Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Leviatano di Paul Auster. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einiaudi con un prezzo di copertina di 11,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Leviatano: trama del libro
Benjamin Sachs è uno scrittore di talento, invidiato per un matrimonio quasi perfetto e una vita di soddisfazioni. Ma a un certo punto, nella sua vita, si innesca un imprevedibile concatenarsi di eventi che porteranno alla cruda notizia riportata da un quotidiano: «Sei giorni fa un uomo si è fatto saltare in aria sul ciglio di una strada in Wisconsin». Dietro la brutalità del fatto di cronaca, un caro amico di Sachs, Peter Aaron, riconosce la notizia della morte dello scrittore misteriosamente scomparso. Cosí tassello dopo tassello, ne ricostruisce pazientemente gli ultimi sconclusionati anni. E come spesso succede nei romanzi di Paul Auster, quel che dalla narrazione emerge è quanto la vita di ciascuno sia in totale balía del caso.
Approfondimenti sul libro
In ebook Leviatano (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Per quanto mi riguarda, piú tempo ci mettono e meglio è. La storia che devo raccontare è piuttosto complicata e, se non riuscirò a finirla prima che arrivino a una soluzione, le parole che mi accingo a scrivere non avranno alcun senso. Una volta svelato il segreto, si diffonderanno menzogne d’ogni genere, orribili distorsioni circoleranno nei giornali e nelle riviste, e nel giro di pochi giorni la reputazione di un uomo verrà distrutta. Non che io voglia cercare di giustificare quello che ha fatto, ma dal momento che non è piú in condizioni di difendersi, il meno che io possa fare è spiegare chi era e raccontare la verità sul perché si trovava su quella strada del Wisconsin del nord. Ecco perché dovrò sbrigarmi: per essere pronto ad affrontarli quando arriverà il momento. Se per caso il mistero rimarrà irrisolto, mi limiterò a conservare ciò che avrò scritto, e non sarà necessario far sapere niente a nessuno. Questa sarebbe senz’altro la soluzione migliore: un punto molto perfetto, non una parola, né da una parte né dall’altra. Ma non ci posso contare. Per assolvere il mio compito devo partire dal presupposto che stanno già per arrivare a lui, che prima o poi scopriranno chi era. E non soltanto quando avrò avuto il tempo di finire questo scritto – ma in qualsiasi momento, in qualsiasi momento a partire da ora.
Il giorno dopo l’esplosione le agenzie hanno trasmesso una breve notizia dell’incidente. Sebbene fosse uno di quei trafiletti criptici di due paragrafi che finiscono seppelliti nelle pagine centrali dei giornali, mi è capitato sotto gli occhi mentre, a pranzo, sfogliavo «The New York Times». Fatto quasi inevitabile, mi è venuto subito in mente Benjamin Sachs. Nell’articolo non c’era alcun riferimento diretto a lui eppure, allo stesso tempo, tutto sembrava combaciare. Non ci sentivamo da quasi un anno, ma durante la nostra ultima conversazione aveva detto abbastanza per convincermi che si trovava nei guai fino al collo, che si stava lanciando a capofitto in qualche oscuro, innominabile disastro. Se sono troppo vago, basti aggiungere che mi parlò anche di bombe, anzi, ne parlò incessantemente durante quella visita, e negli undici mesi seguenti mi ero portato dentro proprio una paura di questo genere: che avrebbe finito per ammazzarsi, che un giorno avrei aperto il giornale e avrei letto che il mio amico era saltato in aria. Allora non era altro che un’intuizione campata in aria, un folle salto nel vuoto, eppure, una volta che quell’idea mi era entrata in testa, non sono piú riuscito a liberarmene. Poi, due giorni dopo aver visto per caso quell’articolo, una coppia di agenti dell’Fbi è venuta a bussare alla mia porta. Appena mi hanno detto chi erano ho capito che avevo visto giusto. L’uomo che era saltato in aria era Sachs. Non c’erano dubbi. Sachs era morto, e ormai l’unico modo in cui avrei potuto aiutarlo era di non rivelare a nessuno la sua identità.
Probabilmente è stata una fortuna che abbia letto l’articolo proprio quel giorno, anche se al momento ricordo di aver pensato che avrei preferito non vederlo. Se non altro, mi ha dato un paio di giorni per assorbire il colpo. Quando gli uomini dell’Fbi si sono presentati qui per farmi delle domande ero preparato a riceverli, e questo mi ha aiutato a non perdere il controllo. E tanto di guadagnato se gli ci sono volute quarantotto ore per rintracciarmi. Pare che tra gli oggetti recuperati dal portafogli di Sachs ci fosse un biglietto con le mie iniziali e il mio numero di telefono. Ecco come sono risaliti a me; ma il caso ha voluto che il numero fosse quello di casa, a New York, mentre da dieci giorni io mi trovo con la mia famiglia nel Vermont, in una villa che abbiamo preso in affitto e dove intendiamo rimanere sino alla fine dell’estate. Dio solo sa con quante persone hanno dovuto parlare prima di scoprire che ero qui. E se en passant aggiungo che questa casa appartiene all’ex moglie di Sachs, è solo per dare un’idea di quanto sia decisamente ingarbugliata e complessa questa storia.
