Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Martin Eden di Jack London. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Feltrinelli, con un prezzo di copertina di 11,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Martin Eden: trama del libro
Martin Eden, un giovane marinaio di Oackland, salva la vita a un ragazzotto della buona borghesia di San Francisco, Arthur Morse. Per ringraziarlo, questi lo presenta alla famiglia e alla sorella, Ruth. Tra questa e il giovane marinaio scatta subito un’attrazione vitale, ostacolata però dalle differenze di classe e quindi dalla prevedibile resistenza della famiglia di lei. Un po’ per farsi accettare socialmente, un po’ perché sinceramente affascinato da quel mondo borghese, Martin decide di affinare la propria cultura. Da giovinastro un po’ rozzo, in anni di studio forsennato, si trasforma alla fine in scrittore: dopo un inizio puntellato di rifiuti (tra cui l’abbandono di lei), improvvisamente gli arride la fama. Il suo saggio filosofico, “La vergogna del sole”, gli apre le porte dei circoli più esclusivi di San Francisco. Tutti si contendono la sua presenza. Anche Ruth decide di tornare sui suoi passi. Ma questa volta Martin Eden sente di non essere più interessato a lei. Non è più interessato alla vanagloria di quel mondo, a cui pure era riuscito ad accedere…
Approfondimenti sul libro
In ebook Martin Eden (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato a meno di un euro.
Mentre camminava alle calcagna dell’altro, dondolava le spalle e, senza rendersene conto, teneva le gambe divaricate, come se l’immobile pavimento si alzasse e si abbassasse, sollevato e sospinto dal mare. Le ampie stanze parevano troppo strette per la sua andatura dinoccolata, e nutriva il segreto terrore che le larghe spalle potessero urtare contro gli stipiti delle porte o tirar giù i ninnoli dalla mensola bassa del camino. Non faceva che ritrarsi di scatto dai vari oggetti in cui s’imbatteva, moltiplicando i pericoli che in realtà albergavano solo nella sua mente. Tra il pianoforte a coda e il tavolo centrale su cui erano accatastate alte pile di libri c’era spazio sufficiente per il passaggio di cinque o sei persone che camminassero a due a due, e tuttavia si cimentò nella traversata pieno di trepidazione. Le braccia pesanti e scoordinate gli penzolavano lungo i fianchi. Non sapeva che farne di quelle braccia e delle mani, e quando, nella sua visione alterata, un braccio si avvicinò fin quasi a sfiorare i libri sul tavolo, indietreggiò barcollando come un cavallo impaurito, mancando per un soffio lo sgabello del pianoforte. Osservò l’andatura disinvolta dell’uomo che lo precedeva e per la prima volta si rese conto di avere un’andatura diversa da quella delle altre persone. Provò una momentanea fitta di vergogna per quell’andatura da villani. Il sudore gli imperlava la pelle della fronte di minuscole goccioline, e si fermò un momento ad asciugarsi il viso abbronzato con il fazzoletto.
“Ehi, Arthur, aspetta un po’, ragazzo mio,” disse, tentando di mascherare l’ansia con un tono scherzoso. “Tutto in una volta è troppo per il sottoscritto. Dammi un attimo, devo farmi coraggio. Lo sai che non ci volevo venire qui, e mi sa che manco la tua famiglia muore dalla voglia di vedermi.”
“È tutto a posto,” fu la risposta rassicurante. “Con noi non devi sentirti in soggezione. Siamo persone alla mano… Uh, c’è una lettera per me.”
