Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La pazienza del ragno di Andrea Camilleri, romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99 ed è l’ottavo tra i volumi dedicati al commissario Montalbano.
La pazienza del ragno: trama del libro
L’inchiesta più dura del commissario Montalbano comincia con un cadavere pescato per caso in alto mare. L’incrocia Montalbano mentre nuota al limite dello stordimento per lavarsi di dosso una notte di cattivi pensieri e malumori. I fatti politici, certi eventi di repressione poliziesca, l’atteggiamento verso gli immigrati: tutto cospira a farlo sentire un isolato, e il cadavere anonimo, destinato a restare senza giustizia, archiviato da banale caso di clandestino immigrato, sembra armonizzarsi macabramente con il suo senso di solitudine. Per il commissario è una sfida, che lo scuote dal proposito di dimettersi, e lo spinge in una inchiesta doppia, su delitti apparentemente indipendenti e accomunati solo dalla ferocia.
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«Lei era col commissario?».
«Sì, dottore».
«Si chiama?».
«Fazio, dottore».
«Da quand’è che è avvenuto il ferimento?».
«Mah, dottore, il conflitto c’è stato verso le tre e mezzo. Quindi poco più di una mezzorata fa. Dottore…».
«Sì?».
«È grave?».
Stava stinnicchiato senza cataminarsi, con l’occhi inserrati, e perciò tutti si erano fatti persuasi che era fora conoscenza e quindi potivano parlari apertamente. Invece sintiva e capiva ogni cosa, era a un tempo strammato e lucito, solo che gli ammancava la gana di raprire la vucca e arrisponniri lui stisso alle domande del dottore. Le gnizioni che gli avivano fatto per non fargli sintiri duluri si vede che facivano effetto in ogni parte del corpo.
«Ma non dica fesserie! Dovremo solo estrarre la pallottola che è rimasta dentro».
«O Madonna Santa!».
«Ma non si agiti così! È una sciocchezza! Oltretutto non credo proprio che abbia fatto molto danno; l’uso del braccio, con un po’ di esercizi di riabilitazione, tornerà al cento per cento. Mi scusi, ma perché continua a essere così preoccupato?».
«Vede, dottore, qualche giorno fa il commissario se ne andò da solo a fare un sopraluogo…».
Macari ora, come allora, sta tenendo l’occhi inserrati. Ma non sente più le parole, cummigliate dalla rumorata forte della risacca. Dev’esserci vento, la persiana sutta alle folate trimolìa tutta, fa una specie di lamentìo. Meno male che è ancora in convalescenza, accussì può restarsene quanto voli sutta le coperte. A questo pinsèro si sente sollevato e s’addecide a raprire l’occhi a fessura.
Pirchì non sintiva più a Fazio che parlava? Raprì l’occhi a fessura. I dù si erano tanticchia allontanati dal letto, erano vicini alla finestra, Fazio parlava e il dottore in càmmisi bianco ascutava serio serio. E tutto ’nzemmula seppe che non aviva bisogno di sintiri le parole per sapiri quello che Fazio stava dicendo al dottore. L’amico sò Fazio, il sò omo fidato lo stava tradendo come Giuda, stava evidentemente contando al dottore il fatto di quando era restato senza forze sulla spiaggia, doppo quel gran duluri al petto che gli era vinuto in mare… E ora figurati i medici a sintiri la bella novità! Prima di levargli quella pallottola mallitta gli faranno passari i guadolino, lo talieranno dintra e fora, lo spurtuseranno, gli solleveranno la pelle a pezzo a pezzo per vidiri quello che c’è sutta…
La sò càmmara di letto è come sempre. No, non è vero. È diversa ma è sempre la stissa. Diversa pirchì sul tangèr ora ci stanno cose di Livia, la borsetta, le forcine, dù flaconcini. E sulla seggia che si trova dalla parte opposta ci sono una cammisetta e una gonna. E macari se non lo vidi sa che da qualichi parte vicino al letto c’è un paro di pantofole rosa. S’intenerisce. Si scioglie, ammoddra dintra, si liquefa. Da vinti jorni gli è venuta questa strofella nova alla quale non arrinesci a porre rimeddio. Che basta un nenti a portarlo, a tradimento, sull’orlo della commozione. E di questa situazione di fragilità emotiva si vrigogna, s’affrunta, è costretto a elaborare complesse difese pirchì gli altri non se ne addunino. Ma con Livia no, con lei non ce l’ha fatta. E Livia ha deciso d’aiutarlo, di dargli una mano trattandolo con una certa durezza, non vuole offrirgli pretesti di cedimenti. Ma è tutto inutile, pirchì macari questo amoroso atteggiamento di Livia lo porta a un misto di commozione e cuntintizza. Pirchì è contento che Livia si sia jocate tutte le vacanze per dargli adenzia e sa che macari la casa di Marinella è contenta che ci sia Livia. La sò càmmara di letto, a taliarla alla luce del sole, da quanno c’è lei è come se avesse ripigliato colore, come se le pareti fossero state ripittate di luminoso bianco. Dato che non c’è nisciuno a taliarlo, s’asciuca una lagrima con la punta del linzolo.
Tutto bianco e in quel bianco solo il marrone (una volta era rosa? Quanti secoli fa?) della sua pelle nuda. Bianca la sala indovi gli stanno facendo l’elettrocardiogramma. Il dottore talia la longa striscia di carta, scote la testa dubitevole. Montalbano, atterrito, s’immagina che il grafico che quello sta taliando sia preciso ’ntifico alla traccia lasciata dal sismografo durante il terremoto di Messina del 1908. Gli è capitato di vidirlo riprodotto su una rivista storica: un groviglio dispirato e insensato, come tracciato da una mano impazzita di scanto.
