Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Mai più innamorata di Cecile Bertod, romanzo edito in Italia da Newton Compton con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma online lo si acquista con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Mai più innamorata: trama del libro
Daphne è una famosissima autrice di romanzi erotici, che ha appena firmato un nuovo contratto con un anticipo da capogiro per il suo ultimo lavoro. Però, incassato l’assegno, perde tutta l’ispirazione. Si barrica in casa per sfuggire alle numerose e-mail del suo editore, finché alla fine decide di ascoltare il commercialista, che le propone di tornare nel suo vecchio paesino d’origine per trascorrere qualche giorno in totale relax. Sperando di trovare la giusta concentrazione, Daphne va quindi a Banff, ma lì le cose non migliorano, tutt’altro. A renderle la vita impossibile ci pensa Edward, l’architetto che sta ristrutturando la villetta dove andrà a vivere sua sorella. Edward ha tutta l’intenzione di farla pagare a Daphne perché è proprio per colpa di uno dei suoi romanzi se Candy l’ha lasciato a due settimane dal matrimonio. Ma Daphne scoprirà che riesce a scrivere solo quando vede Ed e non intende affatto rinunciare alla possibilità di finire il romanzo…
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Signorina Hayes, sempre Ellen dalla Rosered. Ha sentito il mio messaggio? Ho ricontrollato, ma proprio non mi risulta la ricezione del manoscritto. Può provare a rimandarmi l’allegato?
Ellen, Rosered. Signorina Hayes, la disturbo? Ecco, sono passati già più di sei giorni e… Non ho ancora ricevuto il file del romanzo. A costo di sembrare pressante, dovremmo iniziare l’editing. Abbiamo previsto l’uscita per inizio giugno e… Saremmo così vicini alla data che… Se potesse essere così gentile da… Be’, attendo con ansia sue notizie.
Daphne? Sono Arthur Freeman. Stiamo cercando di rintracciarla da più di dieci giorni. Il numero di cellulare che ci ha fornito risulta inesistente, l’indirizzo e-mail disattivato. Si ricordi che per la Rosered il rapporto con gli autori è di primaria importanza. Se ci sono problemi, di qualsiasi natura essi siano, non esiti a contattarci. Sono sicuro che, insieme, troveremo una soluzione!
Spengo la segreteria scaraventando direttamente l’apparecchio sul divano e mi lascio cadere sulla poltrona sfatta, esausta, delirante.
Sul monitor del notebook ristagna da ore l’incipit di un racconto destinato a rimanere tale per documentazione insufficiente. Non ho idea di cosa scrivere. Non so neanche da dove iniziare. Non mi stupisce. L’ultima volta che ho interagito con un essere pene-dotato, Justin Bieber era solo un’ipotesi di reato, consumata clandestinamente sui sedili posteriori di una Volvo di seconda mano.
Ansia!
Sbircio il file aperto, ma non ho il coraggio di affrontare la realtà e le sue dannate conseguenze. Non adesso. Non a quest’ora e senza ancora aver preso il caffè.
Così spengo il PC e mi tuffo con una testata sullo schienale, nascondendo il viso tra le mani.
Come sono arrivata a questo punto? Non ne ho idea. E dire che fino a qualche mese fa tutto procedeva meravigliosamente. Le vendite di Passione eterna avevano superato ogni più rosea aspettativa e dalla Rosered era arrivato un assegno a sei zeri per l’anticipo del nuovo romanzo.
Sembrava proprio che quest’anno fosse iniziato nel migliore dei modi. Poi? Il baratro. E non so spiegarmi il perché. Non è successo nulla. Sono sempre io, la stessa: insonnia, inappetenza e un’insoddisfazione cronica ai limiti del patologico. Eppure, tutto questo non aveva mai influenzato il mio lavoro prima d’ora. Allora cosa c’è che non va? Perché d’un tratto non riesco più ad andare avanti? Blocco dello scrittore? No, mi rifiuto di prenderlo in considerazione. Tanto per iniziare, il blocco dello scrittore non esiste. È solo una di quelle assurde leggende metropolitane che si sentono nei caffè letterari. Un modo come un altro per non dover ammettere di non avere nulla da dire. A maggior ragione, non può proprio essere il mio caso. Anche perché, siamo seri, non avevo nulla da dire neanche prima. Ho la stessa vita sociale di un eremita tibetano, senza la scusa del saæsåra e della ricerca del nirvana attraverso la contemplazione mistica del cosmo. In pratica sono a un passo dalla beatificazione per mancato utilizzo. Ora, dati alla mano, a voi sembra normale che sei mesi fa descrivevo amplessi ferini come se non esistesse un domani e oggi fisso le pagine vuote del mio Word con la sola consapevolezza di aver finito la cera d’api?
No. Deve esserci qualcosa sotto, ma non so ancora cosa. Il peggio è che finché non ne verrò a capo non riuscirò a scrivere più un rigo. Uno solo. E questo non posso davvero permettermelo.
«Oh… Che disastro!».
Sbuffo.
Sbuffare mi comunica sempre un senso di momentanea acquiescenza. Espiri, chiudi gli occhi, ti liberi di tutto l’ossigeno che hai nei polmoni e, con esso, di ogni preoccupazione.