Fece un passo indietro verso il tavolo, aprì la busta e cominciò a leggere, dando all’estraneo la possibilità di riprendersi. E l’estraneo lo capì e gliene fu grato: aveva il dono di immedesimarsi nelle persone, di capirle; e dietro il suo aspetto allarmato questo processo di immedesimazione si mise in moto. Si asciugò la fronte e si guardò intorno con aria compassata, benché negli occhi avesse un’espressione simile a quella degli animali selvatici quando temono di cadere in trappola. Era circondato da un mondo sconosciuto, in ansia per quel che poteva succedere, ignaro di cosa dovesse fare, consapevole di camminare e muoversi in modo goffo, preoccupato che tutte le sue qualità e virtù venissero fiaccate allo stesso modo. Si sentiva esposto, scoperto, preda di un imbarazzo disperante, e l’occhiata divertita che l’altro gli lanciò di nascosto da dietro la lettera lo trafisse come un colpo di pugnale. Quell’occhiata non gli sfuggì, ma fece finta di niente, perché tra le cose che aveva imparato c’era la disciplina. E poi quel colpo di pugnale l’aveva ferito nell’orgoglio. Si maledisse per esser venuto e allo stesso tempo decise che, già che c’era, sarebbe andato fino in fondo, accadesse quel che doveva accadere. I tratti del suo volto si indurirono e negli occhi gli balenò un lampo bellicoso. Si guardò intorno più disinvolto, osservando attento ogni cosa e registrando nella mente ogni dettaglio di quel grazioso ambiente. Aveva gli occhi spalancati; niente sfuggiva al loro campo visivo; e via via che divoravano la bellezza tutto intorno, il lampo bellicoso si spegneva per cedere il posto a un tiepido bagliore. Era sensibile alla bellezza, e la sua sensibilità qui aveva di che ridestarsi.
Un dipinto a olio catturò la sua attenzione, tenendola avvinta. Un’onda violenta e schiumosa si infrangeva tuonando contro uno scoglio sporgente; basse nubi procellose coprivano il cielo; e, oltre la linea dei frangenti, una pilotina a vele ammainate, inclinata a tal punto che ogni particolare del ponte era visibile, beccheggiava contro un cielo burrascoso al tramonto. Era bello e quella bellezza lo attirava in modo irresistibile. Dimenticò la sua andatura goffa e si avvicinò sempre di più al dipinto. La bellezza svanì dalla tela. Il suo volto assunse un’espressione perplessa. Fissò quel che ora gli sembrava una negligente imbrattatura, poi fece qualche passo indietro. All’istante, tutta la bellezza balzò di nuovo nella tela. “Un quadro con il trucco,” si disse, e non ci pensò più, benché nella ridda di sensazioni che lo affollavano trovò il tempo di avvertire una punta di indignazione all’idea che tanta bellezza venisse sacrificata per un trucco. Non sapeva niente di pittura. Il suo gusto s’era formato sulle cromolitografie sempre ben definite e nette, da lontano come da vicino. Gli era già capitato di vedere dipinti a olio, ma solo nelle vetrine dei negozi, e il vetro che li proteggeva aveva impedito ai suoi occhi di avvicinarsi troppo.
Si volse a guardare l’amico che leggeva la lettera e vide i libri sul tavolo. Nei suoi occhi balenò subito un lampo di vorace desiderio, simile alla voracità che balena negli occhi di un uomo affamato alla vista del cibo. Un passo deciso e impulsivo, con un leggero barcollio delle spalle prima a destra e poi a sinistra, lo portò fino al tavolo, dove prese a maneggiare i libri con tenerezza. Scorse i titoli e i nomi degli autori, lesse qualche brano qua e là, accarezzando i volumi con gli occhi e le mani e, fra questi, riconobbe un libro che aveva letto. Per il resto, erano tutti libri e autori che non conosceva. S’imbatté in un volume di Swinburne e vi si immerse, dimenticando dove si trovasse, il volto in fiamme. Un paio di volte chiuse il libro tenendo il segno con l’indice per controllare il nome dell’autore. Swinburne! Quel nome se lo sarebbe ricordato. Lui sì che aveva occhi per vedere e cogliere il colore e la luce sfavillante. Ma chi era questo Swinburne? Era morto da un centinaio di anni o giù di lì, come la maggior parte dei poeti? O era vivo e scriveva ancora? Andò al frontespizio… sì, aveva scritto altri libri; be’, per prima cosa, l’indomani mattina sarebbe andato alla biblioteca pubblica per cercare qualcosa di questo Swinburne. Tornò al testo e si perse nella lettura. Non si accorse che intanto nella stanza era entrata una giovane donna. Se ne accorse soltanto quando sentì la voce di Arthur:
“Ruth, ti presento il signor Eden”.