«Mi hanno scoperto!» pensa. «Si sono addunati che il mio cori funziona a corrente alternata, alla sanfasò, e che ho avuto minimo minimo tri infarti!».
Doppo, nella càmmara trase un altro medico, càmmisi bianco macari lui. Talia la striscia, talia Montalbano, talia il collega.
«Rifacciamolo» dice.
Forse non cridono ai loro occhi, non si fanno capaci come un omo con quell’elettrocardiogramma sia ancora in un letto di spitale e non supra un tavolo di marmaro d’obitorio. Taliano la nova striscia, stavolta con le teste vicine vicine.
«Facciamogli il telecuore» sentenziano, più confusi che pirsuasi.
Montalbano avrebbe gana di dire a loro che, stando accussì le cose, tanto vale manco estrargli la pallottola. Lo lascino moriri in pace. Però, mannaggia, non ha pinsato di fari testamento. La casa di Marinella, per esempio, deve andare sicuramente a Livia senza che si faccia avanti qualichi cugino di quarto grado a reclamare diritti.
Già, pirchì da qualichi anno la casa di Marinella è sò. Pinsava che non ce l’avrebbe fatta mai ad accattarisilla, costava troppo per lo stipendio che aviva e che gli consentiva scarsi risparmi. Po’, un jorno, il socio di sò patre gli aviva scritto dicendogli che era pronto a liquitargli la quota paterna della casa di produzione vinicola che ammontava a una cifra considerevole. E accussì non solamente aviva avuto i soldi per accattarsi la casa, ma gliene erano restati assà da mettere in banca. Per la vicchiaia. E quindi era necessitato a fari testamento, datosi che, senza volerlo, era addivintato un signore che aviva delle proprietà. Ma ancora, una volta nisciuto dallo spitale, non si era addeciso ad andare dal notaro. Nel caso però che si fosse finalmente pirsuaso ad andarci, a Livia toccava la casa, questo era fora discussione. A François… a quel suo figlio che non era sò figlio, ma avrebbe potuto esserlo, sapiva benissimo cosa lassari. I soldi per accattarsi una bella machina. Vidiva già la facci sdignata di Livia. Ma come? Lo vizii accussì? Sissignura. Un figlio che non è un figlio ma che avrebbe potuto (dovuto?) esserlo va viziato assà di più di un figlio che è figlio. Ragionamento a coda di porco, d’accordo, ma sempre ragionamento. E a Catarella? Pirchì di sicuro Catarella nel sò testamento doviva comparire. E che gli lassava? Libri di certo no. Tentò di farsi tornari a mente una vecchia canzuna d’alpini che si chiamava «Il testamento del capitano» o qualichi cosa di simile, ma non ci arriniscì. Il ralogio! Ecco, a Catarella avrebbe lassato il ralogio di sò patre che il socio gli aviva fatto pervenire. Accussì si sarebbe sintuto pirsona di famiglia. Il ralogio, era l’unica.
Il ralogio nella càmmara indovi ci stavano facenno il telecuore non arrinesce a leggerlo pirchì davanti all’occhi tiene una specie di velo grigiastro. I dù medici sono impignati a taliare una specie di televisore, attentissimi, ogni tanto spostano un mouse.
Uno, quello che lo doviva operare, si chiama Strazzera, Amedeo Strazzera. Stavolta dalla machina non viene fora una strisciolina di carta, ma una serie di fotografie, o qualichi cosa di simile. I dù medici taliano e ritaliano, alla fine suspirano come stremati da una caminata lunghissima. Strazzera s’avvicina a lui, mentre il collega s’assetta supra una seggia naturalmente bianca, e lo talia severo. Doppo si cala in avanti. Montalbano pensa che ora il dottore gli dirà:
«La deve finire di fingersi vivo! Si vergogni!».
Come faciva la poesia?
«Il pover’uom, che non se n’era accorto, / andava combattendo ed era morto».
Invece quello non parla e principia ad ascutarlo con lo stetoscopio. Come se non l’aviva fatto già una vintina di volte! Alla fine si raddrizza, talia il collega, spia:
«Che facciamo?».
«Io lo farei vedere a Di Bartolo» dice l’altro.
Di Bartolo! Una leggenda. Montalbano l’aviva accanosciuto tempo avanti. Oramà un vecchio ultrasittantino, sicco, varbetta bianca che gli faciva una facci di capra, incapace d’adattarsi alla convivenza civile, alle buone maniere. Pare che una volta aviva detto a uno accanosciuto come spietato usuraio, doppo averlo visitato a modo sò, che non era in grado di dirgli nenti pirchì non era arrinisciuto a localizzare il cori. E un’altra volta, a un tale, mai visto avanti, che si stava pigliando un cafè al bar: «lo sa che le sta venendo un infarto?». E il bello è che a quello l’infarto gli era immediatamente vinuto, macari pirchì glielo aviva appena detto un luminare come Di Bartolo. Ma pirchì quei due volivano chiamari a Di Bartolo se non c’era più nenti da fare? Forse volivano far vidiri al vecchio maestro il fenomeno che lui era, uno che inspiegabilmente continuava a campare con il cori che pariva Dresda doppo il bombardamento dell’americani.
In attesa, decidono di riportarlo nella sò càmmara. Mentri raprono la porta per far trasiri la barella, sente la voci di Livia che lo chiama, dispirata:
«Salvo! Salvo!».
Non ha gana d’arrispunniri. Mischina! Era arrivata a Vigàta per passari qualichi jorno con lui e invece ha attrovato questa bella surprisa.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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