Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La mappa del destino di Glenn Cooper. Il romanzo è pubblicato in Italia da Nord con un prezzo di copertina di 13,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La mappa del destino: trama del libro
Per settecento anni è rimasto nascosto in un muro dell’abbazia. Poi una scintilla ha scatenato un incendio e il muro è crollato. Stupito, l’abate Menaud sfoglia quel volume impreziosito da disegni di animali e di piante. È scritto in codice, ma le prime parole sono in latino: “Io, Barthomieu, monaco dell’abbazia di Ruac, ho duecentoventi anni. E questa è la mia storia.” Per migliaia di anni è rimasto immerso nell’oscurità. Poi un’intuizione ha squarciato le tenebre. Incredulo, l’archeologo Lue Simard cammina in quel grandioso complesso di caverne, interamente decorate con splendidi dipinti rupestri. E arriva all’ultima grotta, la più sorprendente, dove sono raffigurate alcune piante: le stesse riprodotte nell’enigmatico manoscritto medievale… Per un tempo indefinibile è rimasto avvolto nel mistero. È stato custodito da santi e da assassini, è stato una fonte di vita e una ragione di morte. Poi un imprevisto ha rischiato di svelarlo agli occhi del mondo. Spietati, gli abitanti di Ruac non hanno dubbi: i forestieri devono essere fermati. Perché la cosa più importante è difendere il loro segreto. A ogni costo.
Approfondimenti sul libro
La mappa del destino è in vendita anche in formato eBook al prezzo di euro 7,99.
Tutto iniziò dentro una spessa parete d’intonaco, con una scintilla sprizzata da un cavo elettrico roso dai topi.
La scintilla centrò una trave di castagno. Quando il legno stagionato ebbe preso fuoco, dalla parete nord della cucina dell’abbazia iniziò a uscire il fumo.
Se fosse successo durante il giorno, il cuoco, una delle monache, oppure lo stesso abate Menaud, fermatisi a prendere un bicchiere di limonata calda, avrebbero potuto dare l’allarme o almeno usare l’estintore sotto il lavabo.
Invece accadde in piena notte.
La biblioteca dell’abbazia aveva una parete in comune con la cucina. Con una rilevante eccezione, non ospitava una collezione di particolare valore, però costituiva una parte tangibile della storia del monastero, proprio come le tombe nella cripta o le lapidi nel cimitero.
Insieme con cinque secoli di testi ecclesiastici fondamentali e varie copie della Bibbia, vi erano conservate le cronache degli aspetti più quotidiani della vita dell’abbazia: nuovi arrivi, morti, censimenti, trattati medici ed erboristici, scritture contabili, persino ricette per fare la birra e alcuni tipi di formaggio. L’unico volume prezioso era una copia trecentesca della Regola di san Benedetto da Norcia, la cosiddetta «versione di Digione», una delle prime traduzioni dal latino al francese antico. Per un’abbazia nel cuore del Périgord, possedere una delle prime copie in francese della Regola del santo era motivo di orgoglio e il volume occupava il posto d’onore al centro della libreria addossata alla parete in fiamme.
La biblioteca era un’ampia sala, con alte finestre dalle vetrate a piombo e un pavimento sconnesso a pietre quadrate e rettangolari. Il tavolo da lettura – posto al centro – era dotato di zeppe, perché non traballasse, e i monaci e le monache che vi prendevano posto dovevano evitare di muoversi troppo sulle sedie per non fare rumore. Le librerie che coprivano le pareti e sfioravano il soffitto erano vecchie di secoli, di noce color cioccolato, lucidato dal trascorrere del tempo. In quel momento, nuvole di fumo avvolgevano gli scaffali addossati alla parete invasa dalle fiamme.
Se non fosse stato per la prostata ingrossata di fratello Marcel, quella notte sarebbe finita in modo diverso. Nel dormitorio dei monaci, sul lato opposto del cortile rispetto alla biblioteca, fratello Marcel si svegliò per una delle sue consuete puntatine notturne al bagno e sentì puzza di fumo. Allora si trascinò lungo i corridoi, lottando contro i reumatismi e mettendosi a strillare: «Al fuoco! Al fuoco!»
Non molto tempo dopo, una squadra di SPV – i Sapeur-Pompier Volontaire, cioè i pompieri volontari –, a bordo di una veneranda autopompa Renault, risaliva il viale inghiaiato che conduceva all’abbazia trappista di Ruac.
