Corredata da un’ampia anteprima, ecco la descrizione ufficiale di Un mese con Montalbano di Andrea Camilleri, una raccolta di racconti edita in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma ma online lo si acquista con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 9,99 ed è il 27° volume dedicato al commissario Montalbano.
Un mese con Montalbano: descrizione del libro
Trenta crimini da risolvere. Delitti d’amore, d’interesse, di mafia, frutto di ambizione, di esaltazione, di esplosivo furore o di logorante quotidianità. Trenta indagini alla ricerca di una giustizia che il commissario Montalbano si sforza di perseguire nel cuore della Sicilia. Un uomo con un’esistenza ordinaria, da funzionario integerrimo, con un’eterna fidanzata lontana, in Liguria, e tre grandi passioni: il buon cibo, il buon vino e la letteratura. Brusco, talvolta scorbutico, ma dotato di un’irresistibile carica di umanità e di ironia, Salvo Montalbano applica la propria intelligenza a uno straordinario campionario di delitti, premeditati o preterintenzionali, inscenati, minacciati o solo simulati. Un mondo feroce e violento, che egli affronta con le armi della logica, ma anche della pietà e dell’umorismo.
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La lettera anonima, scritta a stampatello, con una biro nìvura, era partita da Montelusa genericamente indirizzata al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Vigàta. L’ispettore Fazio, che era addetto a smistare la posta in arrivo, l’aveva letta e immediatamente consegnata al suo superiore, il commissario Salvo Montalbano. Il quale, quella matina, dato che tirava libeccio, era insitàto sull’agro, ce l’aveva a morte con se stesso e con l’universo criato.
«Chi minchia è questo Verruso?».
«Non lo saccio, dottore».
«Cerca di saperlo e poi me lo vieni a contare».
Due ore appresso Fazio s’appresentò nuovamente e, alla taliàta interrogativa di Montalbano, attaccò:
«Verruso Annibale di Carlo e di Castelli Filomena, nato a Montaperto il 3-6-1960, impiegato al Consorzio Agrario di Montelusa ma residente a Vigàta in via Alcide De Gasperi, numero civico 22…».
Il grosso elenco telefonico di Palermo e provincia, che casualmente si trovava sul tavolo del commissario, si sollevò in aria, traversò tutta la càmmara, andò a sbattere contro la parete di faccia facendo cadere il calannario gentilmente offerto dalla pasticceria «Pantano & Torregrossa». Fazio pativa di quello che il commissario chiamava «il complesso dell’anagrafe», una cosa che gli faceva venire il nirbùso macari col sereno, figurarsi quando tirava libeccio.
«Mi scusasse» fece Fazio andando a raccogliere l’elenco. «Lei mi faccia le domande che io le arrispondo».
«Che tipo è?».
«Incensurato».
Montalbano agguantò minacciosamente l’elenco telefonico.
«Fazio, te l’ho ripetuto cento volte. Incensurato non significa nenti di nenti. Ripeto: che tipo è?».
«Mi dicono un omo tranquillo, di scarsa parola e di poca amicizia».
«Gioca? Beve? Fìmmine?».
«Non arrisulta».
«Da quand’è che è maritato?».
«Da cinque anni. Con una di qua, Serena Peritore. Lei ha dieci anni meno di lui. Bella fìmmina, mi dicono».
«Gli mette le corna?».
«Boh».
«Gliele mette sì o no?».
«Se gliele mette è brava a non farlo capire. C’è chi dice una cosa e chi un’altra».
«Hanno figli?».
«Nonsi. Dicono che è lei che non li vuole».
Il commissario lo taliò ammirato.
«Come hai fatto a sapere macari queste cose intime?».
«Parlando, dal barbiere» fece Fazio passandosi una mano darrè la nuca rasata di fresco.
A Vigàta dunque il Salone era ancora il Gran Luogo d’Incontro, come ai vecchi tempi.
«Che facciamo?» spiò Fazio.
«Aspettiamo che l’ammazza e poi vediamo» disse Montalbano grevio, congedandolo.
Con Fazio aveva fatto l’antipatico e l’indifferente, mentre invece quella littra anonima l’aveva intrigato.
A parte il fatto che da quando si trovava a Vigàta non era mai capitato un delitto cosiddetto d’onore, la facenna, a fiuto, a pelle, non lo persuadeva. Prima, rispondendo alla domanda di Fazio, aveva detto che bisognava aspettare che Verruso ammazzasse la mogliere. E aveva fatto un errore. Nella littra infatti si diceva che Verruso voleva fare ammazzare la traditora, vale a dire che aveva l’intinzioni di ricorrere ad un’altra persona per farsi smacchiare l’onore. E questo non era solito. In prìmisi, un marito al quale arrivano voci di tradimento, s’apposta, segue, spia, sorprende, spara. Tutto in prima persona, non spara il giorno appresso e tanto meno incarrica uno stràneo di levargli il disturbo. E poi questo stràneo chi può essere? Un amico certamente non ci si sarebbe messo. Un killer a pagamento? A Vigàta?! Vogliamo babbiare? Certo che ne esistevano killer a Vigàta, ma non erano disponibili a lavoretti extra perché tutti avevano impiego fisso e stipendio regolarmente pagato dal datore di lavoro. In secùndis, chi era stato a scrivere la littra? La signora Serena per parare la botta? Ma se veramente sospettava che il marito l’avrebbe prima o poi fatta ammazzare, altro che perdere tempo a scrivere littre anonime! Avrebbe messo di mezzo il padre, la madre, il parroco, il v escovo, il cardinale oppure avrebbe pigliato il fujuto col suo amante e chi s’è visto s’è visto.