Chiuse il libro tenendo il segno con l’indice e, prima di voltarsi, una sensazione nuova, sconosciuta, gli provocò un fremito, e non era la presenza della ragazza, ma le parole di suo fratello. Sotto il fascio di muscoli che costituivano il suo corpo, si nascondeva un ammasso di vibrante sensibilità. Al minimo impatto del mondo esterno sulla sua coscienza, i pensieri, le affinità e le emozioni balzavano e divampavano come fiamma guizzante. Era ricettivo e sensibile in maniera straordinaria, mentre la sua immaginazione, se stimolata all’eccesso, lavorava senza posa stabilendo relazioni di somiglianza e differenza. “Signor Eden,” il fremito gli veniva tutto da questa frase: in vita sua l’avevano sempre chiamato “Eden” o “Martin Eden” o solo “Martin”. “Signore!” Era senz’altro un bel passo avanti, commentò tra sé. In un istante la sua mente sembrò trasformarsi in un’immensa camera oscura, e vide, schierate ai margini della coscienza, infinite istantanee della propria vita – sale delle caldaie e castelli di prua, accampamenti e spiagge, galere e bettole, sanatori e strade malfamate – il cui filo conduttore era il modo in cui era stato chiamato in quelle svariate situazioni.
Poi si girò e vide la ragazza. A quella vista, la fantasmagoria del suo cervello svanì. Era una creatura pallida, eterea, con grandi occhi azzurri, di una bellezza spirituale, e una gran massa di rigogliosi capelli d’oro. Non sapeva dire come fosse vestita, sapeva solo che il suo abito era meraviglioso quanto lei. La paragonò a un pallido fiore d’oro su un esile stelo. No, era uno spirito, una divinità, una dea; una bellezza così sublime non era di questo mondo. O forse i libri avevano ragione, e nelle classi sociali più elevate c’erano molte persone come lei. Quel tale, Swinburne, avrebbe potuto certo dedicarle qualche poesia. Forse aveva in mente una donna simile quando aveva descritto quella ragazza, Iseult, nel libro là sul tavolo. Tutta questa pletora di visioni, stati d’animo e pensieri lo assalì all’istante. Ma nella realtà in cui si muoveva non ci fu alcuna pausa. Vide la mano della ragazza tendersi verso la sua, e lo guardò dritto negli occhi mentre lui gliela stringeva con schiettezza, come fanno gli uomini. Le donne che aveva conosciuto non stringevano la mano a quel modo. Anzi, a pensarci bene, la maggior parte, la mano, non la stringeva proprio. Ripensò a tutte le volte che aveva fatto la conoscenza di una donna e quell’ondata di ricordi s’abbatté con violenza sulla sua mente e rischiò quasi di travolgerla. Ma li cacciò via e guardò la ragazza. Non aveva mai visto una donna simile. Le donne che aveva conosciuto! Subito, accanto a lei, da entrambi i lati, si schierarono le donne che aveva conosciuto. Per un istante interminabile si ritrovò in mezzo a una galleria di quadri, dove lei occupava il posto centrale e tutt’intorno erano esposti i ritratti di molte donne, che dovevano essere giudicate e valutate con un colpo d’occhio e messe a confronto con lei, unico metro di giudizio e valutazione. Vide i volti smunti e malaticci delle ragazze delle fabbriche e le ragazze ridanciane e chiassose a sud di Market Street.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Jack London.
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