La squadra serviva una cerchia ristretta di comuni del Périgord Noir, lungo il Vézère. Il capo della squadra, Bonnet, era di Ruac e conosceva piuttosto bene l’abbazia. Gestiva il bar del paese ed era più vecchio del resto della squadra. All’ingresso della biblioteca, sfrecciò davanti all’abate Menaud – che, col suo bel saio bianco e con lo scapolare nero indossati alla bell’e meglio sembrava un pinguino spaventato – agitando le braccia tozze e borbottando, allarmato: «Dobbiamo fare in fretta!» Poi ispezionò la sala invasa dal fumo e ordinò ai suoi uomini di preparare gli idranti e di trascinarli all’interno.
«Non userete mica gli idranti?» piagnucolò l’abate.
«E come dovremmo spegnerle, le fiamme? Eh, padre?» protestò Bonnet. «Con le preghiere?» Poi sbraitò al suo vice, un meccanico avvinazzato: «L’incendio è in quella parete. Abbattete la libreria!»
«No, vi prego!» lo implorò l’abate Menaud. «I nostri libri…» Poi, in un lampo di terrore, si accorse che il prezioso volume della Regola era sulla strada di quelle fiamme inesorabili. Allora superò Bonnet e gli altri e lo tirò giù dal ripiano, stringendolo fra le braccia come un bambino.
«Non posso lavorare con l’abate in mezzo ai piedi», ruggì Bonnet. «Qualcuno lo porti via. Sono io che comando, qui!»
Un gruppo di monaci si avvicinò all’abate e, in silenzio ma con decisione, lo trascinò fuori, nell’aria notturna velata dal fumo. Bonnet brandì una scure, ne conficcò la lama in un ripiano – proprio quello su cui, fino a un momento prima, si trovava il manoscritto della Regola –, poi tirò all’indietro con tutte le sue forze. La scure tranciò la costa di un altro libro, penetrò nel legno e l’enorme libreria s’inclinò in avanti di qualche centimetro, facendo cadere alcuni manoscritti. Ma il capo dei pompieri non si fermò, anzi prese a vibrare colpi d’ascia con particolare energia. Era lieto di poter finalmente dare sfogo al suo odio nascosto per i libri. Non gli erano mai piaciuti. Lo avevano soltanto fatto soffrire.
Ben presto, altri quattro uomini lo imitarono: sotto i loro colpi, la massiccia libreria s’inclinò ancora di più finché, dopo un’ultima cascata di volumi, simile a una valanga di pietre su un sentiero di montagna, non raggiunse il punto critico.
Tutti corsero ai ripari mentre la scaffalatura crollava sul pavimento di pietra. Bonnet guidò gli uomini al di sopra della catasta di legna che si era abbattuta su pile e pile di volumi. I loro scarponi scricchiolarono sulla scaffalatura distrutta e, nel caso di Bonnet, sfondarono un pannello di noce.
I pompieri si avvicinarono alla parete in fiamme.
«Bene!» gridò Bonnet, ansimando per lo sforzo. «Aprite un varco nel muro e poi via con l’acqua!»
Quando spuntò l’alba, i pompieri stavano spegnendo le ultime fiamme. L’abate venne finalmente ricondotto all’interno della biblioteca. Aveva solo sessant’anni, ma sembrava invecchiato di colpo di altri venti. Appariva ingobbito e fragile.
Quando vide la devastazione, gli salirono le lacrime agli occhi: le librerie in frantumi, i mucchi di carta zuppa, la cenere… La parete bruciata era stata abbattuta quasi interamente e, al di là, s’intravedeva la cucina. Perché, si chiese, non avevano respinto l’incendio dalla cucina? Era proprio necessario distruggere i libri? Ma l’abbazia era salva, non era morto nessuno e di ciò doveva essere grato al Signore. Avrebbero guardato avanti. Come avevano sempre fatto.
Attraverso le macerie, Bonnet gli andò incontro. «Mi dispiace di essere stato brusco con lei, padre Menaud», disse con aria pentita. «Faccio soltanto il mio lavoro.»
«Lo so, lo so», borbottò l’abate. «È solo che… Oddio, quanti danni.»
«Gli incendi non sono faccende da poco, purtroppo. Ce ne andremo subito. Conosco una ditta che può aiutarvi con lo sgombero. È a Montignac e la gestisce il fratello di uno dei miei uomini.»
