Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Lettera a Berlino di Ian McEwan. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 6,99.
Lettera a Berlino: trama del libro
Nell’inverno del ’55 Berlino è ancora devastata nel corpo e nel cuore. È il tempo della guerra fredda, il tempo delle spie. Nella vita di Leonard Marnharm, il giovane tecnico inglese protagonista di questo romanzo, il “tunnel di Berlino” rappresenterà il luogo, reale e metaforico, di un viaggio apparentemente senza fine negli abissi dell’esistenza. L’amore di Leonard per la tedesca Maria ha dapprima un sapore dolcissimo, ma c’è ancora nell’aria come un morbo latente di violenza, di disfacimento, che a poco a poco invade i pensieri, i gesti, le azioni quotidiane. Nel momento cruciale della sua esistenza, Leonard appare sopraffatto da una forza e da un orrore che lo trascendono.
In realtà Leonard non aveva mai incontrato un americano in vita sua, ma per anni li aveva studiati a fondo nella sala cinematografica vicino a casa. Sorrise senza schiudere le labbra e annuí. Infilò la mano nella tasca interna della giacca ed estrasse il portasigarette. Lofting protese la mano aperta, a mo’ di saluto indiano, per prevenire l’offerta. Leonard incrociò le gambe, prese una sigaretta e la batté ripetute volte sull’astuccio. Lofting fece a sua volta scattare il braccio in avanti per ricambiare, con l’accendino, la cortesia. Riprese a parlare mentre il giovane in borghese abbassava il capo sulla fiamma. – Come può immaginare, sono parecchi i progetti comuni, le iniziative sinergiche, le cooperazioni tecniche, e cosí via. E lei crede che gli Americani abbiano idea di che cosa significa lavoro di squadra? Prima si dichiarano d’accordo su una scelta, e poi fanno quel che gli pare. Ci criticano alle spalle, non ci tengono informati di quel che sanno, ci trattano come un branco di idioti –. Il tenente Lofting raddrizzò il tampone di carta assorbente, unico oggetto sulla sua scrivania. – Sa, prima o poi ci costringeranno alle maniere forti –. Leonard fece l’atto di parlare, ma Lofting lo fermò con un cenno della mano. – Mi permetta di farle un esempio. Io sono l’ufficiale di collegamento britannico incaricato per l’organizzazione della gara di nuoto intersettoriale del mese prossimo. Ora, nessuno può negare che qui allo stadio abbiamo la piscina migliore. È il posto piú ovvio per quel tipo di avvenimento sportivo. Gli Americani hanno dato il loro consenso settimane fa. E adesso, vuole che le dica dove finiremo col fare le gare? Giú nella zona sud, nel loro settore, in una squallida lurida pozza qualsiasi. E sa perché?
Lofting parlò per un’altra decina di minuti. Quando tutte le slealtà connesse all’incontro di nuoto parvero sviscerate, Leonard disse: – Il maggiore Sheldrake aveva per me del materiale e certe istruzioni in busta sigillata. Per caso, ne sa qualcosa?
– Ci stavo arrivando, – replicò brusco il tenente. Tacque e parve recuperare le forze. Quando riprese a parlare non poté sopprimere una punta di irritazione. – Se vuol saperlo, sono stato mandato quassú solo per aspettare lei. Avrei dovuto raccogliere tutto il materiale dal maggiore Sheldrake e passarlo ad altri. In effetti, per ragioni che non sono dipese da me, c’è stato un vuoto di quarantotto ore tra la partenza del maggiore Sheldrake e il mio arrivo –. Si interruppe. Sembrava che avesse preparato questa spiegazione con cura. – A quanto pare gli Americani hanno suscitato un inferno, benché il materiale giunto per ferrovia fosse in una stanza custodita e la sua busta sigillata sia rimasta in cassaforte tutto il tempo. Hanno continuato a dire che doveva esserci un responsabile diretto che si occupasse della faccenda sin dal principio. Ci sono state telefonate all’ufficio del comando da parte del generale di brigata su ordine del generale di stato maggiore. Nessuno ha potuto far niente in proposito. Sono arrivati su un autocarro e hanno caricato tutto quanto, la busta, il materiale, tutto. Poi sono arrivato io. Le mie nuove istruzioni erano di aspettare (e cosí ho fatto per ben cinque giorni), assicurarmi che lei sia chi dice di essere, spiegarle la situazione e fornirle questo indirizzo per ulteriori contatti.
Lofting estrasse di tasca una busta scura e la tese a Leonard oltre la scrivania. Contemporaneamente Leonard gli consegnava le sue credenziali. Lofting esitò. Aveva ancora una brutta notizia da dargli. – Le cose stanno cosí. Adesso che la sua roba, di qualunque cosa si tratti, è stata consegnata nelle loro mani, anche lei passa sotto la loro giurisdizione. Lei non ci riguarda piú. Per adesso, almeno. E deve prendere istruzioni da loro.
– D’accordo, va bene.
– A me sembra che vada malissimo –. Portato a termine il proprio dovere, Lofting si alzò e gli strinse la mano. L’autista dell’esercito che aveva accompagnato Leonard dall’aeroporto Tempelhof quello stesso pomeriggio, lo attendeva nel parcheggio dello stadio olimpico.
