Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Mondadori, con un prezzo di copertina di 9,75 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Narciso e Boccadoro: trama del libro
Nel Medioevo leggendario del cattolicesimo monastico si snoda la storia dell’amicizia fra il dotto e ascetico Narciso, destinato a una brillante carriera religiosa al riparo dalle insidie del mondo e della storia, e Boccadoro, l’artista geniale e vagabondo, tentato dall’infinita ricchezza della vita e segretamente innamorato anche della sua caducità. Ripercorrendo una delle epoche storiche che più gli sono congeniali, Hermann Hesse riflette sul tema, centrale nella sua poetica, del contrasto fra natura e spirito, fra eros e logos, fra arte e ascesi, alla ricerca di una loro possibile integrazione. “Narciso e Boccadoro” pone così al lettore – in un’accattivante, limpida fusione di favola simbolica e romanzo picaresco – i grandi, inquietanti interrogativi sulla condizione dell’uomo contemporaneo.
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Narciso e Boccadoro (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato a meno di un euro.
Sotto l’albero esotico erano già passate parecchie generazioni di scolari: le loro lavagnette sotto il braccio, chiacchierando, ridendo, giocando, litigando, scalzi o calzati secondo la stagione, un fiore in bocca, una noce fra i denti o una palla di neve in mano. Ne venivano sempre di nuovi: ogni paio d’anni erano altri visi; i più s’assomigliavano: biondi e ricciuti. Parecchi rimanevano, diventavano novizi, diventavano monaci, ricevevano la tonsura, portavano tonaca e cordone, leggevano libri, istruivano i ragazzi, invecchiavano, morivano. Altri, terminati gli anni di scuola, venivano ricondotti a casa dai genitori: in castelli feudali, in dimore di commercianti e d’artigiani; correvano il mondo, dediti ai loro passatempi e alle loro professioni; ritornavano qualche volta in visita al convento, fatti uomini portavano i loro figlioletti come scolari ai Padri, sostavano un poco a guardare sorridenti e pensierosi il castagno, si perdevano di nuovo.
Nelle celle e nelle sale del monastero, fra le pesanti arcate rotonde delle finestre e le doppie svelte colonne di pietra rossa, si viveva, s’insegnava, si studiava, si amministrava, si governava; arti e scienze d’ogni genere, pie e mondane, chiare e oscure, erano là coltivate e passavano in retaggio di generazione in generazione. Si scrivevano e commentavano libri, si meditavano sistemi, si raccoglievano opere di scrittori antichi, si miniavano manoscritti, si coltivava la fede del popolo, si sorrideva della fede del popolo. Dottrina e religiosità, semplicità e scaltrezza, sapienza dei Vangeli e sapienza dei Greci, magia bianca e nera, tutto aveva la sua fioritura, per tutto c’era posto: per l’isolamento e per la penitenza come per la vita socievole e per il benessere; il prevalere di questa o quella tendenza dipendeva dalla persona dell’abate in carica e dalla corrente dominante del tempo. In alcuni periodi il convento era rinomato e frequentato per i suoi esorcisti e conoscitori di demoni, in altri per la sua musica eccellente, ora per un santo padre che praticava guarigioni e miracoli, e ora per i suoi intingoli di luccio e per i suoi pasticci di fegato di cervo: ogni cosa aveva la sua epoca. E nella schiera dei monaci e degli scolari, di quelli pii e di quelli tepidi, degli astinenti e dei prosperosi, fra i tanti che venivano, vivevano e morivano, c’era sempre stato questo o quell’individuo singolare, che tutti amavano o che tutti temevano, uno di lui, se il suo unico difetto era l’orgoglio, sapeva nasconderlo meravigliosamente. Non si poteva dire nulla contro di lui: era perfetto, era superiore a tutti. Ma pochi gli diventavano amici davvero, tranne gli eruditi; la sua distinzione lo circondava come un’atmosfera di gelo.
«Narciso», gli disse un giorno l’abate dopo una confessione, «devo dichiararmi colpevole di un giudizio severo a tuo riguardo. Ti ho ritenuto spesso orgoglioso e forse ti ho fatto torto. Sei molto solo, mio giovane fratello, sei isolato, hai ammiratori, ma non amici. Io vorrei aver occasione di biasimarti qualche volta, ma non c’è motivo. Vorrei che tu fossi qualche volta scortese, come lo sono facilmente i giovani della tua età. Tu non lo sei mai. Qualche volta sono preoccupato per te, Narciso.»
Il giovane alzò i suoi occhi scuri in viso all’abate.
«Io desidero molto, reverendo padre, di non darvi preoccupazioni. Può essere ch’io sia orgoglioso, reverendo padre. Vi prego, punitemi. A volte sento io stesso il desiderio di punirmi. Mandatemi in un eremitaggio, padre, o fatemi compiere servizi umili.»
«Tanto per una cosa quanto per l’altra sei troppo giovane, caro fratello», disse l’abate. «Inoltre hai attitudini eccellenti per le lingue e per la speculazione, figliolo; sarebbe uno sprecare questi doni divini, se io volessi importi dei servizi umili. Probabilmente diventerai un maestro e uno scienziato. Non lo desideri anche tu?»
«Perdonate, padre, non mi rendo conto con tanta precisione dei miei desideri. Le scienze mi daranno sempre piacere: come potrebbe essere altrimenti? Ma non credo che esse debbano diventare il mio unico campo. Non sono sempre i desideri a determinare il destino e la missione di un uomo: ci può essere qualcos’altro, di predestinato.»
