Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Margherita Dolcevita di Stefano Benni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Margherita Dolcevita: trama del libro
Margherita Dolcevita è una ragazzina che sa guardare il mondo. Le bastano un cuore appena difettoso e qualche chilo in più per aggiungere sale e ironia alla sua naturale intelligenza. Compatisce con affetto le stramberie della sua famiglia, e volentieri si perde nel grande prato intorno alla sua casa, ultimo baluardo della campagna ormai contaminata dalla città e dimora della sua amica invisibile: la Bambina di polvere. Ma improvvisamente, come un fantasma di notte, di fronte alla casa di Margherita appare un cubo di vetro nero circondato da un asettico giardino sintetico e da una palizzata di siepi. Sono arrivati i signori Del Bene, i portatori del “nuovo”, della beatitudine del consumo. Amici o corruttori? La famiglia di Margherita cade in una sorta di oscuro incantesimo: nessuno resta immune. E su chi fa resistenza alla festa del benessere, della merce, del potere s’addensa una nube di misteriose ritorsioni. Margherita sospetta un piano diabolico ed è pronta a mettere in gioco tutta la combattività e l’immaginazione per scoprire in quale abisso di colpevole stoltezza il suo piccolo mondo, e forse il mondo intero, sono precipitati.
Edito da Feltrinelli Editore nel 2013 • Pagine: 208 • Compra su Amazon
Margherita Dolcevita è una ragazzina che sa guardare il mondo. Le bastano un cuore appena difettoso e qualche chilo in più per aggiungere sale e ironia alla sua naturale intelligenza. Compatisce con affetto le stramberie della sua famiglia, e volentieri si perde nel grande prato intorno alla sua casa, ultimo baluardo della campagna ormai contaminata dalla città e dimora della sua amica invisibile: la Bambina di polvere... → CONTINUA SU AMAZON
In ebook Margherita Dolcevita (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Non ditemi che alcune di queste stelle non esistono. Sono i nomi che gli ho dato io. Infatti rivendico il diritto di ognuno, specialmente delle fanciulle fantasiose come me, a chiamare le cose non soltanto con il nome del vocabolario, ma anche quello del vocabolaltro, cioè con un nome inventato e scelto. In fondo tutti lo fanno. I miei genitori mi hanno chiamato Margherita, ma io amo essere chiamata Maga o Maghetta. I miei compagni di scuola, ironizzando sul fatto che non sono proprio snella, a volte mi chiamano Megarita; mio nonno, che è un po’ arteriosclerotico, mi chiama Margheritina, ma a volte anche Mariella, Marisella oppure Venusta, che era sua sorella. Ma soprattutto, quando sono allegra mi chiama Margherita Dolcevita.
Il vigile davanti al quale sfrecciavo in bicicletta mi chiamava Vaipianomargh. Le insegnanti mi chiamano Silenzio-laggiù. Il mio primo amore, praticamente anche l’ultimo, mi chiamava Minnie. Viveva con gli zii e aveva una visione disneyana della vita. A quei tempi portavamo tutti e due l’apparecchio per i denti e ci davamo dei baci metallici che sembravano i duelli dell’Iliade. Eppure li rimpiango. Anche a quattordici anni e sei mesi si può rimpiangere. È presto, dite? E se muori a quindici?
Stavo parlando delle stelle. La cosa strana è che il cielo era limpido, poco fa, quando ho accompagnato fuori Pisolo, il mio cane, nella sua tournée di sessanta minipisce.
Quindi non potevano essere le nuvole a nasconderle. Infatti ho aperto la finestra e ho visto che, proprio dove un’ora fa c’erano il prato e gli alberi, avevano piantato un cartellone enorme, tipo schermo di cinema, quaran-cinquanta metri, e sopra c’era scritto:
LAVORI IN CORSO
Era quello schermo immenso a coprire le stelle. Cosa sta succedendo? mi sono chiesta.
Ho allungato il capino fuori come una tartaruga a primavera, e ho visto vari tipi di camion. Scaricavano lastroni di vetro, tubi e blocchi di cemento, e anche lavandini e piastrelle. Allora ho capito.
Da tempo sapevamo che qualcuno aveva comprato il terreno vicino al nostro per costruirci una casa.
Ero eccitatissima, avrei voluto svegliare mamma o il nonno o i miei fratelli, ma era tardi e così ho fischiato per chiamare Pisolo e lui è venuto.
Pisolo è il mio cancatalogo, perché più che un incrocio è veramente un catalogo di tutte le razze canine e animali e forse vegetali apparse sulla Terra, mi fanno ridere gli esperimenti sul diennea e le clonazioni, Pisolo è più complicato, è uno dei più misteriosi arcimboldi della natura. Potrei descriverlo così:
Corpo cilindrico da porcello.
Zampe davanti da ornitorinco.
Zampe dietro da rospo cavallerizzo.
Orecchio destro dritto da volpe del deserto.
Orecchio sinistro pendulo da cocker.
Muso da pterodattilo occhi da camaleonte naso da bufalo baffi da birraio e denti da piranha.
Culo da papera.
Coda ritorta da scimmia.
Pelo di cinfalepro pezzato e maculato. Non saprei precisare il colore. Diciamo color straccio di benzinaio.
Il tutto con qualche cromosoma di pipistrello, di caimano e di oloturia.
E questo non esaurisce la bellezza di Pisolo.
