Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La metà oscura di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
La metà oscura: trama del libro
Thad Beaumont è uno scrittore di successo che per anni ha pubblicato romanzi con lo pseudonimo di George Stark: storie violente e di successo, che lo hanno reso ricco e famoso. Ora può finalmente scrivere con il vero nome, ma non sa che la figura di Stark, la sua metà oscura, non intende affatto sparire: più viva e spietatata che mai, diventa una macchina di morte che distrugge quanto incontra sulla strada che conduce al suo creatore. Per difendersi da questa orribile minaccia, Thad dovrà spingersi negli angoli più inquietanti della sua mente…
In gennaio aveva partecipato con un racconto a un concorso proposto dalla rivista American Teen. In giugno ricevette per lettera, dalla redazione della rivista, la comunicazione di aver ottenuto una «segnalazione speciale» nella sezione narrativa. Si aggiungeva che la giuria gli avrebbe attribuito il secondo premio se dalla sua domanda di partecipazione non fosse risultato che gli mancavano ancora due anni per essere un teenager americano a pieno titolo. Secondo la redazione, tuttavia, il suo racconto Davanti alla casa di Marty mostrava un talento straordinariamente maturo e meritava un elogio speciale.
Due settimane dopo gli fu recapitato il Certificato di Merito. Arrivò per posta raccomandata e assicurata. Il certificato riportava il suo nome in caratteri Old English così rabescati che stentò a decifrarlo; in fondo c’era un sigillo dorato dal quale emergeva in goffratura il logo dell’American Teen: un ragazzo con i capelli corti e una ragazza con la coda di cavallo lanciati in un ballo sfrenato.
Stringendolo fra le braccia, la madre coprì di baci il figlio Thad, che era un bambino tranquillo e dall’aria seria, apparentemente incapace di mantenere la concentrazione e incline a inciampare spesso nei piedoni.
Suo padre manifestò minore entusiasmo per l’avvenimento.
«Se il racconto era così buono, perché non gli hanno dato dei soldi?» bofonchiò dal ventre della sua poltrona.
«Glen…»
«Lascia perdere. Magari Ernest Hemingway vorrà essere così gentile da farmi arrivare una birra quando avrai finito di sbausciarlo.»
Sua madre non ne parlò più… ma fece incorniciare la lettera e il certificato che a essa era seguito, pagando con i propri risparmi. Appese quindi il riconoscimento nella camera di Thad, proprio sopra il letto, e quando venivano in visita parenti o amici, li accompagnava a vederlo. Thad, spiegava a tutti, un giorno sarebbe stato un grande scrittore. Lei aveva sempre presagito il successo di suo figlio e lì c’era la prima prova tangibile. Thad ne era molto imbarazzato, ma voleva troppo bene a sua madre per confessarglielo.
Al di là del disagio però, riteneva che sua madre avesse ragione almeno in parte. Non sapeva se avesse il talento necessario a diventare un grande scrittore, ma sicuramente scrittore sarebbe diventato. Perché no? Ci sapeva fare. E poi lo prendeva bene. Quando gli venivano le parole giuste, lo prendeva proprio alla grande. E non avrebbero potuto appellarsi per sempre a qualche cavillo tecnico per trattenergli i soldi dovuti. Non sarebbe stato per sempre un undicenne.
Il secondo fatto importante che gli capitò nel 1960 ebbe inizio in agosto. Fu allora che cominciò ad avere mal di testa. Sulle prime non fu niente di grave, ma quando ai primi di settembre la scuola riaprì i battenti, l’accenno di dolore che per molti giorni era rimasto in agguato nelle tempie e dietro la fronte era ormai degenerato in prolungate crisi di mostruosa sofferenza. Quando si trovava nella morsa di quegli attacchi di cefalea, poteva solo sdraiarsi al buio nella sua camera e aspettare di morire. Alla fine di settembre era arrivato a speraredi morire e per la metà di ottobre le sue condizioni erano peggiorate a tal punto che cominciava a temere di dover continuare a vivere.
L’avvio di quelle crisi terribili era solitamente segnalato da un suono fantomatico che sentiva solo lui, simile al lontano e confuso cinguettare di mille uccellini. Certe volte gli pareva quasi di vederli, quegli uccellini, che credeva fossero passeri, tutti allineati sui cavi del telefono e sui tetti, come normalmente facevano in primavera e in autunno.
Sua madre lo portò dal dottor Seward.
Il dottor Seward gli scrutò il fondo degli occhi con un oftalmoscopio e scosse la testa. Quindi, accostate le tende e spenta la luce centrale, invitò Thad a fissare lo sguardo su uno spazio bianco di parete nella saletta delle visite. Fece poi lampeggiare il fascio di luce di una torcia, accendendo e spegnendo in rapida successione un bagliore circolare sulla parete.
«Ti dà una sensazione strana, figliolo?»
Thad segnalò di no con il capo.
«Non senti vertigini? Non ti sembra di stare per svenire?»
Thad scosse la testa di nuovo.
«Nessun odore? Come di frutta marcia o stracci che bruciano?»