L’abate ascoltava, facendosi serio. Tuttavia un sorriso illuminava il suo volto canuto, mentre diceva: «Per quel tanto che ho imparato a conoscere gli uomini, incliniamo tutti, specialmente in gioventù, a confondere la provvidenza coi nostri desideri. Ma poiché tu credi di conoscere fin d’ora la tua destinazione, dimmi, a che cosa credi di essere destinato?».
Narciso socchiuse gli occhi scuri, che scomparvero sotto le lunghe ciglia nere. Tacque.
«Parla, figliolo», ammonì l’abate dopo aver atteso a lungo. A voce bassa, con lo sguardo chino, Narciso cominciò a parlare.
«Credo di sapere, reverendo padre, che innanzitutto sono destinato alla vita claustrale. Diventerò, credo, monaco, sacerdote, sottopriore e forse abate. Non lo credo perché lo desideri. Il mio desiderio non mira a cariche. Ma mi verranno imposte.»
Rimasero a lungo silenziosi.
«Perché hai questa convinzione?» domandò esitando il vegliardo. «Quale tua particolarità, oltre alla dottrina, ti dà questa convinzione?»
«La particolarità», rispose Narciso lentamente, «di possedere un’intuizione dell’indole e della vocazione degli uomini; non solo della mia, ma anche di quella degli altri. Questa proprietà mi costringe a servire gli altri, dominandoli. Se non fossi nato per la vita monastica, dovrei diventare un giudice o un uomo di stato.»
«Può darsi», assentì l’abate. «Hai già sperimentato questa tua capacità di conoscere gli uomini e il loro destino?»
«L’ho sperimentata.»
«Sei disposto a darmi un esempio?»
«Sono disposto.»
«Bene. Poiché non vorrei penetrare nei segreti dei nostri fratelli a loro insaputa, vuoi dirmi che cosa credi di sapere sul conto mio, sul conto del tuo abate Daniele?»
Narciso alzò le palpebre e guardò l’abate negli occhi.
«Lo comandate, reverendo padre?»
«Lo comando.»
«Mi è penoso parlare, padre.»
«Anche a me è penoso, mio giovane fratello, costringerti a parlare. Tuttavia lo faccio. Parla!»
Narciso chinò il capo e mormorò: «E poco quello che so di voi, venerato padre. So che siete un servo di Dio, il quale preferirebbe custodire le capre o suonare la campanella in un eremo e ascoltare la confessione dei contadini, anziché dirigere un grande convento. So che avete un amore particolare per la santa Madre di Dio e che a lei di preferenza rivolgete le vostre preghiere. Talvolta pregate, perché le scienze greche e le altre che si coltivano in questo monastero non rechino turbamento e pericolo alle anime di coloro che vi sono affidati. Talvolta pregate, perché non vi scappi la pazienza col sottopriore Gregorio. Talvolta pregate che vi sia concessa una fine serena. E sarete esaudito, credo, e avrete una fine serena».
Nel piccolo parlatorio dell’abate si fece silenzio. Finalmente il vegliardo parlò.
«Sei un sognatore e hai delle visioni», disse con benevolenza. «Anche le visioni pie e buone possono ingannare; non fidartene, come neppure io me ne fido… Sapresti vedere, o fratello sognatore, che cosa penso in cuor mio a questo proposito?»
«Posso vedere, padre, che pensate molto benevolmente in proposito. Pensate: “Questo giovane scolaro corre qualche pericolo, ha delle visioni, forse ha meditato troppo. Potrei imporgli una penitenza, che non gli farà male. Ma quella stessa penitenza la imporrò anche a me”… Ecco quello che pensate ora.»
L’abate si alzò. E sorridendo fece cenno al novizio di congedarsi.
«Va bene», disse. «Non prendere troppo sul serio le tue visioni, giovane fratello. Dio richiede qualcos’altro da noi, che avere delle visioni. Ammettiamo che tu abbia lusingato un vecchio, promettendogli una morte benigna. Ammettiamo che il vecchio abbia per un momento ascoltato volentieri questa promessa. Ora basta. Reciterai un rosario, domani dopo la prima messa: lo reciterai con umiltà e devozione, non superficialmente, e io farò altrettanto. Ora va’, Narciso, abbiamo chiacchierato abbastanza.»
Un’altra volta l’abate Daniele dovette comporre un dissidio fra il più giovane dei padri insegnanti e Narciso, perché non potevano accordarsi su di un punto del programma didattico: Narciso insisteva con molto calore sulla necessità d’introdurre nell’insegnamento alcuni mutamenti, che sapeva anche giustificare con ragioni convincenti; ma padre Lorenzo, per una specie di gelosia, non voleva acconsentire, e ad ogni nuova discussione seguivano giorni di silenzio imbronciato, finché Narciso, sentendo di avere ragione, ritornava sull’argomento. Finalmente padre Lorenzo, un po’ offeso, disse: «Ebbene, Narciso, facciamola finita con questa discussione. Tu sai che spetterebbe a me decidere e non a te; tu non sei mio collega, ma mio assistente e devi uniformarti alla mia volontà. Ma poiché dai tanta importanza alla cosa e io ti sono bensì superiore per autorità ma non per sapere e per ingegno, non voglio prendere io stesso la decisione; esporremo la questione al nostro padre abate e lasceremo decidere a lui».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Hermann Hesse.
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