Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Morte in mare aperto di Andrea Camilleri, una raccolta di racconti lunghi che forma una sorta di romanzo-matrioska con protagonista il giovane Montalbano. Il volume è edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 9,99 ed è il 23° tra i volumi dedicati al commissario Montalbano.
Morte in mare aperto: trama, descrizione del libro
“Sono otto le ‘mosse’ narrative che Camilleri si concede lungo le otto colonne e le otto traverse della sua geometrica scacchiera del racconto: tra i quattro lati del libro, e nell’ordine chiuso di un romanzo-matrioska che dentro di sé inclina, procedendo di racconto in racconto, di tensione in tensione, sull’asse unico dell’attività investigativa del commissariato di Vigàta. Più che racconti lunghi sono romanzi ristretti quelli che qui si spintonano a vicenda e concorrono al disegno unitario: uno compie un giro, l’altro ricomincia. L’andatura piacevolmente svagata e a punte d’arguzia è un effetto stilistico della restrizione e degli scorci. Fra gli aliti grassi del mare e il fresco odore salino, a Vigàta si conduce la solita vita fragorosa di ripicche e di rimbecchi; di passioni irritabili, di insofferenze e di strampalerie. La cameriera Adelina e Livia, la fidanzata ‘straniera’ di Montalbano, si annusano sempre da lontano. Catarella, devoto alle cerimonie più smaccate, indossa imperterrito il proprio corpo come una maschera cui aderiscono gesti e mimiche di dialettalità selvaticamente impetuosa e arruffata. Perdurano le moschetterie giornalistiche delle due contrapposte televisioni locali, abilmente strumentalizzate da Montalbano. Il medico legale, Pasquano, solo davanti a una guantiera di cannoli di ricotta è disposto a deporre acrimonie, ringhi, e “cabasisi”. (Salvatore Silvano Nigro)
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Stavano parlanno del cchiù e del meno, assittati supra alla verandina, quanno Livia, tutto ’nzemmula, si nni niscì con ’na frasi che sorprinnì a Montalbano.
«Quando diventerai vecchio, ti comporterai peggio di un gatto abitudinario» dissi.
«Perché?» spiò il commissario ’mparpagliato.
E macari tanticchia irritato, non gli faciva piaciri pinsarisi vecchio.
«Tu non te ne rendi conto, ma sei estremamente metodico, ordinato. Una cosa che non è al suo posto abituale ti irrita. Ti mette di malumore».
«Ma dai!».
«Non te ne accorgi, ma sei così. Da Calogero ti siedi sempre allo stesso tavolo. E quando non vai a mangiare da Calogero scegli sempre un ristorante a ovest».
«A ovest di che?».
«A ovest di Vigàta, non far finta di non capire. Montereale, Fiacca… Mai, che so, a Montelusa o a Fela… Eppure ci saranno dei posti carini. Per esempio, mi hanno detto che a San Vito, la spiaggia di Montelusa, ci sono almeno due ristorantini che…».
«Te ne hanno fatto i nomi?».
«Sì. L’Ancora e La Padella».
«Tu quale sceglieresti?».
«Così, a intuito, direi La Padella».
«Stasera ti ci porto» tagliò il commissario.
Con grannissima sodisfazioni di Montalbano, mangiaro da cani. Anzi, di sicuro i cani mangiavano meglio. Il locali si vantava della sò frittura mista di pisci. Ma il commissario ebbi il sospetto che l’oglio che usavano fusse quello per i motori degli autocarri e il pisci, ’nveci d’essiri croccanti come avrebbi dovuto, era muddrizzo e acquoso, come se l’avissiro priparato il jorno avanti. E siccome che Livia si scusò per l’errori fatto, il commissario la pigliò a ridiri.
Finuto di mangiare, sintero il bisogno ’mmidiato di puliziarisi il palato e si nni annaro a viviri, lui un whisky, lei un gin tonic, in un bar propio a ripa di mari.
E per tornari a Vigàta Montalbano, volenno addimostrari a Livia che non era accussì abitudinario come lei cridiva, fici ’na strata diversa da quella solita. Arrivò alle prime case dalla parti di supra del paìsi da indove si vidivano il sottostanti porto e il mari sireno supra al quali s’arriflittiva ’no spicchio di luna.
