Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Gli onori di casa di Alicia Giménez-Bartlett. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Gli onori di casa: trama del libro
L’ispettrice Petra Delicado e il suo aiutante Fermín Garzón in trasferta a Roma. È stata riaperta una vecchia indagine le cui tracce portano proprio in Italia. I due sono ben contenti della novità. Si tratta di una storia che parte da lontano: un facoltoso imprenditore di Barcellona, Adolfo Siguan, con un debole per le giovani prostitute, rimane vittima di una coppia diabolica, che lo narcotizza per svaligiargli l’appartamento e finisce per ucciderlo sfondandogli la testa. Con l’arresto di Julieta, la ragazza che ha adescato Adolfo, e la morte violenta del suo protettore, il caso pare ormai chiuso, anche se la ragazza giura che non è stato il suo uomo a commettere il delitto ma un misterioso italiano scomparso nel nulla. Passano cinque anni. L’ancor giovane vedova della vittima, che non è mai stata persuasa dall’esito delle indagini, ottiene la riapertura del caso. È qui che entrano in azione Petra e Fermín, che dopo avere fortunosamente rintracciato l’ex prostituta Julieta, ormai riabilitata e uscita di prigione, riescono a farsi rivelare il nome dell’italiano. Sbarcati a Fiumicino, si ritrovano affiancati da due pari grado: un ispettore di Polizia e la sua giovane assistente. L’indagine è più intricata del previsto, piena di avventure e con un drammatico colpo di scena: Petra questa volta rischia davvero.
Approfondimenti
In ebook Gli onori di casa (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Mi svegliai sudata, angosciata e tremante. Non soffro quasi mai di incubi, e così, non appena riuscii a pensare con un minimo di lucidità, mi interrogai sull’esperienza che avevo attraversato. Si trattava di un tipico sogno freudiano con tanto di uccisione della figura paterna? Molto improbabile. Era forse un ritorno del sentimento antifranchista, frustrato per il fatto che il dittatore era morto di vecchiaia dentro un letto? Troppo lambiccato. Smisi di azzardare ipotesi e andai a farmi un caffè. Sarebbero passati mesi prima che potessi riconoscere, contro ogni criterio ragionevole, che si era trattato di un sogno profetico riguardante il mio lavoro.
Ma cominciamo dai fatti e lasciamo da parte i sogni. Tra i compiti affidati alla Policía Nacional vi è quello di rivangare il passato. Sembra un’assurdità, un paradosso, una semplice battuta. Tutti pensano che l’intervento della polizia debba essere rapido, tempestivo, risolutivo, e che il sangue versato, quanto prima si asciuga, meglio è. Vige la convinzione che un agente della Omicidi sia un tizio armato e addestrato per entrare in azione quando il cadavere è ancora fresco o, per meglio dire, ancora tiepidino. E invece no. Capita che i presunti specialisti del tempo presente o, tutt’al più, del passato prossimo, si vedano rispediti verso il passato remoto per dare la caccia ad assassini ormai scomparsi, volatilizzati, dissolti nell’aria. Curioso. Il passato non è territorio esclusivo di storici e poeti, ma appartiene anche a noi piedipiatti. Il crimine ha la sua archeologia.
Questa attività va sotto il nome di «riapertura delle indagini», espressione che richiama alla mente opportunità inedite, folgoranti scoperte, nuovi inizi con rinnovate energie. Eppure, quasi mai è così. Un caso riaperto è una faccenda dannatamente complicata, perché, come si sa, il tempo cancella ogni cosa. Ci sono fascicoli che si riaprono perché un presunto colpevole risulta innocente, magari dopo un test del DNA che ai tempi del delitto non esisteva. Altri, perché il vero colpevole, fuggito all’estero, è rispuntato da qualche parte. Comunque sia, un’indagine costa denaro dei contribuenti, e i casi non vengono riaperti per capriccio.
Il nostro, quello che venne affidato a Garzón e a me, fu rispolverato su richiesta della vedova della vittima. La signora si era messa in contatto col giudice Juan Muro, un veterano che aveva fama di perseguire fino in fondo la verità fino a stanarla, e lo aveva persuaso a riprendere in mano un caso che risaliva a ben cinque anni prima, quando suo marito, di nome Adolfo Siguán, imprenditore tessile sulla settantina, aveva trovato la morte in circostanze scabrose. Il corpo era stato rinvenuto in una casa di sua proprietà, dove si era recato in compagnia di una giovane prostituta di infimo livello. L’omicidio era stato attribuito all’uomo che sfruttava la ragazza, il quale però era stato ucciso a Marbella due mesi dopo. Pur muovendosi su binari apparentemente sicuri, l’indagine si era chiusa con un nulla di fatto: il presunto colpevole non poté mai dire la sua sull’accaduto. La ragazza era finita in carcere con una condanna per complicità in un delitto mai del tutto chiarito, dopo di che col passare dei mesi e degli anni la vicenda era sfumata nell’oblio. Fino al momento in cui il viceispettore ed io ereditammo quel morto già sepolto e rassegnato in silenzio alla sua sorte.