«Faremo tutto da soli», replicò l’abate. Il suo sguardo vagava sul pavimento coperto di volumi. Si abbassò per raccogliere una Bibbia fradicia: la rilegatura secentesca in pelle già emanava il debole aroma dolciastro della muffa che proliferava. Usò un lembo della manica del saio per asciugarla, ma poi si rese conto dell’inutilità di quel gesto e posò il volume sul tavolo da lettura, che era stato spinto contro una libreria intatta.
Scosse il capo e stava per recarsi ai riti del mattino allorché qualcosa colpì la sua attenzione.
In un angolo, a una certa distanza dalle cataste di libri, c’era un testo con una rilegatura particolare, che lui non riconobbe. L’abate era un erudito, con una laurea in Teologia conseguita a Parigi. Da oltre trent’anni, quei libri erano i suoi amici intimi, i suoi compagni. Per lui era come avere diverse migliaia di figli. E, di tutti quei figli, conosceva il nome e l’aspetto fisico.
Ma quello… non l’aveva mai visto prima. Ne era certo.
Uno dei pompieri, un tizio cortese e allampanato, seguì con lo sguardo l’abate che si avvicinava al volume e si chinava per esaminarne la costa. «Buffo quel libro, vero, padre?»
«Sì, infatti.»
«L’ho trovato io, sa», affermò il pompiere con orgoglio.
«Trovato? E dove?»
L’uomo indicò una zona della parete che non esisteva più. «Laggiù. Era dentro il muro. L’ho mancato per un pelo con la scure. Lavoravamo in fretta, perciò l’ho gettato in un angolo. Spero che non si sia rovinato troppo.»
«Dentro il muro, hai detto?»
L’abate lo sollevò e si accorse subito che il peso era sproporzionato rispetto alle dimensioni. Per quanto elaborato, era un volume piccolo, non più grande di un moderno tascabile e piuttosto sottile. Il peso era dovuto all’acqua che aveva assorbito. Era zuppo come una spugna. L’acqua grondava nella mano dell’abate e gli scorreva tra le dita.
La copertina era di una pelle straordinaria, tinta di rosso. Al centro, c’era la bellissima effigie di un santo: intorno al suo capo era stata incisa l’aureola e la sua veste si dispiegava in un ampio panneggio. La rilegatura era caratterizzata da una sottile costola a corregge, da punte e capitelli d’argento lavorato e da cinque borchie, anch’esse d’argento, delle dimensioni di un pisello, una su ciascun angolo e l’ultima al centro del santo. Sulla retrocoperta non c’erano incisioni, ma le cinque borchie erano presenti anche lì. Il volume era chiuso da un paio di fibbie d’argento, strette intorno ai fogli fradici di pergamena. Era un testo del XIII o del XIV secolo, probabilmente illustrato, di certo straordinario.
E qualcuno l’ha nascosto. Perché? si chiese l’abate.
«Di cosa si tratta?» Bonnet era al suo fianco, il mento sporto in avanti come la prua di una nave. «Mi faccia vedere.»
Strappato alle sue riflessioni, l’abate sussultò e gli porse il volume. Bonnet affondò la massiccia unghia dell’indice in una delle fibbie, che si aprì di scatto. La seconda fu più tenace, ma non troppo. L’uomo strattonò la rilegatura e, proprio quando sembrava sul punto di liberarla, la pagina rimase incastrata. L’umidità aveva appiccicato la copertina e le pagine. Seccato, Bonnet cercò di forzarlo, ma il volume non si aprì.
«Fermo!» gridò l’abate. «Così lo strapperà. Me lo restituisca.»
Di malavoglia, l’altro obbedì. «Secondo lei è una Bibbia?» chiese poi.
«Credo di no.»
«E allora cos’è?»
«Non lo so, ma adesso ci sono faccende più urgenti di cui occuparsi. Questo volume dovrà aspettare.»
Se lo infilò sotto il braccio, lo portò nei suoi alloggi e, dopo aver steso un panno bianco sulla scrivania, ve lo posò sopra. Poi, dopo aver sfiorato l’immagine del santo sulla copertina, corse in chiesa per celebrare le Lodi mattutine.
Tre giorni dopo, un’auto a noleggio varcò i cancelli dell’abbazia e si fermò nel parcheggio dei visitatori nel momento esatto in cui il navigatore satellitare informava il conducente che era giunto a destinazione.
«Lo so, grazie», ribatté con disprezzo l’uomo, come se la voce femminile potesse sentirlo.
Hugo Pineau uscì dalla vettura e socchiuse le palpebre dietro gli occhiali scuri e griffati. Il sole di mezzogiorno si librava sul campanile come il puntino su una «i». Recuperò la ventiquattrore dal sedile posteriore, sbuffando a ogni passo sulla ghiaia, irritato perché le nuove suole di cuoio si stavano già consumando.
