Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Libertà di Jonathan Franzen, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si acquista con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Libertà: trama del libro
Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici.
Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà «dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale».
Avevano dimenticato però che «niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali».
E infatti qualcosa dev’essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po’ troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come «arrogante, tirannico ed eticamente compromesso».
Siamo negli anni Duemila, quelli della presidenza Bush e dell’operazione Enduring Freedom, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie. Che si combattano guerre imperiali o guerre domestiche, in gioco c’è sempre la libertà e il senso da dare a questa parola.
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Walter e Patty erano stati i giovani pionieri di Ramsey Hill, i primi laureati a comprare una casa in Barrier Street da quando il vecchio cuore di St Paul era caduto in disgrazia, trent’anni prima. Avevano speso pochissimo per la loro villetta vittoriana, e poi avevano impiegato dieci anni per ristrutturarla, ammazzandosi di lavoro. Nei primi tempi, della gente molto risoluta gli aveva incendiato il garage e scassinato l’auto due volte prima che riuscissero a ricostruirlo. Motociclisti arrostiti dal sole continuavano a invadere il terreno di fronte, bevendo Schlitz, grigliando salsicce e smanettando in piena notte, fino a quando Patty non usciva fuori in tuta da ginnastica ed esclamava: «Ehi, ragazzi, sapete che vi dico?» Patty non faceva paura a nessuno, ma alle superiori e al college era stata una campionessa sportiva, e possedeva una certa audacia da atleta. Fin dal primo giorno, senza volerlo, aveva dato nell’occhio. Alta, con i capelli raccolti a coda di cavallo, assurdamente giovane, spingeva il passeggino accanto alle auto smantellate, ai cocci di bottiglie di birra e ai cumuli di neve vecchia sporca di vomito, come se dentro le borse di rete appese all’impugnatura ci portasse tutta la giornata ora per ora. Dietro di lei si scorgevano i preparativi intralciati dai figli per una mattinata di commissioni intralciate dai figli; davanti a lei un pomeriggio di radio pubblica, Il cucchiaio d’argento, pannolini di stoffa, stucco per cartongesso e pittura al lattice; e poi Buonanotte luna, e poi zinfandel. Rappresentava già in pieno quello che stava cominciando ad accadere al resto della via.
Nei primi anni, quando si poteva ancora guidare una Volvo 240 senza sentirsi in imbarazzo, il compito collettivo degli abitanti di Ramsey Hill era reimparare certe abilità che i loro genitori avevano cercato di disimparare proprio fuggendo nei quartieri residenziali, tipo come invogliare la polizia locale a svolgere davvero il proprio mestiere, come proteggere una bicicletta da un ladro molto motivato, quando disturbarsi a svegliare un ubriaco addormentato sulle sedie del giardino, come convincere i gatti randagi a cagare nel recinto di sabbia dei figli di qualcun altro, e come stabilire se una scuola pubblica faceva troppo schifo per prendersi la briga di cercare di migliorarla. C’erano anche questioni piú attuali, tipo, cosa pensare dei pannolini di stoffa? Valeva la pena di usarli? Ed era vero che si poteva ancora farsi consegnare il latte nelle bottiglie di vetro? I Boy Scout erano accettabili da un punto di vista politico? Il bulgur era davvero indispensabile? Come smaltire le batterie scariche? Come reagire quando una persona di colore indigente ti accusava di aver distrutto il suo quartiere? Era vero che lo smalto delle vecchie ceramiche Fiestaware conteneva una pericolosa quantità di piombo? Il filtro per l’acqua potabile doveva per forza essere un oggetto complicato? Ogni tanto la 240 si rifiutava di andare in overdrive quando si spingeva il pulsante di overdrive? Era meglio dare qualcosa da mangiare ai mendicanti, oppure niente? Era possibile crescere bambini con un’inaudita fiducia in se stessi, felici e intelligenti, lavorando a tempo pieno? Si poteva macinare il caffè la sera prima oppure bisognava farlo il mattino stesso? Qualcuno, nella storia di St Paul, aveva mai avuto un’esperienza positiva con un conciatetti? Esisteva un bravo meccanico della Volvo? Anche il cavo del freno a mano della 240 degli altri non scorreva? E l’interruttore sul cruscotto con quel simbolo enigmatico, che emetteva un clic cosí gratificante, cosí svedese, ma che sembrava non azionare niente: a cosa serviva?
