Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il lupo della steppa di Hermann Hesse. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Mondadori, con un prezzo di copertina di 9,75 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il lupo della steppa: trama del libro
Harry Haller (alter ego dello stesso Hesse, con cui condivide le iniziali H.H. del nome) è un intellettuale sulla cinquantina che vive in una condizione di impotente infelicità generata dal dissidio interiore tra l’”uomo” (quello che ha in sé di spirituale, di sublimato o per lo meno di culturale) e il “lupo” (il lato istintivo, selvatico e caotico). Chiuso in un isolamento quasi totale, arriva a un passo dal suicidio. Verrà “rieducato” alla vita comune da una donna incolta ma intelligente incontrata ina una trattoria-balera, la bella Erminia, che lo condurrà alla scoperta dei piaceri della vita moderna e lo aiuterà a trovare la via per meglio comprendere le “non regole” dell’assurdo gioco della vita. Pubblicato nel 1927, in un’Europa in cui i regimi totalitari si vanno imponendo, Il lupo della steppa è uno dei romanzi più “radicali” e più affascinanti di Hesse.
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Il lupo della steppa (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 7,99 euro.
Questo libro contiene le memorie lasciate da quell’uomo che, con un’espressione usata sovente da lui stesso, chiamavamo il “lupo della steppa”. Non stiamo a discutere se il suo manoscritto abbia bisogno di una prefazione introduttiva; io in ogni caso sento il bisogno di aggiungere ai fogli del Lupo della steppa alcune pagine dove tenterò di segnare i ricordi che ho di lui. È poca cosa quello che so, e specialmente il suo passato e la sua origine mi sono ignoti. Tuttavia ho avuto della sua persona un’impressione forte e, devo dire, nonostante tutto simpatica.
Il lupo della steppa era un uomo di circa cinquant’anni che un giorno, alcuni anni or sono, si presentò in casa di mia zia a chiedere una camera ammobiliata. Prese la mansarda lassù sotto il tetto e la cameretta attigua, ritornò dopo qualche giorno con due valigie e una grande cassa di libri e abitò in casa nostra per nove o dieci mesi. Conduceva una vita molto quieta e appartata e, se la vicinanza delle nostre camere non avesse offerto l’occasione di qualche incontro sulle scale o nel corridoio, probabilmente non lo avremmo neanche conosciuto, poiché socievole non era di certo; era anzi così poco socievole come non avevo mai visto altre persone; era realmente, come diceva talvolta, un lupo della steppa, un essere estraneo, selvatico e anche ombroso, anzi molto ombroso, quasi fosse di un mondo diverso dal mio. Quanto si fosse immerso nella solitudine per indole e per volontà della sorte, e quanto fosse consapevole di quel suo destino solitario, seppi soltanto dagli scritti che lasciò; ma già prima l’avevo un po’ conosciuto incontrandolo e scambiando qualche parola, e notai che il ritratto risultante dai suoi scritti concordava in fondo con quello certamente più scialbo e lacunoso che mi ero fatto attraverso la nostra conoscenza personale.
Per caso ero presente al momento in cui il lupo della steppa mise piede per la prima volta in casa nostra e prese alloggio da mia zia. Venne a mezzogiorno, i piatti erano ancora sulla tavola e io avevo ancora una mezz’oretta di tempo prima di andare in ufficio. Non ho dimenticato l’impressione strana e contraddittoria che ne ebbi al primo incontro. Entrò dopo aver suonato il campanello e mia zia, nel corridoio semibuio, gli domandò che cosa desiderasse. Egli intanto, il lupo della steppa, aveva alzato la testa coi capelli corti e annusando l’aria con fare nervoso, prima di rispondere o di presentarsi, aveva esclamato: «Oh, c’è un buon odore qui». Sorrise e anche la mia buona zia sorrise, ma a me quel saluto parve piuttosto comico e antipatico.
«Già,» fece «vengo per via della camera che lei ha da affittare.»
