Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Monte cinque di Paulo Coelho. Il romanzo è pubblicato in Italia da Bompiani con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 7,99.
Monte cinque: trama del libro
Per gli abitanti di Akbar, nell’antico Libano, il Monte Cinque è un luogo inaccessibile, abitato dagli dèi che governano i loro destini. Quando, per sfuggire alla persecuzione della regina Gezabele, il profeta Elia è costretto a lasciare Israele, un angelo gli svela che la strada della sua salvezza – l’arduo cammino verso la realizzazione e la santità – conduce proprio nella città fenicia. In questo mondo straniero, turbato da superstizioni, conflitti religiosi e tradizioni immutabili, il profeta viene accolto da una donna caritatevole, ma deve affrontare i pregiudizi della comunità. Mentre l’esercito assiro preme sotto le spesse mura di pietra di Akbar, il Signore ha ordinato tremende prove per Elia, che dovrà affrontare il Monte Cinque e i suoi demoni. Si può davvero accettare la morte dell’amata in nome della fede? Quale prezzo si deve pagare perché trionfino la giustizia e la verità? Un romanzo sull’amore e la fiducia, che esplora fino a che punto possiamo guidare il nostro destino, quando l’inevitabile arriva nelle nostre vite.
“Dio è Dio,” rispose il levita. “Egli non disse a Mosè se era buono o cattivo. Egli disse solo: ‘Io sono.’ Egli è dunque tutto ciò che esiste sotto il sole: il fulmine che distrugge la casa e la mano dell’uomo che la ricostruisce.”
Parlare era l’unica maniera per dissipare la paura. Da un momento all’altro, i soldati avrebbero aperto la porta della stalla dove si trovavano, li avrebbero scoperti e offerto loro l’unica scelta possibile: adorare Baal, il dio fenicio, o essere condannati a morte. Stavano perquisendo casa per casa, convertendo o condannando a morte i profeti.
Forse il levita si sarebbe convertito e sarebbe così sfuggito alla morte. Ma Elia non aveva scelta: tutto stava accadendo per colpa sua, e Gezabele voleva comunque la sua morte.
“È stato un angelo del Signore a costringermi a parlare con il re Acab e ad annunciargli che non avrebbe piovuto finché Baal fosse stato adorato in Israele”, disse, quasi chiedendo perdono per avere prestato ascolto alle parole dell’angelo. “Ma Dio agisce lentamente: quando la siccità comincerà a fare effetto, la principessa Gezabele avrà già distrutto tutti coloro che saranno rimasti fedeli al Signore.”
Il levita non disse nulla. Stava riflettendo se convertirsi a Baal o morire in nome del Signore.
“Chi è Dio?” proseguì Elia. “È forse Lui che impugna la spada del soldato che uccide quanti non tradiscono la fede dei nostri patriarchi? È stato Lui a porre una principessa straniera sul trono del nostro paese, in modo che tutte queste sventure potessero accadere alla nostra generazione? Dio uccide i fedeli, gli innocenti, coloro che seguono la legge di Mosè?”
Il levita prese la sua decisione: avrebbe preferito morire. A quel punto cominciò a ridere, perché l’idea della morte non lo spaventava più. Si rivolse al giovane profeta al suo fianco e cercò di tranquillizzarlo:
“Domandalo a Lui, giacché dubiti delle Sue decisioni,” disse. “Io ho accettato ormai il mio destino.”
“Il Signore non può desiderare che siamo tutti spietatamente massacrati,” soggiunse Elia.
“Dio può tutto. Qualora si limitasse a fare soltanto ciò che chiamiamo Bene, non potremmo definirlo Onnipotente. Egli dominerebbe soltanto una parte dell’universo, ed esisterebbe qualcuno più potente di Lui, che sorveglia e giudica le Sue azioni. In tal caso, io adorerei questo qualcuno più potente.”
“Se Egli può tutto, perché non risparmia dalla sofferenza coloro che lo amano? Perché non ci salva, invece di concedere potere e gloria ai Suoi nemici?”
“Non lo so,” rispose il levita. “Ma una ragione c’è, e spero di conoscerla presto.”
“Non hai alcuna risposta per questa domanda?”
“No, non ce l’ho.”
Rimasero in silenzio. Elia sudava freddo.
“Tu sei terrorizzato, ma io ormai ho accettato il mio destino,” gli disse il levita. “Uscirò e metterò fine a questa agonia. Ogni volta che sento un grido là fuori, io soffro, immaginando come sarà quando giungerà la mia ora. Per tutto il tempo che siamo rimasti qui rinchiusi sono già morto un centinaio di volte, e avrei potuto morire solo una volta. Giacché sarò decapitato, che avvenga il più rapidamente possibile.”
Aveva ragione. Elia aveva udito le stesse grida, e aveva già sofferto al di là delle proprie capacità di resistenza.
“Vengo con te. Sono stanco di lottare per qualche ora di vita in più.”
Si alzò e aprì la porta della stalla, lasciando che il sole entrasse e mostrasse i due uomini nascosti.
Il levita lo prese per un braccio e cominciarono a camminare. Se non fosse stato per qualche grido ogni tanto, quello sembrava un giorno normale in una città come tante altre: un sole non molto caldo, e un venticello che proveniva dal lontano oceano, rendevano la temperatura gradevole e impolverate le strade e le case di creta e paglia.