Con quei due ce l’ho messa tutta per fare il finto tonto, per rivelare il meno possibile. No, ho detto, non avevo letto l’articolo sul giornale. E non ne sapevo niente né di bombe, né di macchine rubate o di stradine di campagna del Wisconsin. Ero uno scrittore, ho spiegato, uno che per vivere scrive romanzi, e se volevano fare indagini su di me, che facessero pure, ma non gli sarebbe stato di alcun aiuto, non avrebbero fatto altro che sprecare il loro tempo. Forse avevo ragione, mi hanno risposto, ma come spiegavo il foglietto trovato nel portafogli del cadavere? Non stavano cercando di accusarmi di niente, ma il fatto che il morto avesse addosso il mio numero di telefono sembrava dimostrare l’esistenza di un legame tra noi due. Questo dovevo ammetterlo, no? Sí, ho risposto, senz’altro, ma il semplice fatto che sembrasse logico non significava che era vero. Quell’uomo poteva essersi procurato il mio numero in mille modi. Avevo amici sparsi per tutto il mondo, e chiunque di loro avrebbe potuto darlo a un estraneo. E magari quell’estraneo lo aveva dato a un altro estraneo che, a sua volta, lo aveva dato a un altro estraneo ancora. Può darsi, hanno ammesso i due, ma per quale motivo una persona se ne sarebbe andata in giro con in tasca il numero di telefono di una persona che non conosceva? Perché sono uno scrittore, ho risposto io. Ah sí? mi hanno incalzato loro, e questo che c’entra? C’entra, perché i miei libri vengono pubblicati, ho risposto. La gente li legge e io non ho la piú pallida idea di chi siano i miei lettori. Senza neanche saperlo, entro nella vita di persone sconosciute, e per tutto il tempo in cui tengono il libro in mano le mie parole sono per loro l’unica realtà esistente. È normale, hanno soggiunto i due, i libri fanno questo effetto. Sí, ho ammesso io, è proprio cosí, ma poi a volte si scopre che queste persone sono pazze. Leggono il tuo libro e a un certo punto qualcosa tocca una corda sepolta in fondo alla loro anima. All’improvviso si mettono in testa che tu gli appartieni, che sei l’unico amico che hanno al mondo. Per spiegarmi meglio ho citato diversi esempi, tutti veri, tutti presi dalla mia esperienza personale. Le lettere dissennate, le telefonate alle tre del mattino, le minacce anonime. Proprio l’anno scorso, ho continuato, ho scoperto che qualcuno si è spacciato per me: rispondeva alle lettere a nome mio, entrava nelle librerie e firmava i miei libri, aleggiando come un’ombra malefica ai margini della mia vita. I libri sono degli oggetti misteriosi, ho spiegato, e una volta che cominciano a circolare può succedere di tutto. Possono causare misfatti di ogni genere, senza che tu possa farci un accidente di niente. Nel bene e nel male, tu non hai assolutamente alcun controllo.
Non so se abbiano trovato le mie smentite convincenti oppure no. Sono propenso a pensare di no, ma anche se non hanno creduto a una sola parola di quello che ho detto, può darsi che la mia strategia mi abbia fatto guadagnare un po’ di tempo. Considerato che non avevo mai parlato con un agente dell’Fbi, penso di essermela cavata abbastanza bene durante il colloquio. Ero tutto calma e gentilezza, sono riuscito a trasmettere una combinazione perfetta di disponibilità e sconcerto. E questo, di per sé, per me equivale praticamente a un trionfo. In genere non sono molto bravo a ingannare la gente e, per quanti sforzi abbia fatto nel corso degli anni, mi è riuscito di rado di darla a bere a qualcuno. Se l’altro ieri mi sono fatto onore, almeno una parte del merito va agli agenti dell’Fbi. Non è stato tanto quello che hanno detto quanto il loro aspetto, l’abbigliamento che si attagliava alla perfezione ai loro ruoli, confermando cosí fin nei minimi dettagli l’immagine che avevo da sempre degli agenti dell’Fbi: gli abiti estivi leggeri, gli scarponi robusti, le camicie lava e indossa, gli occhiali da sole da pilota. Questi ultimi erano, per cosí dire, gli occhiali da sole d’obbligo, e conferivano alla scena un’aria artificiale, come se gli uomini che li indossavano non fossero che degli attori, due comparse ingaggiate per recitare una particina in un film a basso costo. Tutto questo aveva su di me uno strano effetto rassicurante, e adesso, ripensandoci, mi rendo conto di come quel senso di irrealtà abbia funzionato a mio vantaggio. Mi ha permesso di considerare anche me stesso un attore, e dal momento che ero diventato qualcun altro, all’improvviso mi sono sentito in diritto di ingannarli, di mentire senza il minimo rimorso.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paul Auster.
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