Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Ad occhi chiusi di Gianrico Carofiglio. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Ad occhi chiusi: trama del libro
Nelle giornate dell’avvocato Guerrieri, ogni tanto piomba una pratica, di quelle che non portano né soldi né gloria, ma solo nuovi nemici. Lui non riesce a rifiutarla, una specie di molla gli scatta dentro. La nuova pratica di “Ad occhi chiusi” gli prospetta una giovane donna vittima di maltrattamenti che ha avuto il coraggio di denunciare l’ex compagno suo persecutore: nessun avvocato vuol rappresentarla per timore delle persone potenti implicate. E la molla che gliela fa accettare sembra essere la ragazza con un’aura di inquietudine, che una sera si presenta assieme all’amico ispettore di polizia nel suo studio per chiedergli di assumere la difesa della donna tormentata.
Approfondimenti sul libro
In ebook Ad occhi chiusi (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 8,49 euro.
Non c’è nessuno che smetta di fumare.
Si sospende, al massimo. Per giorni. O per mesi; o per anni. Ma nessuno smette. La sigaretta è sempre lì, in agguato. Qualche volta salta fuori nel bel mezzo di un sogno, magari cinque, o dieci anni dopo aver «smesso».
Allora senti il contatto delle dita sulla carta; senti il leggero, sordo, rassicurante rumore che fa quando la batti sul piano della scrivania; senti il contatto delle labbra sul filtro ocra; senti lo scratch del fiammifero e vedi la fiamma gialla, con la base azzurra.
Senti addirittura la botta nei polmoni, e vedi il fumo che si diffonde fra le carte, i libri, la tazzina di caffè.
È allora che ti svegli. E pensi che una sigaretta, una sola non può fare nessuna differenza. Che te la potresti accendere, perché hai sempre quel pacchetto di emergenza chiuso nel cassetto della scrivania, o da qualche altra parte. E poi, naturalmente, ti dici che non funziona così; che se ne accendi una ne accenderai un’altra, e poi un’altra eccetera, eccetera. A volte funziona; altre volte no. Comunque vada, in quei momenti capisci che l’espressione smettere di fumare è un concetto astratto. La realtà è diversa.
E poi ci sono occasioni più concrete dei sogni. Gli incubi, per esempio.
Erano già parecchi mesi che non fumavo.
Tornavo dalla procura della Repubblica dove avevo esaminato gli atti di un procedimento in cui dovevo costituirmi parte civile. E avevo una maledetta voglia di entrare in una tabaccheria, comprare un pacchetto di sigarette forti e aspre – emmesse gialle, magari – e fumarmele fino a spaccarmi i polmoni.
L’incarico me lo avevano dato i genitori di una bambina adescata da un pedofilo. Lui era andato davanti alla scuola, aveva chiamato la bambina, e lei lo aveva seguito. Erano entrati insieme nell’androne di un vecchio palazzo. Una bidella aveva seguito la scena, ed era entrata anche lei nell’androne. Il maiale stava strofinando la sua patta sulla faccia della bambina che teneva gli occhi chiusi e non diceva niente.
La bidella aveva urlato. Il maiale era scappato via alzandosi il bavero. Banale ma efficace, perché la bidella non era riuscita a vederlo bene in faccia.
Quando la bambina era stata sentita con l’aiuto di una brava psicologa era venuto fuori che quella non era stata la prima volta. E nemmeno la seconda o la terza.
I poliziotti avevano fatto bene il loro lavoro, avevano identificato il maniaco, e lo avevano fotografato di nascosto. Davanti all’ufficio comunale dove lavorava come un impiegato modello. La bambina lo aveva riconosciuto. Indicando la fotografia con un dito, battendo i denti e poi distogliendo lo sguardo.
Quando erano andati ad arrestarlo i poliziotti avevano trovato una collezione di foto. Da incubo.
Le foto che avevo visto quella mattina, nel fascicolo.
Avevo voglia di spaccare la faccia a qualcuno. Al maiale, potendo. O al suo avvocato. Aveva scritto che «le dichiarazioni della bambina sono palesemente inattendibili, frutto di fantasie morbose tipiche di taluni soggetti in età prepuberale». Avrei voluto davvero spaccargli la faccia. Avrei voluto spaccarla anche ai giudici del tribunale della libertà, che avevano messo il pedofilo agli arresti domiciliari. In quel provvedimento si leggeva che «per evitare il rischio di reiterazione di pur gravi condotte del tipo di quelle oggetto del procedimento, era sufficiente la restrizione della libertà personale nella forma attenuata degli arresti domiciliari».
