Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il miglio verde di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 11,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Il miglio verde: trama del libro
Nel penitenziario di Cold Mountain, lungo lo stretto corridoio di celle noto come Il Miglio Verde, i detenuti come lo psicopatico Billy the Kid Wharton o il demoniaco Eduard Delacroix aspettano di morire sulla sedia elettrica, sorvegliati a vista dalle guardie. Ma nessuno riesce a decifrare l’enigmatico sguardo di John Coffey, un nero gigantesco condannato a morte per aver violentato e ucciso due bambine. Coffey è un mostro dalle sembianze umane o un essere in qualche modo diverso da tutti gli altri? Un autentico capolavoro firmato Stephen King e dal quale è stato tratto il famoso film diretto da Frank Darabont con protagonista Tom Hanks.
I detenuti scherzavano sulla sedia, come sempre si fa delle cose di cui si ha paura, ma da cui non ci si può sottrarre. La chiamavano Old Sparky, come dire la Scintillante, o Big Juicy, la Scaricona. Circolavano battute sulla bolletta della luce e su come e dove Moores, il direttore del nostro carcere, avrebbe cucinato il suo pranzo del Ringraziamento, quell’autunno, con la moglie Melinda troppo malata per mettersi ai fornelli.
Ma in quelli che dovevano veramente sedervisi, la voglia di scherzare si spegneva in un baleno. Nel periodo da me trascorso a Cold Mountain ho presieduto a più di settantotto esecuzioni (questo è un numero sul quale non ho mai fatto confusione; me lo ricorderò sul letto di morte) e credo che, per la maggioranza di quegli uomini, la verità di ciò che stava accadendo li colpiva finalmente come una legnata quando gli bloccavano le caviglie alla solida quercia delle gambe di Old Sparky. In quel momento (vedevi la consapevolezza riempirgli piano piano gli occhi, una specie di freddo sgomento) si rendevano conto che le gambe avevano concluso la loro carriera. Dentro vi scorreva ancora il sangue, i muscoli erano ancora reattivi, ma avevano chiuso lo stesso; non avrebbero percorso nemmeno più un metro di un sentiero fra i boschi, non avrebbero più ballato con una ragazza a qualche festa di campagna. Ai clienti di Old Sparky la coscienza della propria morte saliva dalle caviglie. C’era un sacchetto nero di seta da mettergli sulla testa quando avevano finito di pronunciare le loro ultime parole, perlopiù incoerenti. Il cappuccio era per loro, ma io ho sempre pensato che in realtà fosse per noi, per impedirci di vedere l’orribile marea di sgomento che sale nei loro occhi quando cominciano a capire che moriranno con le ginocchia piegate.
A Cold Mountain non c’era un braccio della morte, solo il Blocco E, separato dagli altri quattro e grande suppergiù un quarto, in mattoni invece che di legno, con una raccapricciante lastra di metallo per tetto, che nel sole estivo scintillava come un occhio in delirio. Sei celle, tre per lato su un ampio corridoio centrale, ciascuna grande quasi due volte le celle degli altri quattro blocchi. Ed erano singole. Spazi generosi per una prigione (specialmente negli anni Trenta), ma i detenuti le avrebbero volentieri scambiate per una qualunque delle celle negli altri quattro settori. Credetemi, lo avrebbero fatto.
Non è mai accaduto nei miei anni da soprintendente di blocco che fossero occupate contemporaneamente tutte le sei celle: e sia lodato Iddio per la sua sensibilità. Si arrivò a quattro, bianchi e neri insieme (a Cold Mountain non c’era segregazione per i morti che camminavano), e quello fu uno scampolo di inferno. In quel caso ci fu una donna, Beverly McCall. Era nera come l’asso di picche e bella come il peccato che non si è mai avuto il fegato di commettere. Aveva sopportato per sei anni che suo marito la picchiasse, ma non avrebbe sopportato le sue scappatelle per un sol giorno. La sera dopo aver scoperto che lui la tradiva, si era piazzata in cima alle scale che salivano all’appartamento dalla bottega da barbiere del consorte e lì aveva aspettato lo sventurato Lester McCall, conosciuto come Cutter dagli amici (e presumibilmente dalla donna che era stata sua amante per un tempo brevissimo). Aspettò che si fosse tolto per metà il giaccone, poi gli fece cascare le budella traditrici sulle scarpe bicolore. Aveva usato uno dei rasoi di Cutter. Due giorni prima di incontrare Old Sparky, mi chiamò nella sua cella di sera e mi confidò che era andato a trovarla in sogno il suo spirito-padre africano. Le aveva detto di abbandonare il suo nome da schiava e morire con il nome da donna libera, Matuomi. Questa era la richiesta che mi rivolgeva, che sul suo mandato di morte si leggesse il nome di Beverly Matuomi. Suppongo che il suo spiritopadre non le avesse imposto un nome cosiddetto di battesimo; se lo aveva fatto, doveva essere troppo complicato per lei. Le assicurai che sarebbe stata accontentata. Una cosa che mi hanno insegnato gli anni in cui ho prestato il mio servizio da capocerbero è non rifiutare mai un piacere a un condannato se non è assolutamente impossibile accordarglielo. Nel caso di Beverly Matuomi, non fu comunque un problema. Il giorno dopo verso le tre del pomeriggio telefonò il governatore e commutò la sentenza in una condanna a vita nell’istituto penale femminile di Grassy Valley: tutto penale e niente pene, solevamo sottolineare all’epoca. Fui contento di vedere il sederone rotondo di Bev svoltare a sinistra invece che a destra dopo essersi fermata al tavolo della guardia di servizio, lasciatemelo dire.