Odiava quelle spedizioni in campagna. In circostanze normali, avrebbe affidato il lavoro a Isaak, il responsabile delle pubbliche relazioni, ma quel disgraziato era in ferie. L’incarico era stato affidato all’Atelier H. Pineau grazie all’arcivescovo di Bordeaux, un cliente importante. Perciò Hugo era subito scattato sull’attenti, deciso a fornire un servizio di prim’ordine.
L’abbazia aveva un aspetto imponente. Adagiata in un’enclave lussureggiante di boschi e pascoli, ben lontana dall’autostrada A500, era un’opera architettonica dal profilo lineare. Benché il campanile risalisse al X secolo, o forse addirittura a prima, l’abbazia era stata fondata nel XII secolo dai cistercensi e periodicamente ampliata fino al XVII secolo. Naturalmente l’impianto elettrico e quello idraulico erano moderni, ma il complesso era cambiato pochissimo nel corso dei secoli. L’abbazia di Ruac era un esempio mirabile di architettura romanica in arenaria bianca e gialla, estratta dalle cave di cui era disseminata la valle del Vézère.
La chiesa abbaziale era ben proporzionata e presentava la tipica pianta a croce latina. Grazie a un sistema di passaggi e vestiboli, era collegata a tutti gli altri edifici del complesso: i dormitori, la sala capitolare, la residenza dell’abate, il chiostro ben curato, l’antico calidario, il birrificio, la piccionaia e la fucina. E poi c’era la biblioteca.
Hugo venne scortato da uno dei monaci direttamente lì, ma avrebbe potuto trovarla anche da solo; nella sua carriera, aveva sentito l’odore di parecchi incendi. Ogni timido tentativo di attaccare bottone riguardo alla bella giornata d’estate e alla tragedia dell’incendio venne educatamente respinto dal giovane monaco che, con un inchino di commiato, lo lasciò a padre Menaud. L’abate lo attendeva in mezzo a mucchi di libri fradici e affumicati.
Alla vista di quella devastazione, Hugo fece schioccare la lingua e porse il suo biglietto da visita. Era un uomo sui quarant’anni, non molto alto e senza un filo di grasso. Aveva il naso largo, ma per il resto i suoi tratti erano ben cesellati e, nel complesso, era di bell’aspetto. Pettinato con cura, era sobriamente elegante nella sua giacca sportiva marrone, cucita su misura, accostata a una camicia bianca col colletto aperto – del miglior cotone egiziano, così da far risaltare la carnagione – e a pantaloni beige. Emanava un profumo muschiato, di acqua di colonia. L’abate, invece, indossava il saio e i sandali, e sprigionava un odore di pelle sudata e di salsiccia. Era come se quei due si fossero incontrati grazie a un cortocircuito temporale.
«Grazie per essere venuto fin qui da Parigi», esordì padre Menaud.
«Si figuri. È il mio lavoro. E, quando l’arcivescovo chiama, io corro.»
«È un buon amico del nostro Ordine», confermò l’abate. «Le siamo grati dell’aiuto. Il fuoco non ha fatto grandi danni», aggiunse, facendo un cenno verso la sala. «A farli, più che altro, sono stati l’acqua e il fumo.»
«Be’, contro il fuoco non c’è molto da fare; invece i danni causati dall’acqua e dal fumo possono essere contenuti, se si hanno le competenze e gli strumenti adeguati.»
«E a fronte di un adeguato pagamento.»
Hugo scoppiò in una risata nervosa. «Be’, sì, anche i soldi sono un fattore essenziale. Se mi permette, padre Menaud, mi fa davvero piacere parlare con lei. Non ho mai lavorato coi trappisti. Pensavo che foste, ecco, votati al silenzio. Immaginavo che ci dovessimo scambiare messaggi scritti.»
«È una convinzione tanto comune quanto errata, Monsieur Pineau. C’impegniamo a mantenere una certa disciplina, a parlare solo quand’è necessario, a evitare le discussioni frivole. Crediamo che parlare a vanvera ci distragga dalla meditazione e dal rigore monastico.»
«Tutto ciò mi si addice, padre Menaud. Non vedo l’ora di mettermi all’opera. Lasci che le spieghi come conduciamo gli affari all’Atelier H. Pineau, così poi potremo valutare i lavori e studiare un piano d’azione. Che ne dice?»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Glenn Cooper.
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