Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Una notte da ricordare di Danielle Steel, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 14,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Una notte da ricordare: trama del libro
Olympia Crawford Rubinstein ha tutto quello che potrebbe desiderare: una brillante carriera da avvocato, una lussuosa casa nel cuore di Manhattan, un matrimonio felice. E quattro, splendidi figli che ama più della sua stessa vita: Charlie, studente modello alla Dartmouth University, Virginia e Veronica, due bellissime gemelle che frequentano il liceo, e infine Max, l’ultimo arrivato, un bambino davvero adorabile. Ma in un’assolata giornata di maggio tutto cambia: Virginia e Veronica ricevono l’invito per il più esclusivo ballo delle debuttanti di New York e l’esistenza perfetta di Olympia piomba nel caos. Le due ragazze, infatti, non potrebbero reagire in modo più diverso all’invito. Veronica, anima ribelle e anticonformista, è indignata. È convinta che si tratti di un’istituzione antiquata e classista, e non ha alcuna intenzione di partecipare. Virginia, al contrario, è al settimo cielo. Sa che il ballo sarà l’occasione perfetta per il suo debutto in società, e non pensa ad altro. E mentre le sorelle iniziano a litigare, creando una profonda frattura all’interno della famiglia, Charlie sorprende tutti con una rivelazione a dir poco inaspettata. Una rivelazione che potrebbe trascinare i Rubinstein in uno scandalo senza precedenti. Tra incomprensioni, segreti e bugie, toccherà a Olympia lottare per tenere unita la famiglia. Almeno fino alla notte del ballo…
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Olympia e Harry avevano rinnovato la casa sei anni prima, in previsione della nascita del piccolo, lasciando l’appartamento a Park Avenue nel quale lei aveva abitato con i tre figli dopo il divorzio e che solo per qualche tempo aveva diviso con il nuovo compagno. Aveva conosciuto Harry Rubinstein un anno dopo la separazione, ed erano sposati da tredici. Max era arrivato dopo anni di felice unione ed era stato accolto con immensa gioia sia dai genitori sia dai fratelli più grandi, che lo adoravano senza riserve anche per merito del suo carattere allegro e affettuoso.
Olympia era socia di un fiorente studio legale presso il quale si occupava di diritto civile e di azioni legali di categoria, ma il settore in cui si impegnava con maggior coinvolgimento era quello che riguardava qualsiasi forma di abuso e di discriminazione ai danni dell’infanzia, ramo nel quale era ormai diventata un personaggio di spicco. La donna aveva perseguito i suoi traguardi con determinazione: dopo il divorzio, quindici anni addietro, si era iscritta alla facoltà di legge della Columbia Law School e lì, qualche tempo dopo, si era innamorata di Harry, che insegnava Diritto e che adesso, smessi i panni di professore, era diventato giudice federale della Corte d’appello. La sua carriera era in costante ascesa, tanto che era stato preso in considerazione per la candidatura a un seggio presso la Corte suprema. Purtroppo la nomina non era stata ottenuta per un soffio, e così Olympia e Harry continuavano a sperare che alla successiva occasione l’obiettivo desiderato sarebbe stato finalmente raggiunto.
I due coniugi condividevano idee, passioni e valori identici nonostante provenissero da background diversissimi. Lui faceva parte di una famiglia di ebrei ortodossi, e i suoi genitori erano sopravvissuti all’orrore dell’Olocausto. La madre, originaria di Monaco, era stata deportata a Dachau, dove la sua famiglia era stata sterminata, mentre il padre aveva avuto la fortuna di uscire vivo da Auschwitz. In seguito, dopo aver lasciato l’Europa, erano entrambi partiti per Israele, dove il destino li aveva fatti incontrare e, ancora giovanissimi, sposare. Si erano poi trasferiti a Londra e, infine, negli Stati Uniti. Lì era nato il loro unico figlio, fulcro di ogni briciolo di energia, sogno e speranza e per il quale avevano sempre lavorato senza risparmiarsi: lui come sarto e lei come cucitrice, prima nelle fabbriche di abbigliamento nel Lower East Side e dopo nella Settima Strada, in quello che in seguito divenne noto come il quartiere delle confezioni. Poco dopo il matrimonio di Harry, il padre era morto, così che, con grande cruccio del figlio, non aveva potuto conoscere il nipotino. Frieda, sua moglie, era un’amorevole settantaseienne, una donna forte, determinata, intelligente, che stravedeva per Harry e Max e che reputava il primo un genio e il secondo un prodigio.
Dopo il matrimonio, Olympia aveva abbandonato la Chiesa episcopale, della quale aveva sempre seguito i canoni con fedeltà, e si era convertita al giudaismo. Marito e moglie, adesso, frequentavano la sinagoga riformata verso la quale lei, con profonda commozione di Harry, mostrava una sincera propensione, recitando ogni venerdì sera la preghiera dello Shabbat e accendendo le candele come richiesto dal rito. Agli occhi di Frieda e del figlio, Olympia, che a luglio avrebbe compiuto quarantacinque anni, era una donna fantastica, una madre magnifica per i suoi quattro pargoli, un avvocato brillante e una moglie meravigliosa. Anche Harry, che di primavere ne aveva cinquantatré, era già stato sposato, ma dal primo matrimonio non erano nati figli.
L’armonia che li contraddistingueva non si manifestava solo nell’ambito degli ideali che li univano. Anche fisicamente apparivano una coppia interessante e complementare in tutto. Olympia era bionda e con gli occhi azzurri mentre Harry era moro con profondi occhi marroni. Lei era snella e minuta, lui un omone alto e con un’indole bonaria. La donna possedeva un carattere schivo e serio, ma era sempre pronta alla risata, soprattutto per le battute e gli scherzi del marito o dei figli. Adorava la suocera, che rispettava profondamente e verso la quale si prodigava in mille attenzioni.