No, da qualsiasi parte si taliàsse, la cosa non teneva.
Gli venne però un’idea. E se il marito al Consorzio avesse fatto conoscenza con un cliente di pochi scrupoli il quale in un primo momento aveva detto di sì alla criminale proposta e poi, essendosene pentito, aveva scritto la littra anonima per chiamarsi fora dal guaio?
Non ci perse tempo, telefonò al Consorzio di Montelusa, mettendo in atto un sistema che aveva già sperimentato con successo negli uffici pubblici.
«Pronto? Chi parla?» spiò qualcuno a Montelusa.
«Mi passi il direttore».
«Sì, ma chi parla?».
«Cristo!» ululò Montalbano e siccome al telefono c’era tanticchia d’eco s’assordò lui stesso. «È possibile che non riconoscete mai la mia voce? Il Presidente, sono! Ha capito?».
«Signorsì» fece l’altro atterrito.
Passarono cinque secondi.
«Agli ordini, Presidente» disse la voce ossequiosa del direttore che manco s’attentò a spiare di quale Presidentato fosse Presidente quello che gli stava parlando.
«Sono esterrefatto dal vostro colpevole ritardo!» esordì Montalbano sparando quasi all’urbigna. Quasi: perché figurarsi se in un ufficio non c’erano pratiche attrassate o, come dicevano burocraticamente, inevase.
«Presidente, mi perdoni, ma non capisco…».
«Non capisce?! Sto parlando delle schede, perdio!».
Montalbano distintamente si raffigurò la faccia strammata del direttore, le goccioline di sudore sulla fronte.
«Le schede del personale che aspetto da oltre un mese!» latrò il Presidente e proseguì, implacabile: «Tutto voglio sapere di loro! Anzianità, grado, mansione, posizione contributiva, tutto! Il caso Sciarretta non deve ripetersi mai più!».
«Mai più» fece fermamente eco il direttore che non sapeva assolutamente chi fosse Sciarretta. Il quale era ignoto macari a Montalbano, che aveva fatto un nome a caso.
«E che mi dice di Annibale Terruso?».
«Verruso con la V, signor Presidente».
«Non importa, è lui. Ci sono state lamentele, doglianze, ecco. Pare che abbia l’abitudine di frequentare…».
«Calunnie! Tutte infami calunnie!» interruppe con inaspettato coraggio il direttore. «Annibale Verruso è un impiegato modello! Magari ce ne fossero come lui! È addetto alla contabilità interna, non ha alcun rapporto con…».
«Basta così» tagliò imperioso il Presidente. «Attendo le schede entro ventiquattr’ore».
Riattaccò. Se il direttore del Consorzio ci metteva la mano sul foco a favore dell’impiegato Annibale Verruso, come aveva fatto questi a procurarsi un killer con tanta facilità?
Chiamò Fazio.
«Senti, me ne vado a mangiare. Tornerò in ufficio verso le quattro. Per quell’ora dovrai farmi sapere tutto sulla famiglia Verruso. Dal bisnonno fino alla settima generazione futura».
«E come faccio?».
«Vai da un altro barbiere».
L’albero genealogico dei Verruso affondava le sue radici in un terreno concimato di rispettabilità, di domestiche e civili virtù: uno zio colonnello della Benemerita, un altro, sempre colonnello ma della Guardia di Finanza e si era quasi sfiorata la santità con un fratello del bisnonno, monaco benedettino, del quale era in corso il processo di beatificazione. Difficile trovare un killer ammucciato tra le foglie di quell’albero.
«C’è qualcuno tra di voi che conosce un tale Annibale Verruso?» domandò ai suoi òmini del commissariato appositamente convocati.
«Quello che travaglia al Consorzio di Montelusa?» spiò Germanà a scanso d’omonimia.
«Sì».
«Beh, io lo conosco».
«Voglio vedere com’è fatto».
«Facile, commissario. Domani, che è domenica, come fa sempre andrà alla messa di mezzojorno con la sua signora».
«Eccoli» disse Germanà alle dodici meno cinque spaccate, che già le campane avevano sonato l’ultima chiamata per la missa.
Salvognuno, Annibale Verruso avrebbe dovuto avere trentasette anni, invece ne dimostrava una cinquantina ben portati. Tanticchia meno alto della media, pancetta evidente, una calvizie che gli aveva risparmiato solo i capelli torno torno la parte bassa della testa, mani e piedi minuti, occhiali d’oro, atteggiamento compunto.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.