Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Mr Vertigo di Paul Auster. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einiaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Mr Vertigo: trama del libro
Walt è un povero orfano senza futuro nella St. Louis degli anni Venti, ma possiede un dono naturale, e trova qualcuno deciso a sfruttarlo. Maestro Yehudi, mezzo stregone e mezzo ciarlatano, è l’ebreo ungherese che in anni di duro tirocinio gli insegnerà la meravigliosa arte di volare facendo di lui un’attrazione da circo. Nelle sue peregrinazioni il bambino volante si ritrova tra incursioni del Ku Klux Klan, storie di gangster, giocatori di baseball e, nella Chicago degli anni Trenta, finisce con l’aprire un locale destinato a diventare famoso, il Mr Vertigo. Finché un giorno Walt ritorna normale e smette di essere un fenomeno. Ed è allora che il destino si compie in tutta la sua grandezza: riconoscendo nella storia di Dizzie Dean, campione in declino che non sa smettere di giocare, la propria storia, Walt comprende che importante non è solo volare, ma anche capire quando si deve tornare a terra e vivere con dignità la vita di ogni uomo, del piú anonimo e banale degli uomini.
Approfondimenti sul libro
In ebook Mr Vertigo (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Maestro Yehudi scelse me perché ero il piú piccolo, il piú sozzo, l’ultimo dei miserabili. – Sei come una bestia, – disse, – uno scampolo di umana nullità –. Queste furono le prime parole che mi rivolse e sebbene siano passati ormai sessantotto anni da quella notte, mi sembra di sentirle uscire ancora dalla bocca del maestro. – Sei come una bestia. Se resti qui, non arriverai vivo a primavera. Se vieni con me, ti insegnerò a volare.
– Non ce n’è di gente che sa volare, capo, – dissi io. – Quella è roba da uccelli, e io a un uccello manco ci somiglio.
– Che ne sai? – disse Maestro Yehudi. – Tu non sai niente, perché non sei niente. Facciamo cosí, se per il tuo tredicesimo compleanno non sarò riuscito a farti volare, puoi mozzarmi la testa a colpi d’ascia. Te lo metto per scritto, se vuoi. Se non manterrò la promessa, potrai fare di me quel che ti pare.
Era sabato sera, al principio di novembre, e stavamo di fronte al Paradise Café, un bel locale lustro del centro, con tanto di orchestrina jazz di colore e conigliette in abiti succinti che vendevano sigarette. Bazzicavo quella zona al fine settimana, scroccando soldi con piccoli servizi e accaparrando taxi per i gran signori. In principio pensai che Maestro Yehudi fosse soltanto un altro alcolizzato, il solito riccone ubriaco marcio che andava in giro di notte in smoking e cilindro di raso. Aveva un accento strano, perciò lo immaginai un forestiero, uno di fuori città, ma niente di piú esotico. Quando sono sbronzi gli uomini dicono un mucchio di fesserie, e quella storia di volare non era nemmeno la piú idiota che mi fosse capitato di sentire.
– L’avete presa un po’ alta, – dissi. – Avanti cosí, vi rompete l’osso del collo, quando vi tocca scendere.
– Delle tecniche di volo parleremo dopo, – disse il maestro. – Non è roba che si impara in due minuti, ma se mi dai retta e segui le mie istruzioni, diventeremo milionari tutti e due.
– Voi i milioni ce li avete già, – dissi io. – Che ve ne fate di me?
– Si dà il caso, piccola canaglia, che io non abbia il becco d’un quattrino. Magari a te sembro uno carico d’oro, ma solo perché hai la segatura al posto del cervello. Stammi bene a sentire. Ti sto offrendo l’occasione della tua vita, prendila al volo, perché non ti capita mai piú. Sono prenotato sul Blue Bird Special alle sei e mezza di domattina, e se tu non trascini la tua misera carcassa su quel treno, puoi star sicuro che non mi vedrai mai piú.
– Non avete ancora risposto alla mia domanda, – dissi.
– Se proprio vuoi saperlo, sei quello che ho sempre cercato, figliolo. Per questo ti voglio con me. Perché tu hai il dono.