In quel momento, immersa nel vuoto, vedi il mondo per quello che è: un groviglio di ingranaggi disposti senza logica che per puro caso si incastrano perfettamente, ruotando senza alcun motivo e senza meta malgrado tutto, compresi i tuoi ridicoli problemi esistenziali. Perché in realtà sei solo una microscopica rotellina di cui il sistema non ha alcun bisogno. Quindi è inutile agitarsi in cerca di risoluzioni. Tanto, qualsiasi cosa accadrà, non dipenderà da te, solo dall’altrettanto casuale disposizione di miliardi di microscopici ingranaggi che, privi di libero arbitrio, in qualche modo si intersecheranno tra le tue giunzioni, determinando il tuo successo o, più probabile, la tua disastrosa disfatta.
Inquietante, non è vero? In ogni caso è una consapevolezza che dura meno di un secondo e non lascia strascichi.
Espiri. Apri gli occhi. Realizzi. Il secondo dopo inspiri. Riprendi fiato. Rimetti dentro tutta quell’aria che ti ristagnava attorno satura di negatività e da quel momento ritornano le tue stupide angosce caricate di mille dubbi, di mille ipotesi, di mille ridicoli progetti.
Conseguenza diretta: inizi ad affannarti, incasinando tutto ulteriormente.
Conseguenza indiretta: dimentichi il tè sul fornello acceso e innaffi pavimento, tappetino appena comprato da Ikea e buoni tre quarti del piano cottura.
«Merda!».
Incapacità di reazione.
Tutto ciò che riesco a fare, quando me ne accorgo, è imprecare sottovoce.
Lo so, dovrei solo alzarmi, andare in cucina e spegnere il gas, ma è come se un’oscura forza mi tenesse incatenata alla poltrona per impedirmi di scappare. Finisco così per fissare quell’angolo della cucina come se questo fosse un film di cui conosco già il finale e senza accorgermene lascio andare l’immaginazione.
La mente inizia a vorticare in senso tragico.
Ogni singolo passaggio, da questo momento in poi, è sequenziale e inarrestabile.
Campo lungo. Una folata di vento apre improvvisamente la finestra. Stacco. Il bollitore rotola sul pavimento, la presina scivola sui fornelli. Primo piano drammatico. Si lascia avvolgere dalle fiamme. Lingue di fuoco azzurrino investono la credenza. La telecamera si allontana e…
Daphne…
L’incendio avvampa!
Daphne…
No, per Daphne è finita. Non c’è più scampo.
Avvolta dal fumo, mentre cerco di mettere in salvo il computer, mi adagio priva di vita sul tappeto.
Che immagine straziante.
Andare via senza il conforto di un abbraccio, e nel fiore degli anni.
Cosa rimarrà di me domani? Solo un mucchietto di cenere e una T-shirt sbiadita. Com’è potuto accadere? Che orribile tragedia!
Ne parleranno di sicuro tutti in città, sarà la notizia del giorno. La mia foto finirà sulle prime pagine dei giornali e i miei libri scaleranno le classifiche.
“Strappata alla vita. Terribile! Un animo tormentato, un’artista destinata a rimanere nella storia”, scriveranno di me. “Proprio prima che riuscisse a completare il suo ultimo libro. L’opera che l’avrebbe consacrata come regina dell’eros. Che drammatica perdita. Oggi il mondo della letteratura piange un capolavoro destinato a rimanere celato. Nessuno potrà mai leggerlo. Neanche la Rosered, che non potrà chiedere la restituzione dell’anticipo per sopraggiunta calamità”.
Non ci sono gli estremi. Se dovessi morire quei soldi mi seguirebbero nella tomba, rifletto, battendomi un indice sulla bocca. Talmente presa dal discorso funebre, non sento nemmeno bussare alla porta.
«Daphne… Daphne, accidenti, vuoi aprire?».
La realtà che subentra all’immaginifico.
Incuranti del processo artistico di cui sono vittima, urlano dalle scale mentre sfuggo alle mie responsabilità sperando nella morte. «Si può sapere che combini?», sento sbraitare dal giardino. Deve essere mia madre. Chi potrebbe mai pensare di buttarmi giù dal letto a quest’ora?
«Ah, maledizione…», mugugno, massaggiandomi gli occhi.
Inutile, non ha il minimo ritmo scenico e un tempismo da schifo. Come rovinare un finale perfetto con una manciata di gorgoglii indistinguibili. Non poteva chiamare? Mandarmi un fax?
«Daphne, benedetta ragazza, è più di un’ora che provo a parlarti! Hai di nuovo staccato il telefono?».
Entra aprendo con le sue chiavi, quelle che in realtà erano nate come chiavi di scorta. L’errore fatale è stato comunicarglielo.
Scoperto il nascondiglio, ridefinita la destinazione d’uso. È stato un processo di una velocità disarmante. «Non vorrai lasciarle qui? Le prendo io per sicurezza. Perdi sempre tutto, tu. Con quella testa!». Fine. Buttate nel portafogli, disperse tra le foto del matrimonio e le mentine all’eucalipto. Naufraghe mai più rinvenute.
«Ma cosa…», le scappa di bocca, appena mette piede in cucina. Basta un’occhiata ai fornelli e si ritrova con le mani infilate tra i capelli e gli occhi sbarrati. C’è tè dappertutto e continua a venirne giù. Il bollitore minaccia di cadere a terra. L’allarme antincendio potrebbe mettersi a suonare da un momento all’altro.
«Cosa diamine…». Lì per lì si paralizza, con le chiavi ancora in mano e l’espressione attonita. L’istinto di porre fine al disastro arriva solo dopo.
«O Dio! O Dio!», si mette a strillare, non appena recupera quel minimo di lucidità che le consente di reagire. «Che disastro! Tutto allagato! Tutto!».
Per la bibliografia completa dello scrittrice rimandiamo i lettori alla pagina sul sito dell’editore dedicata a Cecile Bertod.
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