La mia vita di uomo: la trama del libro
Al cuore di “La mia vita di uomo” c’è il matrimonio di Peter e Maureen Tarnopol, un giovane scrittore e la donna che vorrebbe essere la sua musa ma è invece la sua nemesi. La loro unione si basa sulla frode ed è puntellata dal ricatto morale, ma è così perversamente duratura che, molto tempo dopo la morte di Maureen, Peter sta ancora cercando – inutilmente – di liberarsene attraverso la scrittura. Romanzo dentro il romanzo, edificio labirintico di meditazioni comiche, luttuose e strazianti sulla fatale impasse fra un uomo e una donna, “La mia vita di uomo”, pubblicato originariamente nel 1974 e ora riproposto in una nuova traduzione, è il più impietoso tra i libri di Philip Roth. Per mezzo di invenzioni disperate e verità cauterizzanti, atti di debolezza, di tenerezza e di scioccante crudeltà, crea un’opera degna di Strindberg: una feroce tragedia di cecità e bisogno sessuale.
E ciò valeva tanto per la manodopera salariata quanto per il sangue del suo sangue. Per esempio ci fu la volta (e il figlio non se ne sarebbe piú dimenticato… anzi, è possibile che la cosa abbia contribuito a spronarlo a diventare «uno scrittore»), ci fu la volta in cui il padre intravide la firma del suo piccolo Nathan nella prima pagina di un libricino che aveva preparato per la scuola, e si mise a fare il diavolo a quattro. Quel moccioso di nove anni si era montato la testa e dalla firma lo si capiva subito. E il padre lo sapeva. «È questo il modo in cui ti hanno insegnato a scrivere il tuo nome, Natie? Sarebbe questa la firma che la gente dovrebbe leggere e rispettare? Chi cavolo la può leggere una cosa che sembra la carcassa di un treno deragliato! Dio santo, ragazzo, questo è il tuo nome. Scrivilo bene!» In seguito il figlio presuntuoso del ciabattino presuntuoso restò per ore chiuso in camera a piangere a squarciagola, strozzando nel frattempo il cuscino a mani nude fino ad ammazzarlo. E tuttavia, quando all’ora di andare a letto venne fuori in pigiama, reggeva dagli angoli superiori un foglio bianco con impresse al centro in inchiostro nero le lettere del suo nome, tonde e ben leggibili. Lo porse al tiranno: – Cosí va bene? – e un istante dopo venne innalzato nel paradiso dell’ispida peluria serale sul mento del padre. – Ah, ecco, questa è una firma! Di questa puoi andare fiero! Questa la posso appendere sopra il bancone del negozio! – E fu esattamente quel che fece, e poi invitava i clienti (perlopiú neri) dietro il registratore di cassa, dove potevano dare un’occhiata da vicino alla firma del piccoletto. – Che ne dice di questa! – domandava, manco fosse l’autografo di Abraham Lincoln in calce al Proclama di Emancipazione.
Cosí andavano le cose sotto la protezione di quella sconcertante dinamo. Una volta che erano usciti in mare per pescare lungo la costa, e lo zio Philly ritenne opportuno dare una scrollata a Nathan perché aveva fatto un’imprudenza con l’amo, il ciabattino minacciò di buttare giú Philly dalla barca per aver alzato le mani su suo figlio. – L’unico che ha il diritto di toccarlo sono io, Philly! – Sí, aspetta e spera… – borbottò Philly. – Toccalo ancora una volta, Philly, – disse il padre furioso, – e finisci a parlare con i pesci azzurri, te lo giuro! A parlare con le anguille! – Ma poi, tornati alla pensione dove gli Zuckerman alloggiavano per le due settimane di vacanza, Nathan, per la prima e unica volta nella sua vita, fu percosso con una cintura per aver quasi cavato un occhio allo zio mentre faceva lo scemo con quel dannato amo. Quando ebbe ricevuto i suoi tre colpi, Nathan restò stupefatto al vedere che, al pari del suo, anche il viso del padre era bagnato di lacrime, e poi – cosa ancora piú stupefacente – si trovò stritolato dal suo abbraccio. – Un occhio, Nathan, l’occhio di una persona… lo sai cosa significa per un uomo fatto affrontare la vita senza occhi?
No, non lo sapeva; non piú di quanto sapesse cosa significhi essere un bambino senza padre, e non piú di quanto volesse saperlo, benché si sentisse il culo in fiamme.
Negli anni fra le due guerre, il padre aveva fatto bancarotta due volte: l’abbigliamento maschile di Mr Z. alla fine degli anni ’20, l’abbigliamento per bambini di Mr Z. all’inizio degli anni ’30; eppure mai una volta a un figlio di Z. erano mancati tre pasti nutrienti al giorno, pronta assistenza medica, abiti decenti, un letto pulito o qualche monetina in tasca come «paghetta». Gli affari andavano a rotoli, ma la famiglia no, perché non andava a rotoli il capofamiglia. Durante quegli anni bui di stenti e penurie, il piccolo Nathan non aveva la minima idea che in casa sua ci si trovasse sull’orlo di qualcosa di diverso da un perfetto appagamento, tanto rassicurante era la fiducia in se stesso di quel padre vulcanico.
E la fede della madre. Lei di sicuro non si comportava come la moglie di un uomo d’affari che aveva fatto bancarotta per due volte di seguito. Bastava che, mentre si radeva in bagno, il marito accennasse qualche nota di The Donkey Serenade, perché la moglie dichiarasse ai figli seduti a colazione: – Pensavo fosse la radio. Per un momento ho davvero pensato che fosse Allan Jones –. Se, mentre lavava l’auto, fischiettava un motivetto, lei subito ne proclamava la superiorità rispetto a quei canarini addestrati che la domenica mattina fischiettavano su Weaf le canzoni in voga (in voga forse, diceva Mr Z., fra gli altri canarini); quando ballava con lei sul linoleum della cucina (spesso dopo cena lo spirito del valzer si impossessava di lui) era «un nuovo Fred Astaire»; quando scherzava a tavola con i figli era, almeno a sentir lei, piú spiritoso dei comici di Can You Top This, di sicuro piú spiritoso del conduttore, Ed Ford detto «il Senatore». E quando, infallibilmente, lui parcheggiava la Studebaker, lei controllava la distanza fra il cordolo e le ruote e, infallibilmente, dichiarava: «Perfetto!» come se fosse atterrato in un campo di mais con uno sputacchiante aereo di linea. Inutile dirlo, il suo principio era mai criticare quando puoi invece lodare; tanto piú che, con Mr Z. come marito, non avrebbe potuto fare altrimenti nemmeno se avesse voluto.
Editore: Einaudi
Pagine: 374
Collana: Super ET
eBook: 6,99 euro
Philip Roth è uno dei maggiori scrittori contemporanei e uno dei più importanti romanzieri ebrei di lingua inglese in assoluto. Il suo romanzo più famoso è Pastorale Americana, per il quale Roth ha ricevuto il Premio Pulitzer nel 1998.
Altri libri
Il complotto contro l’America
Il teatro di Sabbath
La macchia umana
Lamento di Portnoy
Pastorale Americana
Everyman
Quando lei era buona
Nemesi
Ho sposato un comunista
L’animale morente
La controvita
Inganno