Per chiunque nutrisse questi dubbi, Patty Berglund rappresentava una risorsa, una gioiosa portatrice di polline socioculturale, un’ape operosa e affabile. Era una delle poche mamme a tempo pieno di Ramsey Hill, famosa per la sua avversione a parlar bene di se stessa e male di chiunque altro. Diceva che un giorno sarebbe finita «decapitata» da una delle finestre a cui aveva sostituito la corda del contrappeso. I suoi figli sarebbero «probabilmente» morti di trichinosi per via della carne di maiale che lei non aveva cotto a sufficienza. Si chiedeva se la sua «dipendenza» dalle esalazioni dello sverniciatore fosse collegata al fatto che non leggeva piú «neanche un libro». Confessava che le era stato «proibito» fertilizzare i fiori di Walter, dopo quello che era successo «l’ultima volta». Alcuni non gradivano il suo stile autodenigratorio: vi scorgevano una certa condiscendenza, come se Patty, nell’esagerare i propri lievi difetti, stesse cercando troppo palesemente di non urtare la suscettibilità di casalinghe meno capaci di lei. Ma di norma la gente trovava la sua umiltà sincera, o quantomeno divertente, e in ogni caso era difficile resistere a una donna che piaceva tanto ai tuoi figli, e che si ricordava non solo dei loro compleanni ma anche del tuo, e veniva a bussare alla porta con un piatto di biscotti o un biglietto d’auguri o un mazzo di mughetti dentro un vasetto comprato in qualche negozio di beneficenza, dicendoti di non disturbarti a restituirlo.
Di lei si sapeva che era cresciuta sulla costa orientale, in un sobborgo di New York, ed era stata una delle prime donne a ricevere una borsa di studio a copertura totale per giocare a pallacanestro alla University of Minnesota, dove al secondo anno, stando alla targa appesa nello studio di Walter, era stata eletta nella seconda squadra All-American. La cosa strana era che Patty, malgrado amasse tanto la famiglia, non aveva alcun legame evidente con le proprie radici. Passava intere stagioni senza metter piede fuori da St Paul, e non era chiaro se qualcuno, a cominciare dai suoi genitori, fosse mai venuto a trovarla dalla costa orientale. Se interrogata a bruciapelo sui genitori, Patty rispondeva che facevano tante belle cose per tanta gente; suo padre aveva uno studio legale a White Plains, sua madre era in politica, sí, una deputata dello stato di New York. Poi annuiva con enfasi e diceva: «Sí, ecco cosa fanno», come se avesse esaurito l’argomento.
Cercare di farle ammettere che qualcuno si comportava in modo «pessimo» poteva diventare una gara di abilità. Quando venne a sapere che Seth e Merrie Paulsen avevano organizzato una grande festa di Halloween per i loro gemelli, invitando di proposito tutti i bambini dell’isolato tranne Connie Monaghan, Patty si limitò a dire che era molto «strano». La prima volta che la incontrarono per strada, i Paulsen le spiegarono che per tutta l’estate avevano cercato di convincere la madre di Connie Monaghan, Carol, a non lanciare i mozziconi dalla finestra della sua camera dentro la piscinetta dei gemelli. – È molto strano, – convenne Patty, scuotendo la testa, – ma non è colpa sua, sapete –. I Paulsen, tuttavia, si rifiutarono di accontentarsi di «strano». Volevano «sociopatico», volevano «passivo-aggressivo», volevano «pessimo». Sentivano il bisogno che Patty scegliesse uno di quegli epiteti e si unisse a loro nell’applicarlo a Carol Monaghan, ma Patty era incapace di andare oltre «strano», e i Paulsen a loro volta si rifiutarono di aggiungere Connie alla lista degli invitati. Patty provò un tale sdegno per quell’ingiustizia che il pomeriggio della festa portò i suoi bambini, insieme a Connie e a una compagna di classe, a fare un’escursione in un campo di zucche con il classico giro sul carro da fieno, ma la cosa peggiore che disse sui Paulsen fu che la loro durezza nei confronti di una bambina di sette anni era molto strana.
Carol Monaghan era l’unica altra madre di Barrier Street che ci abitasse da tanto tempo quanto Patty. Era arrivata a Ramsey Hill grazie a quello che si potrebbe definire un programma di scambio clientelare, come ex segretaria di un personaggio di alto livello della contea di Hennepin che l’aveva allontanata dal suo distretto dopo averla messa incinta. Tenere a libro paga la madre del proprio figlio illegittimo: alla fine degli anni Settanta erano ormai poche le giurisdizioni delle Città Gemelle dove questo veniva considerato consono al buongoverno. Carol venne trasferita all’ufficio licenze, dove diventò una di quelle impiegate comunali distratte e sempre in pausa, mentre una persona di St Paul altrettanto bene ammanigliata prendeva il suo posto sull’altra sponda del fiume. L’affitto della casa in Barrier Street, di fianco a quella dei Berglund, doveva essere compreso nell’accordo; altrimenti era difficile immaginare perché Carol avesse acconsentito ad abitare in una zona che all’epoca era ancora molto degradata. Una volta alla settimana, in estate, un ragazzo dallo sguardo vacuo con una tuta del dipartimento parchi arrivava al crepuscolo su una 4×4 senza insegne e le tagliava l’erba del giardino, e in inverno lo stesso ragazzo si materializzava per sgomberarle il marciapiede dalla neve.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore americano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Jonathan Franzen.
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