L’appartamento di Leonard era a pochi minuti di strada. Il caporale aprí il baule della piccola vettura color cachi, ma non sembrò sentirsi in dovere di scaricare le valige. Il 26 di Platanenallee era una costruzione moderna dotata di ascensore. L’alloggio destinato a lui era al terzo piano e aveva due stanze da letto, un grande soggiorno, una cucina-tinello e un bagno lussuoso. A Tottenham, Leonard abitava ancora con i suoi e viaggiava ogni giorno per recarsi al lavoro a Dollis Hill. Vagò da una camera all’altra accendendo tutte le luci. C’erano novità di ogni genere: una grossa radio con pulsanti color crema, un telefono appoggiato su una serie di tavolini a incastro accanto a una piantina della città. I mobili erano del tipo in dotazione ai membri dell’esercito: un salotto in tre pezzi foderato in lurida stoffa a fiorami, uno sgabello con sedile in cuoio, una lampada a stelo non piú perpendicolare e, contro la parete in fondo al soggiorno, una scrivania con robuste gambe ricurve. Leonard si godette la scelta della stanza da letto e disfece con cura i bagagli. Casa sua; non aveva mai pensato che potesse procurargli tanto piacere. Appese l’abito migliore, quello semielegante e quello grigio per tutti i giorni, in un armadio a muro la cui porta scivolava al semplice tocco di una mano. Sul cassettone appoggiò il portasigarette in teak con la placca in argento con le sue iniziali, che i genitori gli avevano regalato in occasione della sua partenza. Accanto, depose il grosso accendino da tavolo, a forma di urna neoclassica. Chissà se gli sarebbe mai capitato di ricevere ospiti? Solo quando fu completamente soddisfatto della sistemazione, si concesse di sedersi in poltrona sotto la lampada, per aprire la busta. Rimase deluso. Conteneva un foglietto di carta strappato da un notes. Non c’era nessun indirizzo, soltanto un nome, Bob Glass, e un numero telefonico di Berlino. Si era pregustato la scena della piantina di Berlino distesa sul tavolo; avrebbe individuato il posto e programmato un percorso. Ora invece gli toccava ricevere istruzioni da un estraneo, un estraneo americano, e doveva anche usare il telefono, strumento che lo metteva sempre a disagio, nonostante la sua occupazione. In casa dei suoi non c’era, anche se si parlava qualche volta di farlo installare. Nessuno dei suoi amici lo aveva e gli capitava raramente di fare telefonate di lavoro. Appoggiato il biglietto in equilibrio sulle ginocchia, Leonard compose stancamente il numero. Sapeva bene quale impressione voleva fare: calma e decisa. – Parla Leonard Marnham. Credo che lei attendesse una mia chiamata.
Una voce gracchiante lo prevenne dall’altra: – Glass!
Il tono di Leonard crollò nella tipica agitazione inglese che avrebbe tanto voluto evitare rivolgendosi a un americano. – Sí, dunque, pronto, le chiedo scusa.
– Lei è Marnham?
– Già, proprio io. Leonard Marnham. Credo che lei…
– Si scriva questo indirizzo. Dieci Nollendorfstrasse, dopo Nollendorfplatz. Si presenti qui domani mattina, alle otto.
La linea si interruppe mentre Leonard stava ancora ripetendo l’indirizzo con la voce meno cordiale che gli fosse riuscito di recuperare. Si sentí un imbecille. Arrossí in solitudine. Intravide la sua faccia nello specchio a muro e vi si accostò con aria impotente. Gli occhiali resi giallastri dalle secrezioni sebacee del viso – questa almeno era la sua teoria in proposito – gli stavano assurdamente appollaiati sul naso. Quando se li tolse, la sua faccia gli parve incompleta. Ai lati del naso le due piccole chiazze rosse prodotte dalla pressione delle lenti avevano finito con l’intaccare persino la struttura ossea. Avrebbe dovuto fare a meno degli occhiali. Le cose che voleva vedere bene non erano mai lontane. Il diagramma di un circuito, il filamento di una valvola, un’altra faccia. Magari quella di una ragazza. Ecco svanita la tranquillità domestica. Tornò a vagare nel suo nuovo regno, in preda a desideri inadeguati. Infine recuperò l’autocontrollo sedendosi a scrivere una lettera ai genitori. Simili composizioni gli costavano un certo sforzo. Tratteneva il fiato all’inizio di ogni frase e si lasciava andare ad un sospiro a ogni punto fermo. «Carissimi mamma e papà, il viaggio fin qui è stato noioso, ma se non altro senza intoppi. Sono arrivato ieri alle quattro. Ho un bell’appartamento con due stanze da letto e il telefono. Non ho ancora incontrato la gente con cui lavorerò, ma credo che non mi troverò male a Berlino. Qui piove e c’è un vento terribile. La città non è cosí distrutta come si crede. Non ho ancora avuto occasione di mettere alla prova il mio tedesco…»
Ben presto, la fame e la curiosità lo convinsero a uscire. Aveva memorizzato un percorso controllato sulla piantina e si diresse a est, verso il Reichkanzlerplatz. Ai tempi dello sbarco Leonard aveva quattordici anni, abbastanza per riempirsi la testa di nomi e caratteristiche tecniche di aerei da combattimento, navi, carri armati e armi. Aveva seguito le vicende legate alla Normandia e l’avanzata dell’esercito attraverso l’Europa, verso est e attraverso l’Italia, verso nord, e soltanto adesso incominciava a dimenticare i luoghi delle grandi battaglie. Un giovane inglese non poteva arrivare in Germania per la prima volta senza considerarla prima di tutto una nazione sconfitta e senza provare un pizzico di orgoglio all’idea. Leonard aveva trascorso il periodo di guerra con la nonna in un villaggio gallese mai sorvolato da un aereo nemico. Non aveva mai toccato una pistola, né sentito un colpo d’arma da fuoco; ciononostante, e benché a liberare la città fossero stati i Russi, quella sera Leonard percorse il bel quartiere residenziale di Berlino – il vento era calato e faceva meno freddo adesso – con passo vagamente compiaciuto, come se i suoi piedi marciassero al ritmo di un discorso di Winston Churchill.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore inglese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Ian McEwan.