«Che bello! Fermiamoci un momento» fici Livia.
Scinnero dalla machina, il commissario s’addrumò ’na sicaretta.
Era di picca passata la mezzannotti e il postali per Lampidusa, tutto illuminato, stava manovranno per nesciri fora dal porto. A filo d’orizzonti sparluccicava qualichi lumi di lampara.
Propio alle loro spalli, tanticchia staccato dall’autre bitazioni, c’era un vecchio palazzotto a tri piani, chiuttosto malannato, sulla cui facciata, ccà e ddrà scrostata, brillava ’na scritta al neon: Albergo Panorama. Il portoni era chiuso, il clienti ritardatario avrebbi dovuto sonari il campanello per trasire.
Livia, affatata dalla nuttata che era carma e chiara, volli stari ad aspittari che il postali arrivassi al largo per diri che potivano ripartiri.
«Sento uno strano odore di bruciato» fici mentri che s’accostavano alla machina.
«Anch’io» dissi il commissario.
E fu in quel priciso momento che il portoni dell’albergo vinni rapruto e ’na voci, dall’interno, si misi a gridari:
«Al foco! Al foco! Fora tutti! Presto! Fora tutti!».
«Resta qui!» ordinò Montalbano a Livia mentri s’appricipitava verso il portoni.
Gli parse di sintiri, da qualichi parti, la rumorata di ’na machina che si mittiva ’n moto e partiva a vilocità. Ma non nni fu tanto sicuro, pirchì dall’interno dell’albergo vinivano scrusci strammi.
Appena che s’attrovò nell’atrio stritto e nico vitti, attraverso un fumo denso, lingue di foco àvute e arrisolute ’n funno a un curto corridoio. Ai pedi della scala che c’era al centro dell’atrio e che portava al piano di supra, un tali, in canottera e mutanne, continuava a fari voci:
«Scinniti! Presto! Fora tutti!».
In quel momento, dalla scala, scinnero, chi ’n mutanne e chi ’n pigiama, ma tutti santianno con le scarpi e i vistiti ’n mano, prima tri, po’ dù e appresso ’n autro mascolo. Quest’urtimo era vistuto completo e aviva ’na baligetta. Non c’erano fìmmine, in quell’albergo.
L’omo ai pedi della scala, un anziano, si votò per nesciri macari lui e vitti al commissario.
«Venga via!».
«Lei chi è?».
«Il proprietario».
«I clienti sono tutti in salvo?».
«Sì. Erano tutti rientrati».
«Ha chiamato i pompieri?».
«Sì».
Di colpo, la luci vinni a mancari.
Fora c’erano già ’na vintina di pirsone urlanti scinnute, accussì come s’attrovavano, dalle case vicine.
«Portami via» dissi Livia agitata.
«Sono tutti in salvo» circò di tranquillizzarla il commissario.
«Meglio così. Ma a me gli incendi mi fanno paura».
«Aspittamo la sirena dei vigili» dissi Montalbano.
La matina appresso, per annare al commissariato, pigliò la strata cchiù longa, quella che portava alla parti àvuta del paìsi. Gli era vinuta la curiosità tanto ’mprovisa quanto irresistibili di sapiri com’era poi annato a finiri il vecchio albergo. Dato che i pomperi erano arrivati tardo e che per astutare le sciamme c’era voluto tempo assà, fatto sta che l’interno del fabbricato non esistiva cchiù, si era tutto abbrusciato, ristavano addritta sulo i muri esterni con pirtùsa al posto delle finestri. Dintra, c’era ancora qualichi pomperi che travagliava. Torno torno il rudere era tutto recintato. Quattro vigili urbani tinivano luntani i curiosi. Montalbano li taliò malamenti, odiava ’sto turismo della sbintura, quelli che corrivano a vidiri il loco di un disastro o di un delitto. Se nell’incendio ci fusse scappato il morto, la genti vinuta a taliare sarebbi stata di sicuro tri vote chiossà.
Nell’aria c’era ancora feto d’abbrusciato. Lo pigliò un forti senso di sdisolazioni e si nni ripartì.
