Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Sull’orlo del precipizio di Antonio Manzini. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 8,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Sull’orlo del precipizio: trama del libro
Cosa succederebbe se tutte le principali case editrici italiane si trovassero raggruppate sotto un’unica sigla? Giorgio Volpe è il più grande scrittore italiano, una potenza nel campo delle lettere. Alla consegna del nuovo romanzo “Sull’orlo del precipizio”, scopre che una cordata di investitori ha inghiottito la sua casa editrice. Ora al comando sono caricature in completo scuro che odiano le metafore e “amano le saponette se il pubblico vuole saponette”. Cercando una via di fuga editoriale come un uomo che annega cerca l’aria, Giorgio affonda nel grottesco e nell’angoscia di chi vede messa in discussione la propria libertà di espressione. Antonio Manzini ha scritto una satira spietata ed esilarante. Una distopia alla Fahrenheit 451, dove è il mondo dei libri a bruciare se stesso e non un potere esterno.
Approfondimenti sul libro
In ebook Sull’orlo del precipizio (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 5,49 euro.
Come sto? si chiedeva.
Felice? A pezzi? Frustrato? Commosso?
Le emozioni si avvicendavano con la frequenza dei battiti cardiaci, e tutte gli si adattavano al corpo come abiti cuciti da una mano di alta sartoria.
Era il momento di salvare il documento e andare a dormire.
Ma non riusciva a prendere sonno. Parole e frasi gli danzavano davanti agli occhi. E i dubbi lo assalivano stringendogli la gola. L’indomani, 3 ottobre 2015, avrebbe consegnato il manoscritto alla sua editor. Per molti un giorno come un altro, ma per i suoi lettori una data da segnarsi sull’agenda. L’aspettavano da due anni, sei mesi e tredici giorni. Tutti in attesa di chiudersi in casa, prendersi le ferie, congedarsi in malattia non retribuita e mettersi a leggere l’ultima fatica di Giorgio Volpe.
Pochi erano gli scrittori che potevano ostentare un palmarès come il suo. I premi importanti li aveva vinti tutti. Le vette delle classifiche di vendita erano per lui un luogo familiare. La mala bestia, Cinquecento giorni all’inferno, Facce… erano stati tre dei suoi maggiori successi. Tutte le trasposizioni cinematografiche avevano mietuto il favore della critica e soprattutto l’entusiasmo del pubblico. Il suo ultimo romanzo, Mar dei Sargassi, aveva frantumato sei record di vendita. Ora toccava a Sull’orlo del precipizio. Ottocento pagine che raccontavano la storia della sua famiglia, del nonno, del padre, nella vecchia casa di campagna. I fascisti, la liberazione, la Democrazia Cristiana, il fallimento della sinistra, il fallimento di una famiglia. Di un paese. Di un continente. Il suo romanzo più difficile e amaro, quello che emotivamente gli era costato di più, che in quei due anni e mezzo di gestazione non gli aveva dato tregua neanche per un’ora. Pensava a quel tomo complesso e denso, non sapeva più come giudicarlo. Da giorni andava dicendo a sua moglie Bianca e a Maurizio Piazza, l’unico collega che stimava e con il quale riusciva a farsi delle lunghe e sincere chiacchierate, che quel libro poteva essere la sua tomba o la sua consacrazione.
«Amico mio» aveva detto qualche mese prima a Maurizio, anche lui scalatore di classifiche e accaparratore di premi, «non so più cosa dire. Lo guardo, lo leggo, e non mi rendo più conto. Che cosa ho scritto? Forse ho buttato due anni di vita. Forse è una cacata… ma sai cosa ti dico, Maurizio? Meglio, così esco da questo incubo, da quest’ansia da prestazione. Giorgio Volpe ha scritto una schifezza! Bene, tutti felici, del resto aspettavano da anni il mio cadavere sulle sponde del fiume? Eccolo! Giorgio Volpe è finito, non sa più scrivere!».
Maurizio Piazza avrebbe voluto leggerlo in anteprima, era certo che quelle ottocento pagine fossero un capolavoro, ma Giorgio non aveva voluto. «No, Maurizio, no. È una responsabilità solo mia. Darti il libro significherebbe costringerti a un’opinione che ti inchioderebbe e che magari un domani non ti sentiresti di cambiare, anche se lo desiderassi. Non voglio mettere a rischio il nostro rapporto, no».
Come fosse un problema di carattere privato, familiare, Giorgio si era preso tutta la responsabilità dello scritto non condividendo la traccia narrativa neanche con la sua editor, Fiorella Chiatti, che lavorava al suo fianco da quasi 25 anni, e che il giorno dopo l’avrebbe avuto sulla scrivania. Prima lettrice insieme a Francesco Carucci Viterbo, il direttore editoriale della Gozzi, la più grande casa editrice del paese.
Riuscì a prendere sonno solo alle tre e mezza mentre un vento freddo portava nuvole nere su Genova e sul mare.
Alle sette del mattino il cielo vomitava acqua e il mare nero sparava onde e spruzzi sugli scogli. Mentre mangiava delle fette biscottate, accese la televisione. Gli era passato di mente, ma quello era un giorno importante per l’editoria anche per un altro evento di dimensioni nazionali. Le tre maggiori case editrici, la Gozzi, la Bardi e la Malossi, si univano per diventare il più importante polo editoriale di tutti i tempi. Un gigante che avrebbe spazzato via la concorrenza, con un controllo del mercato quasi totale. L’operazione era stata criticata ferocemente. Dardi, frecce e missili terra-aria erano partiti da tutte le testate giornalistiche, tranne quelle controllate dai tre editori, per abbattere quell’unione che cronisti e critici avevano definito unabbraccio mortale. I detrattori prefiguravano nell’editoria un futuro disastroso, monocromatico, totalitarista. Chi invece vedeva di buon occhio quell’unione parlava di miglioramento dell’offerta, di crescita del mercato editoriale. «È il capitalismo, baby!» aveva titolato un quotidiano nazionale. «Capitalismo alla cinese!» aveva risposto in un editoriale al vetriolo un giornale della fazione opposta.
A quel dibattito che poco aveva catturato l’attenzione degli italiani, poco interessati ai libri, neanche fossero portatori sani di qualche epidemia medioevale, Giorgio Volpe aveva assistito silenzioso dal quarto piano vista mare della sua casa. L’amico e collega Maurizio invece era convinto che l’acredine e la violenza di certi scrittori e certi giornalisti fossero dettate dall’invidia, dal fatto di non appartenere a nessuna di quelle tre scuderie. «È così…» diceva Piazza al telefono. «Ma se non sei dentro uno di questi gruppi forse è meglio farsi una domanda. Non sei pubblicato da Gozzi Bardi e Malossi? Bene, amico mio, non sarà che non sei all’altezza? Giorgio, fratello mio, per stare qui dentro devi reggere il mercato. Tu lo capisci, io lo capisco, invece mi sembra che i nostri colleghi se lo dimentichino!».
Maurizio era un po’ troppo venale, Giorgio lo sapeva, attaccato com’era alle rendicontazioni e ai quattrini. Era un difetto che a volte aveva frenato la sua creatività togliendo alla scrittura la generosità e l’imprevedibilità che avevano segnato i suoi esordi di narratore. Ma un talento così naturale sorreggeva anche la mancanza di ispirazione.
«È una questione di libertà di espressione» provava a ribattere Giorgio. «Se a comandare è solo uno, detteranno anche le linee editoriali…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore romano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Antonio Manzini.
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