Dopo trentacinque anni o giù di lì (devono essere stati almeno trentacinque) ho trovato il suo nome nella pagina degli annunci mortuari sotto una grinzosa faccia nera con in testa una nube di capelli bianchi e sul naso un paio di occhiali con finti brillantini agli angoli della montatura. Era Beverly. Aveva trascorso da cittadina libera gli ultimi dieci anni della sua vita, raccontava il necrologio, e aveva salvato praticamente da sola la biblioteca di un posticino che fa di nome Raines Falls. Aveva anche insegnato catechismo la domenica e si era meritata l’affetto sincero di tutta la comunità. BIBLIOTECARIA MUORE DI ARRESTO CARDIACO, diceva il titolo e, sotto, in piccolo, quasi come un’aggiunta a margine: Aveva scontato vent’anni in prigione per omicidio. Solo gli occhi, grandi e accesi dietro le lenti con le pietruzze agli angoli della montatura, erano quelli di sempre. Erano gli occhi di una donna che, ancora a settanta e rotti anni, non avrebbe esitato a estrarre un rasoio dal vaso blu del disinfettante, dovendo l’impulso farsi irresistibile. Si sa come sono gli assassini, anche se finiscono da vecchie bibliotecarie in qualche sperduto borgo assopito. Lo si sa di certo quando si è dedicato loro tutto il tempo che vi ho dedicato io. C’è stato solo un caso in cui ho messo in dubbio la natura del mio lavoro. Motivo per il quale, immagino, sto scrivendo queste pagine.
L’ampio corridoio che percorreva al centro tutto il Blocco E era rivestito di linoleum del colore della buccia di un vecchio lime appassito, perciò quello che nelle altre carceri veniva chiamato l’Ultimo Miglio, a Cold Mountain, si chiamava il Miglio Verde. Direi che valeva sessanta passi lunghi da sud a nord, da una parte all’altra. A un’estremità c’era la camera di confino. All’altra il corridoio finiva a T. Girando a sinistra c’era la vita, se così si vogliono definire, ed erano in molti a farlo, le attività che si svolgevano nel cortile sotto il sole a picco; molti vivevano quella vita per anni, senza apparenti effetti negativi: ladri e incendiari e violentatori, tutti a parlare le loro parole e a camminare le loro passeggiate e a contrattare i loro affarucci.
Girando a destra viceversa era un’altra storia. Prima si entrava nel mio ufficio (dove il tappeto era ugualmente verde, fatto al quale avevo sempre avuto intenzione di porre rimedio, senza mai mettermici una volta per tutte) e si passava davanti alla mia scrivania, fiancheggiata dalla bandiera americana a sinistra e da quella dello Stato a destra. In fondo c’erano due porte. Una dava nella piccola toilette, di cui ci servivamo io e le guardie del Blocco E e qualche volta persino il direttore Moores; l’altra si apriva in una sorta di capannone. Lì si andava a finire quando si percorreva il Miglio Verde.
Era una porta bassa, sicché io dovevo chinare la testa per passarci e John Coffey era addirittura costretto a sedersi e spingersi dall’altra parte. Si usciva su un piccolo pianerottolo, da cui si scendevano tre gradini di cemento in uno stanzone desolato con il fondo di assi, senza riscaldamento e con un tetto di metallo simile a quello del blocco di cui il capannone era un annesso. D’inverno vi faceva abbastanza freddo da vedere il proprio alito e d’estate vi si soffocava. All’esecuzione di Elmer Manfred, nel luglio o agosto del 1930, mi pare che fosse quella, furono in nove i testimoni a perdere i sensi.
Sul lato sinistro, ancora una volta, c’era la vita. Attrezzi (tutti incatenati in rastrelliere come se fossero carabine invece di vanghe e picconi), scorte di merceria, sacchi di sementi per la semina primaverile negli orti della prigione, scatoloni di carta igienica, pallet carichi di materiali grezzi per l’officina della prigione, persino sacchi di calce per tracciare il diamante del baseball e la griglia del campo da football; i detenuti giocavano in quello che chiamavamo il Pascolo e i pomeriggi d’autunno a Cold Mountain erano sempre attesi con viva partecipazione.
A destra, ancora una volta, la morte. Old Sparky in persona, piazzata su una pedana di legno nell’angolo sudest del capannone, tozze gambe di quercia, larghi braccioli di quercia che avevano assorbito il sudore terrorizzato di decine e decine di uomini negli ultimi minuti della loro esistenza in terra, e calotta metallica, appesa solitamente un po’ sghemba in cima allo schienale, come il berretto in testa a un robottino in un fumetto di Buck Rogers. Un cavo elettrico partiva dalla calotta e attraversava la guarnizione intorno a un foro nel retrostante muro di calcestruzzo. Di fianco c’era un secchio di latta. A guardarci dentro, ci trovavi un disco di spugna, tagliata a misura della calotta. Prima delle esecuzioni veniva inzuppata di soluzione salina per migliorare la conduzione della carica di elettricità a corrente continua che percorreva il cavo, attraversava la spugna ed entrava nel cervello del condannato.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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