“Le nostre anime sono imprigionate dal terrore della morte, e la giornata è bellissima,” disse il levita. “Molte altre volte, quando mi sentivo in pace con Dio e con il mondo, il tempo era orribile, il vento del deserto mi riempiva gli occhi di sabbia e non mi faceva vedere a un palmo davanti a me. Non sempre il Suo piano coincide con ciò che siamo o stiamo sentendo, ma ti garantisco che per tutto ciò Egli ha una ragione.”
“Ammiro la tua fede.”
Il levita guardò il cielo, come se stesse riflettendo. Poi si rivolse a Elia:
“No, non farlo, e non credere tanto: è una scommessa che ho fatto con me stesso. Ho scommesso che Dio esiste.”
“Tu sei un profeta,” ribatté Elia. “Tu ascolti le voci, e sai che c’è un altro mondo al di là di questo.”
“Può essere una mia fantasia.”
“Tu hai visto i segnali di Dio,” insistette Elia, cominciando a preoccuparsi per i commenti del compagno.
“Può essere una mia fantasia,” fu di nuovo la risposta. “In realtà, l’unica cosa concreta che ho è la mia scommessa: mi sono detto che tutto ciò proveniva dall’Altissimo.”
La strada era deserta. Le persone, dentro le case, aspettavano che i soldati di Acab portassero a compimento quanto richiesto loro dalla principessa straniera: uccidere i profeti di Israele. Elia camminava con il levita e aveva la sensazione che, dietro ciascuna di quelle finestre e quelle porte, qualcuno lo stesse osservando e incolpando di quanto accadeva.
“Non ho chiesto io di essere un profeta. Forse tutto ciò è anche frutto della mia immaginazione,” rifletteva Elia.
Ma, dopo quanto era successo nella falegnameria, sapeva che non era così.
Fin dall’infanzia, udiva delle voci e parlava con gli angeli. Quando i suoi genitori lo avevano spinto a cercare un sacerdote di Israele, costui, dopo avergli rivolto molte domande, lo aveva identificato come un nabi, un profeta, un “uomo dello spirito”, colui che “si esalta con la voce di Dio”.
Dopo aver trascorso molte ore a parlare con lui, il sacerdote aveva annunciato ai suoi genitori che tutto ciò che il bambino avesse detto doveva essere preso sul serio.
Quando erano usciti, i genitori avevano preteso da Elia che non raccontasse mai a nessuno ciò che vedeva o sentiva: essere un profeta significava avere legami con il governo, e questo era sempre pericoloso.
Comunque sia, Elia non aveva mai più sentito nulla che potesse interessare a sacerdoti o re. Parlava solo con il suo angelo custode, e ascoltava i consigli che riguardavano la sua vita. Ogni tanto aveva delle visioni che non riusciva a capire: oceani lontani, montagne popolate di strani esseri, ruote con ali e occhi. Quando le visioni scomparivano, lui, obbediente ai genitori, faceva di tutto per dimenticarle il più rapidamente possibile.
Per questo, le voci e le visioni erano divenute sempre più rare. I suoi genitori ne erano contenti, e non avevano mai più toccato l’argomento. Quando, poi, aveva raggiunto l’età per badare a se stesso, gli avevano prestato il denaro per aprire una falegnameria.
Guardava continuamente gli altri profeti, che camminavano per le strade di Gileade indossando lunghe cappe di pelle e cinture di cuoio e affermavano di essere stati scelti dal Signore per guidare il popolo eletto. Davvero non era quello il suo destino: non sarebbe mai stato capace di ridestare uno stato di trance con danze o con l’autoflagellazione, una prassi usuale tra gli “esaltati dalla voce di Dio”, perché aveva paura del dolore. Non avrebbe mai camminato per le vie di Gileade esibendo orgogliosamente le cicatrici delle ferite procuratesi durante l’estasi, perché era troppo timido.
Elia si considerava una creatura normale, che si vestiva come tutti gli altri e che torturava solo la propria anima, con gli stessi timori e le stesse tentazioni dei semplici mortali. A mano a mano che incrementava il lavoro nella falegnameria, le voci andarono via via diminuendo fino a cessare, perché gli adulti e la gente che lavora non hanno tempo per queste cose. I suoi genitori erano contenti del figlio, e la vita trascorreva in armonia e pace.
La conversazione con il sacerdote, quando era ancora un bambino, era divenuta soltanto un lontanissimo ricordo. Elia non poteva credere che Dio Onnipotente avesse bisogno di parlare con gli uomini per far valere i propri ordini; quanto era accaduto e la sua infanzia erano soltanto la fantasia di un ragazzo che non aveva niente da fare. A Gileade, la sua cittadina natale, c’erano alcune persone considerate matte dagli abitanti. Non riuscivano a esprimersi in maniera coerente, ed erano incapaci di distinguere fra la voce del Signore e i deliri della follia. Trascorrevano la vita per la strada, predicando la fine del mondo e vivendo della carità altrui. Nessuno dei sacerdoti, comunque, li considerava come “esaltati dalla voce di Dio”.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore brasiliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paulo Coelho.
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