Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La leggenda del vento di Stephen King, titolo collegato al ciclo della Torre Nera. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
La leggenda del vento: trama del libro
Quando una tempesta violenta come lo starkblast infuria, solo tre cose possono salvarti: solide pareti, un focolare e una buona storia. E se il narratore è Roland il pistolero, uno dei più grandi personaggi creati da Stephen King, il risultato è pura magia. Sorpreso dalla tormenta, Roland trova rifugio con i compagni in un villaggio abbandonato. Qui aspetta l’alba raccontando due storie, racchiuse l’una nell’altra come scatole cinesi. La prima è un drammatico episodio della sua giovinezza, quando il padre lo mandò a combattere contro un mostro orribile. La seconda è la più bella storia che, in una notte altrettanto infernale, Roland – ancora ragazzo – narrò a un bambino per tranquillizzarlo: la leggenda del vento, con cui la madre lo cullava per farlo addormentare.
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«Non sei in pensiero per lui?» chiese Susannah a Roland. «È tutto solo laggiù.»
«C’è Oy con lui», disse Eddie alludendo al bimbolo che aveva adottato Jake come suo amico speciale. «Il signor Oy va d’amore e d’accordo con i tipi perbene, ma per quelli che non sono molto simpatici ha una bocca piena di denti affilati. Come per sua sventura ha scoperto quel Gasher.»
«Jake ha anche la pistola di suo padre», aggiunse Roland. «E sa come usarla. Lo sa molto bene. E non lascerà il Sentiero del Vettore.» Puntò verso l’alto la mano mozza. Il cielo, sempre più basso, era quasi immobile, a parte un unico flusso regolare di nuvole diretto a sudest. Verso la terra di Rombo di Tuono, se il messaggio lasciato per loro dall’uomo che si definiva R.F. diceva il vero.
Verso la Torre Nera.
«Ma perché…» cominciò Susannah e poi la sua sedia a rotelle urtò una cunetta. Si girò verso Eddie. «Attento a dove mi spingi, zucchero.»
«Spiacente», rispose Eddie. «Ultimamente i Lavori Pubblici non hanno fatto manutenzione lungo questo tratto di autostrada. Avranno subito dei tagli al budget.»
Non era un’autostrada, ma una strada sì… o lo era stata: due parvenze di solchi e ogni tanto una bicocca diroccata a far da pietra miliare. Quella mattina erano persino passati davanti a un emporio abbandonato con un’insegna che si leggeva appena: TOOK’S OUTLAND MERCANTILE. Avevano investigato nella speranza di fare provviste, quando Jake e Oy erano ancora con loro, e non avevano trovato che polvere, vecchie ragnatele e lo scheletro di quello che poteva essere stato un grosso procione, un cane di piccola taglia o un bimbolo. Oy si era limitato a un’annusatina, dopodiché aveva pisciato sulle ossa prima di uscire dal negozio e andare a sedersi sulla gobba al centro della vecchia strada avvitandosi intorno al corpo quel suo ghirigoro di coda. Girato nella direzione da cui erano arrivati aveva fiutato l’aria.
Roland glielo aveva visto fare già alcune volte ultimamente e, anche se non ne faceva parola, vi aveva riflettuto. Forse qualcuno li stava pedinando? Ne dubitava, ma la posa che assumeva il bimbolo, naso sollevato, orecchie drizzate, coda acciambellata, gli solleticava un vecchio ricordo o un’associazione di idee che non riusciva a inquadrare.
«Perché Jake vuole stare per conto suo?» chiese Susannah.
«Lo trovi preoccupante, Susannah di New York?» domandò Roland.
«Sì, Roland di Gilead, lo trovo preoccupante.» Gli sorrise abbastanza amabilmente, ma negli occhi le brillò quella vecchia luce maligna. Era la Detta Walker che c’era in lei, rifletté Roland. Non sarebbe mai scomparsa del tutto e a lui non dispiaceva. Se la strana donna che era stata un tempo non fosse ancora sepolta nel suo cuore come una scaglia di ghiaccio, Susannah ora sarebbe stata solo una bella nera, senza gambe dalle ginocchia in giù. Con Detta dentro di sé, era una persona con cui fare i conti. Pericolosa. Una pistolera.
«Ha molti pensieri», commentò sommesso Eddie. «Ne ha passate tante. Non tutti i ragazzini ritornano dal mondo dei morti. Ed è come dice Roland, se qualcuno cerca di metterglisi di traverso, avrà di che pentirsene.» Eddie smise di spingere la sedia a rotelle, si asciugò con il braccio la fronte sudata e guardò Roland. «Ma ci sono dei qualcuno in questa particolare periferia del nulla, Roland? O se ne sono andati tutti?»
«Oh, qualcuno c’è, dico io.»
E non era tanto per dire; spesso il loro cammino sul Sentiero del Vettore era stato spiato. Una volta da una donna impaurita con due bambini stretti tra le braccia e un neonato in una sacca appesa al collo. Una volta da un vecchio contadino, un mezzo mutante con un tentacolo nervoso che gli pendeva dall’angolo della bocca. Eddie e Susannah non avevano visto nessuna di queste persone, né avevano avvertito la presenza degli altri che, Roland ne era certo, avevano sorvegliato la loro marcia protetti dal bosco e dall’erba alta. Eddie e Susannah avevano molto da imparare.