Avevano ragione. Tecnicamente avevano ragione. Lo sapevo bene, facevo l’avvocato. Io stesso avevo sostenuto tante volte quel principio. Per i miei clienti. Ladri; truffatori; rapinatori; bancarottieri. Anche qualche spacciatore.
Ma non stupratori di bambini.
Comunque sia, volevo spaccare la faccia a qualcuno.
O fumare.
O fare qualsiasi altra cosa che non fosse rientrare in studio e lavorare.
2
Invece ci andai in studio e lavorai senza fare pause, nemmeno per mangiare qualcosa, fino al pomeriggio inoltrato. Poi dissi a Maria Teresa che avevo da fare una cosa urgente e me ne andai in libreria.
Rimasi a girare fra gli scaffali fino alla chiusura e uscii per ultimo, quando la saracinesca era già mezza abbassata, i commessi stavano tutti in fila vicino alla cassa e mi guardavano senza simpatia.
Feci suonare il campanello di casa di Margherita e aspettai che venisse ad aprirmi.
Avevo le chiavi, ma non le usavo quasi mai. Lo stesso faceva lei per casa mia, due piani più sotto.
Ognuno aveva mantenuto la sua casa, con i libri, i manifesti, i dischi e tutto il resto; il casino, in particolare, per il mio piccolo appartamento. Il suo era un attico, grande, bello e ordinato. Non in modo ossessivo. L’ordine di chi ha il controllo sereno della situazione. Fra i due il controllo ce lo aveva lei, ma per me andava bene così.
L’unico cambiamento era stato a casa sua. Avevamo comprato un letto grandissimo. Il più grande che c’era, e lo avevamo messo nella sua camera da letto. Avevo preso per me l’angolo di un armadio e ci avevo messo un po’ di cose mie. Poi avevo occupato uno scaffale del bagno. E basta.
Spesso restavo a dormire da lei. Ma non sempre. A volte avevo voglia di guardare la televisione fino a tardi – sempre più di rado – a volte volevo leggere fino a tardi. A volte era lei che voleva dormire da sola, senza nessuno intorno. A volte uno dei due usciva con i suoi amici. A volte lei partiva per lavoro ed io restavo a casa mia. Nella sua non entravo mai, quando lei era fuori. Mi mancava già dopo qualche ora che era andata via.
Suonai di nuovo proprio mentre la porta si apriva.
«Nervoso?».
«Sorda?».
«Se vuoi restare digiuno, basta dirlo. Non c’è bisogno di essere obliqui, o fare giri di parole».
Non volevo restare digiuno, e da dentro veniva odore buono di cibo appena cucinato. Alzai le mani all’altezza del petto, mostrai i palmi in segno di resa ed entrai passando fra il suo corpo e lo stipite della porta.
«Ti ho detto che potevi entrare?».
«Ti ho comprato un libro».
Lei mi guardò le mani vuote ed io tirai fuori il sacchetto della libreria dalla tasca del giaccone. Allora chiuse la porta.
«Cos’è?».
«Costantinos Kavafis. È un poeta greco. Ascolta
questa: Itaca».
Aprii il libretto bianco, mi sedetti sul divano e lessi.
«Devi augurarti che la strada sia lunga. / Che i mattini di estate siano tanti / quando nei porti – finalmente, e con che gioia – / toccherai terra tu per la prima volta: / negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli e ambre / tutta merce fina, anche profumi / penetranti d’ogni sorta, più profumi / inebrianti che puoi, / va in molte città egizie / impara una quantità di cose dai dotti. / Sempre devi avere in mente Itaca / raggiungerla sia il pensiero costante. / Soprattutto non affrettare il viaggio; / fa che duri a lungo, per anni…».
Margherita mi prese il libro di mano. Tenendo il segno con un dito guardò la copertina – nessuna illustrazione, c’era solo una poesia, anche lì – passò le dita sul cartoncino bianco e liscio; lesse la quarta. Poi tornò alla poesia che le stavo leggendo e vidi che muoveva le labbra, silenziosamente.
Alla fine rivolse di nuovo lo sguardo verso di me e mi diede un rapido bacio.
«OK. Puoi restare a mangiare. Lavati le mani. Metti un disco ed apparecchia la tavola. Nell’ordine».
Mi lavai le mani. Misi Tracy Chapman. Apparecchiai la tavola e mi versai un bicchiere di vino. Avevo ancora voglia di una sigaretta ma, per quel giorno, il momento peggiore era passato.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Gianrico Carofiglio.