– Il dono? Io non ci ho nessun dono. E poi, se anche l’avessi, caro il mio Signor Pinguino, voi che ne potete sapere? Non ci siamo mai visti né conosciuti.
– E qui ti sbagli di nuovo, – disse Maestro Yehudi. – È una settimana che ti osservo. E se credi che i tuoi zii sentirebbero la tua mancanza, allora non hai capito niente della gente con cui abiti da quattro anni a questa parte.
– I miei zii, – dissi io, rendendomi improvvisamente conto che quel tale non era affatto il solito ubriacone della domenica. Doveva essere qualcosa di molto peggio: un agente in borghese magari, uno sbirro, e, quant’è vero Iddio, io ero nella merda fino al collo.
– Tuo zio Slim è proprio un bel campione, – continuò il maestro, prendendosela comoda, ora che poteva contare sulla mia attenzione. – Non credevo che un cittadino americano potesse essere tanto laido. Non solo puzza ma per giunta è anche brutto e cattivo. Non c’è da stupirsi che tu sia venuto su con quella faccia da faina dei bassifondi. Stamane ci siamo fatti una lunga chiacchierata io e lo zio, e lui è pronto a lasciarti andare senza chiedere un soldo in cambio. Pensa un po’, ragazzo mio. Non ti ho neppure dovuto pagare. E quella scrofa lardosa che ha il coraggio di chiamare moglie se ne è rimasta là seduta senza dire nemmeno una parola in tua difesa. Se è la famiglia migliore che sei riuscito a trovare, sei fortunato a disfartene. Spetta a te decidere, ma anche se non vuoi saperne di me, non credo sia una buona idea tornare indietro. Saranno molto delusi di rivederti, posso garantirtelo. Potresti farli schiattare di crepacuore, non so se mi spiego.
Magari sarò stato anche una bestia, ma persino l’ultimo dei vermi ha un’anima, e quando il maestro mi rifilò quella bella notizia, mi sentii come se mi avessero appena dato un cazzotto. Lo zio Slim e la zia Peg non erano certo persone raccomandabili, ma era in casa loro che ero cresciuto, e scoprire che di me non ne volevano sapere mi toglieva letteralmente il fiato. Dopo tutto, avevo solo nove anni. Certo, per la mia età ero un duro, ma molto meno di quanto dessi a vedere e se il maestro non mi avesse squadrato con quegli occhiacci neri, in quel momento sarei probabilmente scoppiato in singhiozzi lí in mezzo alla strada.
Ancora adesso, quando ripenso a quella sera, non so se mi stava dicendo la verità o no. Forse ci aveva parlato sul serio con gli zii, ma poteva anche essersi inventato tutto. Che li avesse visti sono sicuro, – li aveva descritti sputati com’erano, – ma conoscendo lo zio Slim, non mi torna che mi avesse lasciato andare senza cercare di ricavarci qualche spicciolo. Non voglio dire che Maestro Yehudi lo avesse truffato, ma considerato quel che accadde dopo, non c’è dubbio che il bastardo pensò di aver subito un torto, comunque le cose fossero andate davvero. Ma non ho nessuna voglia di perdere tempo a risolvere la faccenda ora. Il risultato fu che crollai di fronte a quel che mi diceva il maestro e, sui tempi lunghi della storia, questa è la sola cosa che valga la pena di riferire. Lui mi convinse che non potevo tornare a casa e, una volta accettato questo, di me non mi importava piú un accidenti. Probabilmente era proprio cosí che mi voleva ridurre: un groviglio di rabbia e disperazione. Quando non vedi ragione per continuare a vivere, è raro che badi a quello che ti può succedere. Ti dici che vorresti morire, e scopri proprio allora di essere pronto a tutto: anche a una follia come sparire nella notte con uno sconosciuto.
– D’accordo capo, – dissi, abbassando la voce di un paio di ottave e regalandogli la mia migliore occhiata tagliagola, – avete fatto un affare. Ma se quello che dite non è vero, potete salutare la testa. Sarò anche piccolo, ma non sopporto chi non rispetta i patti.