Ma avevano almeno capito una cosa utile per il futuro, perché ora Eddie chiese: «Sono quelli di cui Oy sente continuamente l’odore dietro di noi?»
«Non lo so.» Roland pensò di aggiungere che era sicuro che c’era dell’altro a frullare nella strana testolina del bimbolo, ma preferì non farlo. Il pistolero aveva passato lunghi anni senza ka-tet e tenere per sé le proprie considerazioni era diventata un’abitudine. A cui avrebbe dovuto rinunciare, se il tet fosse rimasto forte. Non ora, però, non quella mattina.
«Andiamo avanti», disse. «Sono sicuro che troveremo Jake che ci aspetta.»
2
Due ore più tardi, alle soglie del mezzogiorno, giunti in cima a un’altura, si fermarono a contemplare un grande fiume lento e grigio come peltro sotto il cielo nuvoloso. Sulla sponda nordoccidentale, il lato su cui si trovavano loro, una costruzione simile a un granaio spiccava di un verde così brillante da sembrare un grido nel giorno ammutolito. La sua bocca sporgeva sull’acqua sostenuta da pali verniciati di un verde simile. Legata a due dei pali con grosse cime d’ormeggio c’era una grande zattera, trenta metri per trenta ci stavano tutti, verniciata a strisce alternate rosse e gialle. Al centro si ergeva un lungo palo di legno che poteva essere un albero maestro, anche se non c’era traccia di vele. Davanti a esso erano allineate alcune seggiole di vimini, girate verso la sponda sul loro lato del fiume. Su una di esse sedeva Jake. Accanto a lui c’era un uomo anziano con un ampio cappello di paglia e larghi calzoni verdi infilati in un paio di stivaloni. Sulla metà superiore del corpo indossava un indumento bianco di tessuto leggero, quel tipo di canottiera che per Roland era uno slinkum. Jake e il vecchio stavano mangiando qualcosa che assomigliava a degli strozzini ben farciti. Solo a vederli, a Roland venne l’acquolina in bocca.
Oy era più avanti, sul bordo della zattera dai colori sgargianti, a contemplare rapito la propria immagine riflessa. O forse l’immagine riflessa del cavo d’acciaio che correva sopra di loro da una parte all’altra del fiume.
«È il Whye?» chiese Susannah a Roland.
«Yar.»
Eddie sogghignò. «Tu dici Whye, io dico whye not?» Levò una mano e l’agitò al di sopra della testa. «Jake! Ehi, Jake! Oy!»
Jake rispose al saluto e sebbene il fiume e la zattera ormeggiata alla palafitta fossero ancora lontani mezzo chilometro, i loro occhi erano limpidi e acuti e videro il bianco dei denti del bambino che sorrideva.
Susannah mise le mani a coppa. «Oy! Oy! Qui, zuccherino! Vieni dalla tua mamma!»
Lanciando guaiti striduli che erano i versi più simili a latrati che fosse in grado di emettere, Oy attraversò al galoppo la zattera, scomparve in quella specie di granaio ed emerse dall’altra parte. Arrivò correndo all’impazzata su per il sentiero con le orecchie ripiegate contro la testa e una luce che gli brillava negli occhi cerchiati d’oro.
«Rallenta, dolcezza, così ti fai venire un infarto!» gridò ridendo Susannah.
Oy parve interpretare le sue parole come un ordine di accelerare. Arrivò alla sedia a rotelle di Susannah in meno di due minuti, le saltò in grembo, poi saltò di nuovo giù e li guardò con un’espressione estatica. «Olan! Ed! Suze!»
«Hile, sir Throcken», lo salutò Roland usando l’antica definizione di bimbolo che aveva sentito per la prima volta dalla bocca di sua madre che gli stava leggendo un libro: Il Throcken e il Drago.
Oy sollevò la zampa, innaffiò un ciuffo d’erba, poi si girò dalla parte da cui erano giunti i suoi amici e fiutò l’aria con gli occhi sull’orizzonte.
«Perché continua a fare così, Roland?» domandò Eddie.
«Non lo so.» Ma lo sapeva quasi. Era forse una vecchia storia, non quella del Throcken e il Drago ma non molto diversa? Roland credeva di sì. Per un momento pensò a occhi verdi, vigili nell’oscurità, e fu percorso da un piccolo brivido, non propriamente di paura (ma forse senza escluderla del tutto), bensì di rimembranza. Passò subito.
Ci sarà acqua se Dio vorrà, pensò, e si rese conto di aver parlato a voce alta quando Eddie disse: «Come?»
«Niente», rispose. «Facciamo un piccolo conciliabolo con il nuovo amico di Jake, vi va? Magari gli avanzano un paio di strozzini.»
Eddie, stanco di quei vegetali commestibili e coriacei che chiamavano involtini del pistolero, si animò all’istante. «Diavolo, sì!» esclamò e consultò un orologio immaginario al polso abbronzato. «Santa pace, vedo che sono le gnam-gnam in punto.»
«Chiudi e il becco e spingi, pasticcino», lo esortò Susannah.
Eddie chiuse il becco e spinse.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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