Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Mio caro serial killer di Alicia Giménez-Bartlett. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Mio caro serial killer: trama del libro
L’ispettrice Petra Delicado di Barcellona è un po’ giù, sente che gli anni le sono piombati addosso tutti insieme. Un nuovo caso la scuote, un delitto «mostruoso e miserabile» che la rimescola dentro in quanto donna. Una signora sola, mai sposata, con un piccolo lavoro e una piccola vita, è stata trovata accoltellata. L’assassino si è accanito su di lei e ha poggiato sul corpo martoriato un messaggio di passione. L’indagine mette in luce che in quella esistenza era entrato l’amore, quello che illude e sconvolge una «zitella», come ripetono i maschi facendo imbestialire Petra. Tutto parla di femminicidio. Inizia con l’inseparabile vice Fermin Garzón il tran tran da segugi di strada che annusano il sospetto, un uomo insignificante che non lascia tracce. Però il rituale di sangue e lettere d’amore si ripete uguale ai danni di altre vittime. Si stende l’ombra preoccupante del serial killer e, anche per compiacere la stampa, alla coppia viene aggiunto, con funzione direttiva, un ispettore della Polizia autonoma della Catalogna, un giovane dal piglio moderno, rigido e pedante. Tutto l’opposto della collaudata coppia di sbirri, abituati a farsi sorprendere dalle intuizioni, ad attardarsi tra burette e tapas insaporite dal continuo battibecco. Così l’indagine prosegue nella tensione tra due generazioni e due modi opposti di investigazione e di vita. E forse questo allude metaforicamente allo scontro attuale tra i due patriottismi iberici. E porta dentro un bizzarro mondo metropolitano, le agenzie per cuori solitari. Nulla di straordinario per Petra che finisce sempre coll’immergersi dentro i misteri di una quotidianità piena di risvolti oscuri. Ma stavolta per sciogliere un’intricata matassa di colpevoli che sembrano vittime e vittime colpevoli Petra e Fermín devono affidarsi a un’indagine logica, quasi da detective deduttivi non da piedipiatti; e soprattutto la dura ma empatica poliziotta deve affrontare un assassino disumano. «L’essere umano può essere rabbioso e crudele, ma se non è psicopatico non arriva a tanto». E, forse a causa dello stress, forse per l’amarezza della verità, la commedia tra lei e Fermín corre più veloce del solito.
Approfondimenti sul libro
In ebook Mio caro serial killer (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Il viceispettore non fece obiezioni ma non si risparmiò la domanda trabocchetto:
– E che cosa dico al commissario se chiede di lei?
– Dipende.
– Da cosa dipende?
– Dal tono della richiesta. Se è normale, non gli dia retta. Se è nervoso, gli racconti una storia, gli dica che sono andata dal medico. Se invece la butta sul tragico, mi chiami.
– E se va fuori di testa?
– Lo mandi a quel paese.
– Da parte sua, ispettore.
Il centro estetico che veniva in mio soccorso quando avevo il tempo di occuparmi del mio aspetto offriva un ampio ventaglio di servizi: salone di parrucchiere, massaggi, aromaterapia, trattamenti viso e corpo per tutti i gusti. Calcolai che in meno di tre ore sarei riuscita a seguire quasi tutto il percorso. E così feci. Prima mi diedero una spuntatina ai capelli e me li irrorarono di un fluido rivitalizzante. Poi mi applicarono sul viso una maschera densa come un frullato di frutta, e altrettanto profumata, che rimase in posa mentre una signorina molto atletica mi massaggiava la schiena.
Cominciavo a sentirmi molto meglio. Migliorare il modo in cui ci presentiamo agli altri è una prima vittoria contro lo scorrere impietoso degli anni. Così è stato insegnato a noi donne e meno male che lo abbiamo imparato. Già la lettura del foglietto illustrativo di una crema o l’ascolto delle spiegazioni dell’estetista esercitano su di me un indubbio effetto placebo. Della poltiglia che avevo sul viso mi era stato detto: «Il suo principio attivo è ricavato dai germogli più teneri del tè di Ceylon e possiede infinite proprietà rigeneranti: ridefinisce l’ovale, distende le rughe, nutre gli strati più profondi dell’epidermide e cancella le macchie prodotte dall’esposizione solare». In definitiva, un balsamo dell’eterna giovinezza con la consistenza e il colore di un muco verdognolo. Al termine del massaggio, per completare il trattamento, mi spalmarono su tutto il corpo un’altra crema meravigliosa, teoricamente in grado di restituirmi la freschezza e l’elasticità dei vent’anni. Poi venni lasciata sola sul lettino, in una piacevole penombra, con una delicata musica di sottofondo per tutta compagnia. – Si rilassi – mi ordinò in tono suadente una voce femminile. Obbedii con tale zelo che il rilassamento si trasformò in un sonno riparatore.
Mi svegliò la suoneria del cellulare che avevo strategicamente collocato vicino all’orecchio. Gettai un’occhiata esanime allo schermo: il commissario Coronas. Coronas? Possibile? Garzón non l’avrebbe passata liscia.
– Parlo con l’ispettore Petra Delicado o faccio prima a chiamare il servizio persone scomparse?
– Buongiorno, commissario.
– Posso sapere dove diavolo è finita?
– Sarò in ufficio fra un momento. Poi le spiego.