«No.»
«E i tuoi uccellini? Li hai sentiti mentre guardavi la luce lampeggiante?»
«No», rispose Thad perplesso.
«È una questione di nervi», dichiarò suo padre dopo che Thad fu fatto passare in sala d’aspetto. «Quel dannato ragazzo è un groviglio di nervi.»
«Io credo che sia emicrania», disse loro il dottor Seward. «Insolito in una persona così giovane, ma non senza precedenti. Mi è sembrato molto… introverso.»
«Lo è», confermò Shayla Beaumont, non senza una punta di apprezzamento.
«Forse un giorno si troverà la terapia giusta, ma per ora ho paura che dovrà sopportare le crisi.»
«Già, e noi dovremo sopportare lui», brontolò Glen Beaumont.
Ma non era tensione nervosa e non erano emicranie e non era finita.
Quattro giorni prima di Halloween Shayla Beaumont udì le grida improvvise di uno dei bambini con cui Thad aspettava ogni mattina l’autobus della scuola. Guardò fuori della finestra della cucina e vide suo figlio riverso sul vialetto di casa in preda alle convulsioni. Accanto a lui, il cestino della colazione aveva sparso sull’asfalto il suo contenuto di sandwich e frutta. Corse fuori e scacciò gli altri bambini, ma poi rimase lì, smarrita e impotente, timorosa di toccarlo.
Se il pesante autobus giallo con il signor Reed al volante avesse tardato solo di qualche attimo, forse Thad sarebbe morto lì, all’imboccatura del vialetto di casa. Ma il signor Reed era stato paramedico in Corea e seppe far rialzare la testa al bambino e aprirgli un pertugio per respirare prima che si soffocasse con la propria lingua. Fu trasportato in ambulanza al Bergenfield County Hospital, dove un medico di nome Hugh Pritchard si trovava per caso al bar del pronto soccorso a bere caffè e a scambiare bugie di golf con un collega all’arrivo del paziente. E sempre il caso volle che Hugh Pritchard fosse il miglior neurologo dello Stato del New Jersey.
Ordinò una radiografia ed esaminò la lastra. La mostrò ai Beaumont e chiese loro di osservare con particolare attenzione un’ombra fioca che lui stesso aveva delimitato con una traccia di pastello giallo.
«Questa», indicò. «Che cos’è questa?»
«Come diavolo facciamo a saperlo noi?» sbottò Glen Beaumont. «È lei il dottore, dannazione.»
«Giusto», replicò Pritchard, asciutto.
«Mia moglie dice che sembrava un attacco di convulsioni», riferì Glen.
«Se parliamo genericamente di una crisi convulsiva, sì, è accettabile», rispose il dottor Pritchard. «Se sta parlando di un attacco epilettico, sono sicuro che si sbaglia. Con sintomi gravi quali quelli manifestati da suo figlio, non sarebbe possibile che non siano emerse reazioni di sorta al Litton Light Test. Guardi, se Thad soffrisse di epilessia, non avrebbe bisogno che fossero i medici a informarla, perché se lo ritroverebbe a fare il ballo dei watussi sul tappeto del soggiorno a ogni interferenza sul suo schermo televisivo.»
«Allora che cos’è?» domandò timidamente Shayla.
Pritchard riportò la sua attenzione alla lastra montata sul vetro illuminato. «Che cos’è quello?» ripeté battendo il dito sulla zona compresa nel circolo giallo. «L’improvvisa comparsa di dolori alla testa in assenza di episodi precoci di convulsioni mi fa pensare che vostro figlio abbia un tumore cerebrale, probabilmente ancora piccolo e sperabilmente benigno.»
Glen Beaumont fissò lo specialista con una faccia marmorea mentre sua moglie, accanto a lui, piangeva nel fazzoletto. Piangeva senza far rumore. Quel pianto silenzioso era il risultato di anni di addestramento coniugale. I pugni di Glen erano saettanti e dolorosi e quasi mai lasciavano un segno e dopo dodici anni di silenziosi patimenti probabilmente non sarebbe stata capace di piangere apertamente nemmeno se avesse voluto.
«Tutto questo significa che vuole tagliargli il cervello?» domandò Glen con la sua caratteristica delicatezza.
«Non la metterei proprio in questi termini, signor Beaumont, ma penso che sia opportuno un intervento chirurgico esplorativo.» E pensò: se davvero c’è un Dio e se davvero Lui ci ha fatti a Sua immagine e somiglianza, non oso domandarmi perché ci debbano essere tanti uomini come questo che se ne vanno tranquillamente in giro tenendo nelle mani il destino di tanti loro simili.
Glen rimase muto per qualche lungo momento ancora, a testa china, con la fronte corrugata in un’espressione pensierosa. Finalmente risollevò la testa e formulò la domanda che più lo angustiava.
«Mi dica la verità, dottore. Quanto ci verrà a costare?»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
Questo libro non mi piace. Lo spunto è gradevole, ma meritava uno sviluppo diverso La trama è troppo assurda . Orrendo il film che è stato tratto dal libro