Stava parcheggianno quanno vitti ad Augello nesciri di cursa dal commissariato.
«Indove vai?».
«Mi ha chiamato il capo dei vigili del foco che hanno astutato un incendio che stanotti…».
«Saccio tutto».
«Dici che sicuramenti è doloso».
«Quanno torni, fammi sapiri».
Contò a Fazio come qualmenti quella notti si fusse vinuto ad attrovare con Livia davanti all’albergo al momento dell’incendio e come avissi assistuto alla fuitina dei sei clienti.
«Tu l’accanosci al propietario?».
«Certo. Si chiama Aurelio Ciulla, è ’n amico di mè patre».
«E basta accussì?».
«Dottore, quell’albergo a Ciulla renni picca e nenti. Tira avanti con aiuti e sovvenzioni del Comune, della Regione…».
«Pirchì non lo chiui?».
«Lui avi squasi sittant’anni, all’albergo ci è affezionato, se lo chiui che fa, come campa?».
«I pomperi dicino che l’incendio è doloso. Pensi che può essiri stato lo stisso Ciulla?».
«Mah! A quanto m’arresulta, è un omo onesto, mai avuto a chiffari con la liggi, è vidovo, non avi fìmmine, non avi vizi, ma capace che per la disperazioni…».
Mimì Augello s’arricampò dù orate cchiù tardo. Aviva un’ariata chiuttosto stuffatizza.
«Nuttata persa e figlia fìmmina. Tutto sommato, ’sto capo dei pomperi, gira che ti rigira, alla fini non era accussì sicuro che si era trattato di un fatto doloso…».
«E pirchì?».
«L’incendio si è sviluppato dintra a un cammarino, chiuttosto granni, che c’è ’n funno al corridoio a pianoterra. Sirviva da guardarobba per i linzoli, le federe dei cuscini… Il capo ci ha attrovato i resti di ’na buttiglia di vitro che sicuramenti continiva benzina».
«’Na molotov?» spiò Montalbano.
«Accussì pariva al capo pomperi».
«’Sto cammarino aviva ’na finestra?».
«Sì. Che era aperta. Ma il signor Ciulla, il propietario, gli dissi che ’na buttiglia di benzina ci la tiniva abitualmenti pirchì gli sirviva per smacchiari».
«E allura?».
«E allura non c’è spiegazioni, dato che di certo non si tratta di un corto circuito. Ma il capo pomperi è ristato dubitoso».
Montalbano ci pinsò supra tanticchia. Po’ dissi:
«A mia le cose che restano senza spiegazioni mi danno fastiddio».
«Macari a mia» fici Augello.
«Sai che ti dico? Tilefona a Ciulla e digli di viniri ccà alle quattro di oggi doppopranzo».
Augello niscì e tornò cinco minuti appresso.
«Dici che veni alle sei pirchì è stato chiamato dall’Assicurazione Fides per l’incendio».
«A che nummaro l’hai chiamato?».
«A quello che lui mi detti. Mi dissi che era quello della sò casa».
«E com’è che aieri notti dormiva ’n albergo?».
«E io chi nni saccio? Spialo a lui quanno veni».
Aurelio Ciulla, vistuto modestamenti, era l’omo col quali Montalbano aviva parlato la notti avanti mentri che l’albergo annava a foco.
«Si accomodi, signor Ciulla, lei conosce già il dottor Augello e l’ispettore Fazio. Del resto anche noi due ci iamo conosciuti ieri notte».
«Davero? E quanno?».
«Ero nei pressi dell’albergo quando l’incendio è scoppiato, sono entrato e abbiamo parlato».
«Mi scusasse, ma non m’arricordo nenti».
«È comprensibile. Mi levi una curiosità. Com’è che ieri dormiva in albergo?».
Ciulla lo taliò strammato.
«Ma l’albergo è mè!».
«Lo so benissimo, ma siccome lei ha dato al dottor Augello il telefono di un suo appartamento a Vigàta…».
«Ah, ora capii. ’Sta cosa la fazzo spisso, commissario, e non saccio pirchì la fazzo. Certe notti, se mi spercia, o pirchì fa troppo càvudo, dormo ’n albergo e certe notti no».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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