Nella sua insensatezza, il mio collega era già tutto contento, sosteneva che mai prima di allora si era occupato di un caso archiviato e poi riaperto, e che una nuova esperienza lavorativa sarebbe stata molto stimolante.
– Anzi, le dirò, ispettore – tenne a spiegarmi, – lavorativa o privata, ogni esperienza nuova alla mia età è preziosa, come un dono del cielo. Se le dico che soltanto ieri ho assaggiato per la prima volta il pâté di olive, e a momenti piangevo dall’emozione… Un caso riaperto è come una sfida, ed è così che dovremo prendere tutte le complicazioni che presenterà.
Io non ne ero così convinta. Sono più giovane di lui, eppure già da un pezzo le difficoltà hanno smesso di apparirmi come una sfida, per trasformarsi in quello che sono veramente: una grana in più. Non sono una donna fatta per le sfide, la mia mente non si affina davanti alle difficoltà, né il mio impeto raddoppia davanti alle barriere. Non capisco la gente che si prefigge mete sempre più elevate. Per me sono marziani gli alpinisti che scalano vette inarrivabili fino a ritrovarsi con i piedi congelati, e gli atleti che, raggiunto il traguardo, crollano a terra schiantati dalla fatica. Decisamente, la mia natura è meno passionale, a muovermi è un’intenzione che definirei scientifica, se così riesco a farmi capire. Gli scienziati agiscono spinti dall’ansia di sapere, non da una cocciutaggine insensata che conduce sempre lungo la linea ascendente. Forse che Madame Curie scoprì il radio a forza di esclamare: «Il premio Nobel me lo devo guadagnare io, costi quello che costi»? No, per me, e immagino anche per Madame Curie, le cose si fanno per il desiderio di arrivare da qualche parte, per la necessità di rendere più chiaro ciò che si cela nell’oscurità. Però, una volta giunti in porto, perché continuare a gareggiare con se stessi, perché uscire di nuovo in mare alla ricerca di terre più lontane? No. Bisogna saper accettare i propri limiti, saperci convivere, tenerne conto ogni volta che si intraprende una nuova attività. Sarà che ormai i miei limiti li conosco, so bene il peso che hanno sulla mia vita, o sarà che semplicemente sono molto più conservatrice di quanto sia disposta ad ammettere. Sta di fatto che l’idea del caso riscaldato non mi sconfinferava neanche un po’.
E neppure il commissario Coronas faceva salti di gioia. A suo tempo era stata la nostra squadra a condurre le indagini sul caso Siguán, e dover rimestare nelle stesse acque per tentare di far riaffiorare qualcosa gli pareva una penitenza che non credeva di meritare.
– Non ci posso credere! – esclamò. – Con tutte le energie che abbiamo buttato in quella faccenda, adesso ci tocca ricominciare. Ma cosa crede quel giudice del cavolo, che dopo cinque anni la luminosa fiamma della verità potrà levarsi a rischiarare il sacro impero della legge? Gli manca poco alla pensione e si comporta come se fosse fresco di concorso. Lo sanno tutti che se non è saltato fuori nessun indizio nuovo, indagare sul passato è una solenne fesseria.
Ma non poté far altro che adattarsi, il giudice Muro era ben saldo nella sua decisione, e il corpo di Siguán doveva risorgere metaforicamente dalla tomba. Una volta edotta su quanto poco il mio capo apprezzasse la riapertura di quel fascicolo, osai domandare:
– Lei cosa dice, commissario, dobbiamo darci da fare al massimo o possiamo prendercela con calma?
La sua faccia subì, a quelle parole, una metamorfosi singolare, acquistando ipso facto una gran somiglianza con il muso di un pitbull pronto all’attacco.
– Come? Come ha detto, ispettore? Non capisco la domanda. È mai successo in questo commissariato, e sotto i miei ordini, che qualcuno si sia occupato di un caso «prendendosela con calma»? Perché, se così è stato, può stare certa che io non l’ho saputo.
– Era solo un modo di dire.
– Allora cambi registro stilistico, ispettore. Qui le indagini si fanno sempre con impegno, con ardore, con dedizione, a testa bassa, sputando l’anima, sudando sangue, se necessario. Intesi? Voglio che con tutte le vostre forze e la vostra perizia cerchiate di scoprire chi diavolo ha ammazzato il presunto assassino di Adolfo Siguán. Ora più che mai è in gioco l’onore di questo commissariato. A pochi è data la possibilità di rimediare agli errori del passato.
– E non mi risponda come un sergente dei marines! Mi prende in giro, o cosa? Certe volte lei ha il dono di mettermi di cattivo umore, Petra Delicado.
Può darsi che avessi incrementato la sua irritazione, ma sono certa che Coronas era già di umore pessimo prima ancora di parlare con me. E in fondo non era difficile capirlo: dover destinare due persone a un servizio che non gli risolveva il normale carico di lavoro, non era certo un piacere per lui; come non lo era l’eventualità di riconoscere errori commessi in passato. Ma questo non mi riguardava, Garzón ed io a quel tempo eravamo in altre faccende affaccendati, e certo non eravamo stati noi a metterlo in quel pasticcio.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Alicia Giménez-Bartlett.
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