Lo potei osservare meglio solo quando tutti e tre salimmo all’ultimo piano. Non era molto alto, ma aveva l’andatura e il portamento del capo caratteristici degli uomini di alta statura; portava un cappotto moderno e comodo, era vestito decentemente ma senza ricercatezza, tutto rasato, e aveva i capelli molto corti, qua e là leggermente brizzolati. Da principio quel suo modo di camminare non mi piacque, aveva un che di faticoso e di irresoluto che non si adattava al profilo tagliente e neanche al tono e alla vivacità della parola. Solo più tardi mi accorsi e venni a sapere che era ammalato e che faceva fatica a camminare. Con un singolare sorriso, che mi fece allora un’impressione sgradevole, andava osservando la scala, i muri, le finestre e gli alti armadi collocati sul pianerottolo: tutto ciò sembrava gli andasse a genio e gli paresse tuttavia un po’ ridicolo. In genere l’uomo pareva venisse da un mondo lontano, non so, da paesi d’oltremare, e che tutto gli apparisse grazioso ma un tantino buffo. Era, devo dire, cortese, anzi gentile, si dichiarò subito contento della casa, della camera, del prezzo per l’alloggio e la colazione, di ogni cosa senza nulla obiettare, eppure era circondato da un’atmosfera estranea e, così sembrava, non buona o forse ostile. Prese la stanza con la cameretta, chiese chiarimenti sul riscaldamento, l’acqua potabile, il servizio, le usanze della casa, ascoltò tutto con attenzione cortese, si disse d’accordo con tutto, offrendo anche subito un anticipo sull’affitto, eppure pareva un pochino assente, quasi trovasse il suo modo di agire alquanto ridicolo e poco serio, e fosse per lui cosa nuova e curiosa prendere a pigione una camera e parlare con la gente, mentre in fondo stava pensando a tutt’altro. Questa fu all’incirca la mia impressione, e non sarebbe stata un’impressione buona se molti piccoli tratti non l’avessero confutata e corretta. La faccia soprattutto dell’uomo mi piacque fin dal primo momento; mi piacque nonostante quell’aria straniera; era una faccia forse un po’ singolare e anche triste, ma vigile, piena di pensiero e di tormento spirituale. A rendermi più conciliante s’aggiunse anche il tono di cordialità che pareva costargli qualche fatica, ma era del tutto privo di albagia: al contrario, v’era qualche cosa di commovente, d’implorante, che seppi spiegarmi solo più tardi, ma destò subito nel mio cuore un moto di simpatia.
Prima che fossero finite la visita dei due locali e le altre trattative, il mio tempo libero era trascorso e io dovetti recarmi al lavoro. Salutai e lasciai quell’uomo con mia zia. La sera, quando ritornai a casa, lei mi comunicò che il forestiero aveva fissato l’alloggio e sarebbe venuto a giorni; aveva pregato soltanto di non notificare il suo arrivo dicendo che, malandato com’era, le formalità e le soste negli uffici della polizia eccetera gli riuscivano insopportabili. Ricordo benissimo che rimasi perplesso e avvertii mia zia di non accettare quella condizione. Il timore della polizia mi pareva troppo intonato all’aria strana e insolita dell’uomo per non essere sospetto. Spiegai alla zia che trattandosi di un ignoto non doveva assolutamente accogliere quella pretesa piuttosto singolare che per lei poteva avere conseguenze assai spiacevoli. Se non che lei aveva già accettato il desiderio e pareva anzi presa e affascinata da quell’estraneo; tant’è vero che non ha mai accettato pensionanti coi quali non potesse avere qualche rapporto umano, familiare o anzi materno, circostanza che era stata infatti abbondantemente sfruttata da alcuni pensionanti precedenti. E nelle prime settimane continuai a trovare parecchio da ridire sul nuovo inquilino, mentre mia zia ne prendeva sempre le difese con molto calore.
Siccome quella faccenda della mancata denuncia non mi garbava, volli per lo meno essere informato di quel che mia zia sapeva del forestiero, della sua origine e delle sue intenzioni. Ed ecco che lei sapeva già qualche cosa benché, dopo la mia uscita a mezzogiorno, egli fosse rimasto in casa pochissimo. Le aveva detto che aveva intenzione di rimanere alcuni mesi nella nostra città, per frequentare le biblioteche e ammirare le antichità. In verità a mia zia non piaceva che egli volesse rimanere così poco tempo, ma era chiaro che si era già accattivato le sue simpatie nonostante il modo strano di presentarsi. Fatto sta che le stanze erano affittate e le mie obiezioni arrivavano troppo tardi.
«Perché mai avrà detto che qui c’è un buon odore?» domandai.
E mia zia, che molte volte ha intuizioni felici, rispose:
«Io lo so. Qui da noi c’è un odore di pulizia e di ordine, un odore di vita serena e per bene, e questo gli è piaciuto. Ha l’aria di non esserci più avvezzo e di sentirne la mancanza.»
“Sarà,” pensai “può darsi.” «Ma» dissi «se non è avvezzo a una vita ordinata e ammodo, dove andremo a finire? Che cosa farai se è poco pulito, se insudicerà ogni cosa o verrà a casa di notte a qualunque ora, ubriaco?»
«Questo si vedrà» fece lei ridendo, e io mi strinsi nelle spalle.
Difatti i miei timori erano ingiustificati. L’inquilino, pur non facendo una vita ordinata e ragionevole, non ci diede mai noia, non recò alcun danno e anche oggi lo ricordiamo volentieri. Ma di dentro, nell’anima, ci diede noia e disturbo, a me e a mia zia, e per dir il vero non potrei affermare di essermene ancora liberato. Di notte lo sogno qualche volta e mi sento profondamente inquieto e oppresso da lui, dalla sua sola esistenza, benché avessi preso quasi a volergli bene.
Due giorni dopo un corriere portò la roba del forestiero che si chiamava Harry Haller. Una bellissima valigia di cuoio mi fece buona impressione e un grande baule piatto, di quelli da cabina, pareva indizio di lunghi viaggi fatti in precedenza: in ogni caso vi erano appiccicate le etichette ingiallite di alberghi e società di trasporto di vari paesi, anche d’oltremare.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Hermann Hesse.
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