La famiglia di Olympia, i Crawford, era una delle più in vista e altolocate di New York e i suoi avi, per molte generazioni, si erano uniti in matrimonio con gli altrettanto influenti Astor e Vanderbilt. Ancora oggi, edifici e istituzioni accademiche portavano il loro nome, e la residenza estiva di Newport, nel Rhode Island – impropriamente chiamata da tutti il «cottage» – era stata per lungo tempo una delle più lussuose e frequentate. Purtroppo, però, il cospicuo patrimonio famigliare si era inesorabilmente assottigliato con il passare degli anni per poi esaurirsi ai tempi in cui Olympia frequentava il college, tanto che alla morte dei genitori era stata costretta a vendere il cottage e le terre circostanti per pagare i loro debiti e regolare i conti con il fisco. Il padre, troppo abituato alla sua posizione privilegiata, non aveva mai lavorato per davvero in vita sua e così, come una parente della ragazza aveva commentato dopo la sua scomparsa, «era riuscito a rendere piccola una fortuna immensa». Quando, alla fine, Olympia aveva estinto i debiti, si era ritrovata senza soldi – a parte un gruzzoletto con il quale mantenersi e pagare, in seguito, gli studi di legge – ma con una dotazione di sangue blu e di agganci aristocratici.
Il primo marito, Chauncey Bedham Walker IV, lo aveva conosciuto al college e si erano sposati sei mesi dopo aver conseguito i rispettivi diplomi. Era un ragazzo affascinante, bello, amante del divertimento, dedito a mille attività, e l’aveva ammaliata con i suoi numerosi talenti: capitanava la squadra di canottaggio, era un cavallerizzo provetto, giocava a polo. Olympia se n’era innamorata perdutamente, per niente condizionata dall’immensa fortuna della sua famiglia, ma soprattutto senza notare quei difetti che, nel tempo, si sarebbero rivelati fatali per il matrimonio.
Chauncey, infatti, beveva troppo, aveva l’animo del dongiovanni e le mani bucate. Lavorava nella banca di famiglia – o, per essere più precisi, ci andava quando ne aveva voglia – e trascorreva pochissimo tempo con la moglie, preso com’era a correre dietro a ogni bella donna. Quando Olympia si accorse della vera indole del marito, erano già arrivati tre figli. Il primo, Charlie, era nato dopo due anni di matrimonio e poi era stata la volta delle gemelle, Virginia e Veronica, due bimbe identiche. All’epoca del divorzio, superata la fatidica boa del settimo anno, il grande ne aveva cinque, le gemelline due e lei ventinove. Liberatosi da ogni vincolo, Chauncey aveva lasciato il lavoro in banca e si era trasferito a Newport dalla nonna, decana non solo di quella zona ma anche di Palm Beach, per dedicarsi alle sue attività preferite: il polo e le donne.
Un anno più tardi, l’uomo si era di nuovo sposato con quella che si rivelò essere la compagna ideale per lui, tale Felicia Weatherton. Aveva fatto costruire una casa nella tenuta della nonna – che in seguito gli era stata assegnata in eredità –, aveva riempito la scuderia di cavalli e avuto tre bambine in quattro anni. Un anno dopo le seconde nozze di Chauncey, Olympia si era decisa al grande passo con Harry Rubinstein, un gesto che il suo ex considerava ridicolo se non addirittura alla stregua di un autentico colpo di testa. Il suo orrore era poi schizzato alle stelle quando il figlio maggiore gli aveva raccontato della conversione della madre al giudaismo, notizia che lo aveva scioccato quasi quanto la decisione della ex di laurearsi in giurisprudenza. Lei, dal canto suo, non poteva che rallegrarsi di essersi accorta in tempo dell’abisso che li separava sotto tutti i punti di vista, nonostante l’affinità della loro estrazione sociale. E più passavano gli anni, più si rendeva conto di come le idee di Chauncey, che in gioventù l’avevano attratta, erano lontane anni luce dalle proprie, e sempre lo sarebbero state.
I quindici anni trascorsi dal loro divorzio erano stati caratterizzati da una tregua discontinua e da qualche piccola guerra scoppiata prevalentemente per questioni economiche. Lui le pagava il mantenimento dei figli, certo, ma senza la generosità che ci si sarebbe potuta aspettare da un uomo così ricco. A dispetto della posizione ereditata dai suoi, infatti, non era di manica larga con la prima famiglia, mentre per la seconda non badava a spese. In più, tanto per unire il danno alla beffa, aveva costretto Olympia a giurare di non cercare mai di convincere i tre ragazzi a cambiare religione, possibilità, questa, che lei non aveva neppure considerato, visto che la sua conversione era stata una decisione del tutto personale. Chauncey era un antisemita incallito e l’opinione che Harry aveva di lui non era tra le più lusinghiere. Lo reputava pomposo, arrogante e socialmente inutile. A parte per il fatto che era il padre dei suoi figli e che lo aveva sposato per amore, per Olympia era stato difficile, se non impossibile, trovare in quei quindici anni un singolo motivo per prendere le sue difese. «Pregiudizio» era il suo secondo nome. Non c’era nulla di politicamente corretto né in lui né in Felicia, e Harry non riusciva a capire come avesse fatto la moglie a sopportarlo ininterrottamente per sette anni. Le persone come Chauncey e Felicia, insieme con tutta la cosiddetta società bene di Newport, erano un mistero per lui, che seguitava a volersene tenere alla larga nonostante le spiegazioni che Olympia tentava occasionalmente di dargli.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice newyorchese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Danielle Steel.