Riattaccò. Feci passare cinque minuti e chiamai il viceispettore. Non mi lasciò neanche parlare.
– Guardi che Coronas non mi ha dato il tempo di avvertirla. Sembrava ammattito, completamente isterico. Ha visto che lei non era alla scrivania e l’ha chiamata sotto il mio naso. Ci sono rimasto malissimo.
– Oh, non sa quanto mi dispiace, Fermín! Sto quasi per mettermi a piangere. Si può sapere che cos’ha il capo di tanto urgente?
– Una donna assassinata, Petra. Dev’esserci qualcosa di strano perché Coronas non ha voluto dirmi niente. Dice che la aspetta.
– Ci vorrà almeno un’ora, prima non ce la faccio.
– Un’ora? Ma diventerà una belva! Che cosa gli dico se torna?
– Gli dica che sono tutta spalmata di una pappetta verde e che devo fare una doccia e asciugarmi i capelli.
– Questo non glielo dico neanche in punto di morte.
– E allora taccia per sempre.
Avevo calcolato perfettamente i tempi e per fortuna quella mattina il traffico era abbastanza fluido. Allo scoccare di un’ora esatta ero pronta ad affrontare il mio fatale destino.
Coronas mi fissò con un odio che non faceva onore al suo ruolo. Io assunsi un’espressione talmente neutra che non era nemmeno un’espressione.
– Ha qualche scusa valida per questo ritardo?
Domanda retorica.
– Dovevo andare dal medico – mentii.
– Magnifico! Credevo che per andare dal medico si chiedesse un permesso ai superiori.
– Era il mio ginecologo, una piccola urgenza. Non mi è stato possibile avvertire.
Abbassò gli occhi incerto: non sapeva se sentirsi imbarazzato o in colpa. Il tabù ginecologico aveva funzionato. Non c’è uomo che dopo un’allusione al ginecologo abbia il coraggio di fare altre domande. Coronas cambiò discorso:
– Petra, un paio d’ore fa hanno trovato una donna assassinata nella sua abitazione, una villetta a schiera in periferia. All’inizio si pensava a un caso di femminicidio, ma poi la polizia autonoma ha chiesto la nostra collaborazione. Il corpo presenta segni di accanimento che possono far pensare all’operato di un’organizzazione criminale.
Collaborare con i Mossos d’Esquadra non mi piaceva per niente. Ma la verità è che a me non piace collaborare con nessuno quando si tratta di svolgere un’indagine. L’idea che il lavoro di squadra sia meglio del lavoro individuale mi riesce del tutto incomprensibile. È vero che oggi è richiesto l’apporto di moltissima gente per l’attività investigativa: specialisti delle impronte, analisti di laboratorio, informatici, medici, esperti balistici… ma dall’unione dei saperi non nasce necessariamente una squadra. Quello che passa per «squadra» finisce per essere un’accozzaglia di persone che sgomitano per mettersi in mostra e far prevalere la loro idea su quelle altrui. Peggio ancora se la squadra è formata da soggetti che provengono da forze di polizia diverse. Allora la situazione diventa incandescente. All’ansia di primeggiare, di dimostrare la propria superiorità, si unisce l’orgoglio di corpo e non c’è più niente che si salvi. Ma fra tutti gli inconvenienti del lavoro di squadra ce n’è uno che mi dà particolarmente sui nervi: l’obbligo di parlare. Io ormai ero abituata a Garzón, e fra noi non c’era alcun bisogno di spiegare il perché e il percome di ogni cosa. Una parola, un cenno, un semplice grugnito erano carichi di significato più della dissertazione di un accademico. Riconosco che, invecchiando, dover fare uso del linguaggio verbale mi sembra sempre più stupido. Perché dare tanta aria alla bocca? Ci aiuta forse a comprenderci meglio? Ne dubito davvero, e quando vedo la gente blaterare compulsivamente al cellulare mi viene da piangere, o da prenderli a borsettate.
Coronas mi guardava aspettandosi qualche domanda, ma io ero ancora persa nelle mie divagazioni.
– Sta già pensando a chi può essere il colpevole, Petra?
– No, commissario. Mi chiedevo se è proprio necessario collaborare con i Mossos.
– C’è un ispettore giovane, dicono sia molto brillante, le piacerà. E ha fama di essere un osso duro quanto lei. Comunque le ricordo un’espressione che adesso va di moda: «È così che funziona», che tradotto nel nostro linguaggio significa: «Non ci sono cazzi». Mi tenga informato.
Nel corridoio, Garzón mi disse:
– Prima di mettersi a bestemmiare si ricordi che senza i Mossos non ci sarebbe neppure il morto. Quello spetta a loro d’ufficio.
– Ma che cosa orrenda, Fermín! Neanche dovessimo contenderci i morti. Ho forse una faccia da avvoltoio affamato di cadaveri? Per me se lo possono tranquillamente tenere, il loro morto.
Il viceispettore si strinse nelle spalle.
– E va bene. Pur di fare il bastian contrario lei è disposta a trasformarsi in colomba pasquale.
– La pianti, Fermín, non basta che ci si prospettino guai a non finire, deve anche fare lo spiritoso!
– Bene, mi piace vederla così! Quando comincia a essere arrendevole mi preoccupo.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Alicia Giménez-Bartlett.