Faceva ancora buio quando salimmo in treno. Viaggiammo verso ovest, volgendo le spalle all’alba, e attraversammo lo stato del Missouri mentre la luce fioca di novembre si faceva largo a stento tra le nuvole. Non uscivo da Saint Louis da quando avevano sepolto mia madre e il mondo che scoprii quella mattina non era allegro: grigio, spoglio, con campi sterminati di stoppie di granturco che fiancheggiavano la ferrovia su entrambi i lati. Facemmo il nostro ingresso sbuffante a Kansas City poco dopo mezzogiorno, e in tutte quelle ore che avevamo passato insieme credo che Maestro Yehudi non mi avesse rivolto piú di tre o quattro volte la parola. Per lo piú dormiva, ciondolando la testa sotto il cappello tirato sulla faccia, e la mia paura era tale che non riuscivo a spostare lo sguardo dal finestrino, e osservavo il paesaggio scivolare via, rimuginando sul pasticcio nel quale mi ero cacciato. I miei amici di Saint Louis mi avevano messo in guardia dai tipi come Maestro Yehudi: relitti umani carichi di cattive intenzioni, pervertiti a caccia di ragazzini da comandare a bacchetta. Ero già abbastanza smaliziato da immaginarmelo mentre mi toglieva i vestiti e si metteva a toccarmi dove non mi andava di farmi toccare, ma quello era niente in confronto alle altre paure che mi martellavano il cervello. Avevo sentito dire di un bambino che era andato via con uno sconosciuto e nessuno ne aveva piú saputo niente. In seguito, quel tale aveva confessato di averlo fatto a fettine e di esserselo cucinato per cena. Un altro era stato incatenato al muro di una cantina buia e tenuto a pane e acqua per sei mesi. Un altro ancora lo avevano scuoiato vivo. Ora che avevo tutto il tempo di pensare a quel che avevo fatto, immaginavo di essere destinato anch’io a un trattamento simile. Mi ero messo da solo tra le grinfie di un mostro e se si fosse rivelato cattivo anche soltanto la metà di quanto sembrava, avevo ottime probabilità di non rivedere la luce del mattino.
Scendemmo dal treno e ci incamminammo sulla banchina, facendoci strada tra la folla. – Ho fame, – dissi, tirando Maestro Yehudi per la giacca. – Se non mi date da mangiare subito, vi denuncio al primo sbirro che vedo.
– E la mela che ti ho dato? – chiese lui.
– L’ho buttata dal finestrino del treno.
– Be’, non vai pazzo per le mele, vero? E il panino al prosciutto? E la coscia di pollo, e il sacchetto di frittelle?
– Ho buttato via tutto. Non vi aspetterete che mangi le porcherie che mi date, spero.
– E perché no, giovanotto? Chi non mangia, deperisce e muore. Lo sanno tutti.
– Almeno cosí muori piano piano. Se assaggi la roba avvelenata invece stramazzi sul posto.
Per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, Maestro Yehudi si lasciò andare ad un sorriso. Se non ricordo male, arrivò persino a ridere. – Stai dicendo che non ti fidi di me, giusto?
– Certo che è giusto. Non mi fiderei di voi da qui a là.
– Sereno, furfantello, – disse il maestro, battendomi con affetto sulla spalla. – Tu sei il mio buono pasto, ricordi? Non ti torcerei neanche un capello.
Per quanto ne sapevo erano solo belle parole, e non ero poi cosí scemo da bermi quel genere di sdolcinatezze. Poi però Maestro Yehudi si frugò in tasca, ne tirò fuori un dollaro di carta ancora nuovo e me lo mise in mano. – Lo vedi quel ristorante laggiú? – disse indicando un rudere in mezzo alla stazione. – Entraci e ordina tutto quello che riesci a trangugiare. Io ti aspetto qui.
– E voi? Come mai non mangiate?
– Tu sta’ tranquillo, – replicò Maestro Yehudi. – Alla mia pancia ci penso io –. Poi, mentre mi voltavo per andare, aggiunse: – Solo un consiglio, pisciasotto. In caso ti fossi messo in mente di scappare, fallo adesso. E non ti preoccupare del dollaro: puoi tenertelo per il disturbo.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paul Auster.
Lascia un commento