Mio nonno dice che ogni bellezza è complicata, e che Pisolo è come una casa, o come il mondo intero. In ogni casa ci sono il salotto buono, il bagno sfavillante e i mobili antichi, ma anche il ripostiglio polveroso, le tubature viscide e i tarli che rodono, la stanza dei giochi e la cantina oscura che spaventa e attrae noi bambini. In ogni casa che crediamo di conoscere bene c’è sempre qualcosa di dimenticato, di nascosto. Un cassetto chiuso, con un coltello insanguinato in mezzo ai tranquilli cucchiaini. E nel giardino scopriamo una misteriosa scritta su un albero, o un fiore mai visto, nella strada che percorriamo tutti i giorni c’è un vicolo buio, nella città scorre un fiume sotterraneo, e nel nostro paese vive nascosta una banda di assassini.
Ma Pisolo non è una metafora, è carne, pelo e avorio, ha sentimenti e ricordi. Quando era cucciolo, lo hanno abbandonato in un. cassonetto della spazzatura. Il rumore del coperchio che si richiudeva come una lapide lo ha choccato per il resto della vita. Perciò quando sente un rumore tipo tuono o rimbombo di lamiera, e soprattutto il frastuono di un camion dell’immondizia, per la fifa si mummifica. Diventa rigido come un peluche lasciato nel freezer, a zampe in su, e resta così un intero giorno, poi risorge. Il veterinario la chiama narcolessia isterica, io lo chiamo coma psicopisolico, quando mi laure-e-erò in medicina ci scriverò la tesi. Volete conoscere altri misteri del mio cane? Allora vi dico anche che fa dei peti silenziosi e perfidi, puzzolenti come il fiato di una balena malata che ha mangiato plancton scaduto, sardine marce e mutande di maratoneta. La mamma non vuole che si dica, ma è la pura scomoda verità.
Pisolo è entrato scodinzolando, cioè srotolando la coda come una trombetta di carnevale, per fortuna senza rumore annesso. E io gli ho detto:
– Pisolo, Pisolo, avremo dei vicini.
L’ho preso in braccio, resistendo all’odorino paludoso, e insieme abbiamo guardato il nostro piccolo mondo di fiaba.
Il giardino della casa con un solo abete che a Natale riempiamo di luci e palle anche se nessuno lo vede, forse qualcuno dall’aereo.
L’altalena dove i miei fratelli mi lanciavano a volte in cielo a volte in terra.
La nostra automobile, piena di bozzi come la faccia di un vecchio pugile.
Il giardino un po’ incolto con una magnolia, un rosmarino e un’aiuola di rose, pitale preferito di Pisolo.
Un’autentica anfora romana finta, ultimo ricordo del periodo neotarocco di mio padre. L’anno scorso al suo posto c’erano sette strepitosi nanetti di gesso, ma poi mamma ha letto su una rivista che erano volgari e ha costretto mio padre a toglierli.
Sul retro del giardino, potete vedere il galeone dei sogni della nostra infanzia: ovvero il garage-capannone di papà, che ha davanti due teschi di auto arrugginite, pozzanghere di benzina, lattoni, molle e altre viscere meccaniche.
Davanti alla casa corre la strada chiamata Circonvallazione Ovest, orlata di lampioni balbuzienti.
Oltre la strada, cartelloni pubblicitari e una barricata di palazzi tutti uguali: la grigia e necessaria periferia.
Dietro la casa il Grande Prato, ricordo di una antica campagna dove vivevano stalle con buosauri e aie di polli senza spiedo infilato.
Il prato in questa stagione si riempie di margherite bianche e gialle, papaveri e soffioni, tarassaco e radicchio, la gramigna e le ortiche crescono a dismisura in scomposti cespugli, e oltre i cespugli si può vedere un filare di pioppi guardiani, e il rigagnolo che una volta era un fiume, mentre al di là del canneto l’autostrada sussurra il suo lamento di traffico e fretta.
E laggiù in fondo una fila di ciminiere ognuna con un fumo di colore diverso, come enormi pennarelli.
Ma se nuotate nell’erba alta, fra i morsi delle ortiche e dei rovi, proprio al centro del prato, vedrete il bosco rosso, un manipolo di alberi tenaci che nasconde le macerie di una casa bombardata, con tutte le sue storie.
Qua abita il fantasma della Bambina di polvere, la mia dolce spaventosa amica.
Ovviamente un giorno le ciminiere crolleranno, il fiume si seccherà, l’autostrada sarà deserta, piena di rottami di auto e scheletri avvinghiati ai volanti, e le margherite resteranno padrone del mondo.
E la Bambina di polvere sarà di nuovo regina.
Vero, Pisolo?
Lui ha guardato le impalcature dell’erigenda casa, si è divincolato ed è scappato sotto il letto.
Brutto segno, perché Pisolo è profeta di sventura, è un animale veggente come suo cugino Julius, l’upupa e il corvo pindaccio. Dice un proverbio:
Se Pisolo si intana
Sfortuna tutta la settimana.
Sentendo che non dormivo ancora, è arrivata la mamma. Deve aver capito che ero inquieta, perché ha detto: stai tranquilla, andrà tutto bene.
Sono stata zitta. Cosa potevo risponderle? Quando i bambini crescono e diventano adulti, capiscono subito che quello che gli avevano detto da bambini non è vero, eppure riciclano ai loro figli l’antica bugia. E cioè che tutti vogliono consegnare ai bambini un mondo migliore, è un passaparola che dura da secoli, e il risultato è questa Terra, questa vescichetta d’odio.
Perciò io, che sono una bambina in scadenza, penso:
a) che i grandi non hanno più nulla da insegnarci;
b) che sarebbe meglio se noi prendessimo le decisioni, e i temi scolastici contro la guerra li scrivessero loro;
c) che dovrebbero smettere di fare i film dove la giustizia trionfa e farla trionfare subito all’uscita del cinema.
Ebbene sì, sono polemica.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore bolognese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stefano Benni.
Lascia un commento