Là quasi tutti gli eguipaggi sono misti. Primo perché sono buoni lavoratori e secondo perché, se vengono fermati, loro ci sanno come parlare con quelli».
«Tu ci credi che il motopeschereccio stava pescando dentro le acque internazionali?».
«Io? E che ho, la faccia dello scimunito?».
«Pronto, dottor Montalbano? Sono Marniti della Capitaneria di Porto».
«Mi dica, maggiore».
«È per quella brutta faccenda del tunisino ammazzato sul peschereccio mazarese. Sto interrogando il comandante per stabilire esattamente dove si trovassero al momento dell’aggressione e la dinamica dei fatti. Dopo passerà dal suo ufficio».
«Perché? Non è stato già interrogato dal mio vice?».
«Sì».
«Allora non c’è proprio bisogno che venga qua. La ringrazio per la cortesia».
Volevano tirarcelo dentro per i capelli, in quella storia.
La porta si spalancò con tale violenza che il commissario fece un salto dalla seggia. Apparve Catarella agitatissimo.
«Domando pirdonanza per la botta, ma la porta mi scappò».
«Se trasi un’altra volta così, ti sparo. Che c’è?».
«C’è che tilifonarono ora ora che c’è uno che si trova dintra un ascensori».
Il calamaio, in bronzo finemente lavorato, mancò la fronte di Catarella, ma il botto che fece contro il legno della porta parse una cannonata. Catarella si rannicchiò, le braccia a proteggersi la testa. Montalbano principiò a pigliare a calci la scrivania. Dintra la càmmara si precipitò Fazio, la mano sulla fondina aperta.
«Che fu? Che successe?».
«Fatti spiegare da questo stronzo cos’è questa storia di uno chiuso in un ascensore. Che si rivolgano ai pompieri. Però portatelo di là, io non lo voglio sentire parlare».
Fazio tornò in un biz.
«Un morto ammazzato dentro un ascensore» fece rapido, essenziale, a scanso di qualche altra tiratina di calamaio.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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