Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La morte di Ivan Il’ic di Lev Tolstoj. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 7,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook a poche decine di centesimi.
La morte di Ivan Il’ic: trama del libro
Pubblicato nel 1886, questo racconto descrive la vita di Ivan Il’ic, un borghese di buona famiglia, di discreta intelligenza e qualità mondane, costantemente preoccupato del parere dei superiori, che con le loro azioni potrebbero agevolarne la scalata sociale. Anche il matrimonio sembra confacersi alla pratica di vita da lui perseguita nella vita professionale: ha sposato la moglie più per convenienza d’affetto e sociale che per reale innamoramento. Tutto procede per il meglio, fin quando il protagonista non subisce un banale incidente domestico. Cadendo da uno sgabello Ivan Il’ic accusa un forte colpo al fianco, un dolore che con il passare del tempo sarà sempre più costante, costringendolo a consultare numerosi medici per cercare di venirne a capo. Nella situazione di disagio indotto dalla malattia cambiano così le sue priorità. Nell’avere pietà di se stesso, comincia sempre più a essere insofferente verso la rumorosa indifferenza della gente sana. Nessuno lo comprende né gli presta ascolto, tranne un muzik, un paesano, che fin dal giorno dell’incidente aveva cominciato a prendersi cura di lui, peraltro con un atteggiamento improntato a una straordinaria serenità. La malattia lo induce pertanto a rivedere tutta la scala dei valori che aveva ispirato la sua vita, guidandolo alla comprensione della verità: tutto è stato falso, nella vita familiare come nel lavoro. Ma alla fine della sua vita la menzogna si ritira, e Ivan Il’ic riuscirà a morire sereno, con il sorriso sulle labbra.
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“Signori!” aveva detto. “Ivan Il’ič è morto.”
“No!”
“Qui, legga,” aveva detto a Fëdor Vasil’evič passandogli il giornale appena uscito, odorante d’inchiostro.
In una cornicetta listata a lutto c’era scritto: “Praskov’ja Fëdorovna Golovina, affranta, partecipa a famigliari e conoscenti il decesso del suo adorato coniuge, membro della Corte d’Appello, Ivan Il’ič, avvenuto il 3 febbraio del corrente anno 1882. Le esequie si terranno venerdì, all’una dopo mezzogiorno”.
Ivan Il’ič era un collega dei signori che c’erano lì, e tutti gli volevano bene. Era ammalato già da qualche settimana; dicevano che il male fosse incurabile. Si era messo in aspettativa, ma c’era motivo di credere che, con la sua morte, Alekseev avrebbe potuto essere nominato al suo posto, e al posto di Alekseev Vinnikov, o Štabel’. Così, appena sentito della morte di Ivan Il’ič, il primo pensiero di ciascuno dei signori riuniti nello studio fu sul significato che poteva avere questa morte in relazione ai trasferimenti o alle promozioni loro o dei loro conoscenti.
“Adesso, probabilmente, avrò il posto di Štabel’ o di Vinnikov,” aveva pensato Fëdor Vasil’evič, “è una cosa che mi è stata promessa da tempo, e questa promozione vuol dire, per me, ottocento rubli in più, e senza i diritti di cancelleria.”
“Adesso bisogna chiedere il trasferimento di mio cognato da Kaluga,” aveva pensato Pëtr Ivanovič, “mia moglie sarà molto contenta. Adesso non potrà più dire che non ho mai fatto niente per i suoi parenti.”
“Lo dicevo che non si sarebbe ripreso,” aveva detto ad alta voce Pëtr Ivanovič. “Peccato.”
“Ma cosa aveva di preciso?”
“I dottori non sono riusciti a capirlo. Cioè, l’hanno capito, ma ciascuno a modo suo. Quando l’ho visto l’ultima volta, mi sembrava che si sarebbe ripreso.”
“Io, da lui, dopo le feste, non ci son più stato. Pensavo sempre di andarci.”
“Aveva un patrimonio?”
“Poca roba, sembra, della moglie. Ma una cosa insignificante.”
“Eh, bisognerà andarci. Stanno così lontano.”
“Lontano da dove abita lei. Da dove abita lei tutti stanno lontano.”
“Ecco, non riesce a perdonarmi di abitare di là dal fiume,” aveva detto, sorridendo, Pëtr Ivanovič rivolto a Šebek. E si erano messi a parlare delle distanze cittadine, poi erano tornati all’udienza.
A parte le varie considerazioni su possibili cambiamenti di carriera e trasferimenti che questa morte avrebbe provocato e che a questa morte sarebbero seguiti, il fatto stesso della morte aveva determinato in tutti quelli che ne erano venuti a conoscenza, come sempre, un sentimento di gioia per il fatto che il morto era lui, e non io.
“Quello lì è morto, e io invece no,” pensava o sentiva ciascuno di loro. I conoscenti più stretti, i cosiddetti amici di Ivan Il’ič, pensavano, senza volerlo, anche al fatto che adesso avrebbero dovuto adempiere ai noiosissimi obblighi del decoro e andare alla messa funebre e fare visita alla vedova per via delle condoglianze.
I più intimi erano Fëdor Vasil’evič e Pëtr Ivanovič.
Pëtr Ivanovič era stato suo compagno all’Istituto di giurisprudenza e si considerava in debito con Ivan Il’ič.
Dopo aver dato, a pranzo, la notizia della morte di Ivan Il’ič alla moglie, e il suo parere sulla possibilità del trasferimento del cognato dalle loro parti, Pëtr Ivanovič, senza andarsi a riposare, si era messo il frac e si era diretto da Ivan Il’ič.
Al portone della casa di Ivan Il’ič c’erano una carrozza e due cocchieri. Di sotto, in anticamera, vicino all’attaccapanni, era appoggiato alla parete il coperchio di una bara rivestita di broccato, con delle piccole nappe e un fregio lucidato a sabbia. Due signore vestite di nero si toglievano le pellicce. Una, la sorella di Ivan Il’ič, la conosceva, l’altra era una signora che non conosceva. Un collega di Pëtr Ivanovič, Švarc, stava scendendo e, dopo averlo visto, si era fermato su un gradino in alto e gli aveva fatto l’occhiolino come per dirgli: “Gli è andata male, a Ivan Il’ič”.
Il volto di Švarc, con le basette all’inglese, e tutta la sua magra figura, in frac, avevano, come sempre…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore russo rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Lev Tolstoj.
Il problema è sempre uno solo e sempre lo stesso: l’educazione cattolica ed ortodossa, imprimono nella mente di le riceve la convinzione che la morte sia un evento che non dovrebbe esistere. E rende la vita un tormento, stante il continuo pensiero della morte.
Che assurdità! Sarebbe una vera maledizione dovere vivere eternamente!
Al contrario la filosofia buddista considera la morte la naturale conclusione della vita dell’uomo, insegnando ad accettarla con serenità. Io penso che chi segue il pensiero buddista non può pienamente comprendere la tragedia di chi, sul mistero della morte, ha subito il lavaggio del cervello da parte della chiesa ortodossa o cattolica.
Tuttavia il racconto “La morte di Ivan Il’ic” mi è piaciuto moltissimo.
il cristianesimo se autentico e realmente vissuto porta a una visione non tragica ma luminosa della morte, che non esiste per i cristiani, o meglio è solo un passaggio alla vita eterna