Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Le perfezioni provvisorie di Gianrico Carofiglio. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Le perfezioni provvisorie: trama del libro
Le giornate di Guido Guerrieri trascorrono in equilibrio instabile fra il suo lavoro di avvocato – un nuovo elegante studio, nuovi collaboratori, una carriera di successo – e la solitudine venata di malinconia delle sue ore private. Antidoti a questa malinconia: il consueto senso dell’umorismo, la musica, i libri e le surreali conversazioni con il sacco da boxe, nel soggiorno di casa. Tutto inizia quando un collega gli propone un incarico insolito: cercare gli elementi per dare nuovo impulso a un’inchiesta di cui la procura si accinge a chiedere l’archiviazione. Manuela, studentessa universitaria a Roma, figlia di una Bari opulenta, è scomparsa in una stazione ferroviaria, inghiottita nel nulla dopo un fine settimana trascorso in campagna con amici. Inizialmente Guerrieri esita ad accettare l’incarico, più adatto a un detective che a un legale. Poi, scettico e curioso a un tempo, inizia a studiare le carte e a incontrare i personaggi coinvolti nell’inchiesta. Tra questi, la migliore amica di Manuela, Caterina. Una ragazza dei suoi tempi giovane, bella, immediata al limite della sfrontatezza. L’avvocato, diviso fra imbarazzo e attrazione, si lascia accompagnare da lei nel ricostruire il mondo segreto di Manuela e le ragioni della sua scomparsa.
Approfondimenti sul libro
In ebook Le perfezioni provvisorie (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Tutto cominciò con un’innocua telefonata di un vecchio compagno di università.
Sabino Fornelli fa l’avvocato civilista. Quando un suo cliente ha un problema penale, lui chiama me, mi passa il caso e poi non vuole saperne più niente. Come molti civilisti, pensa che gli uffici giudiziari penali siano posti malfamati e pericolosi, e preferisce tenersene alla larga.
Un pomeriggio di marzo, mentre ero impegnato a studiare un ricorso che avrei dovuto discutere il giorno dopo in cassazione, Sabino Fornelli mi chiamò. Erano parecchi mesi che non ci sentivamo.
«Ciao Guerrieri, come stai?».
«Bene, e tu?».
«Come sempre. Mio figlio è andato a farsi tre mesi di scuola negli Stati Uniti».
«Bello. Ottima idea, avrà qualcosa da ricordarsi».
«Anch’io avrò qualcosa da ricordarmi: da quando è partito mia moglie mi massacra con la sua ansia, e io sto per diventare pazzo».
Continuammo ancora per qualche minuto con questi convenevoli, poi arrivammo al punto. C’erano due
suoi clienti che dovevano parlarmi di una cosa molto delicata e anche urgente. Abbassò il tono della voce, quando disse delicata e urgente, in un modo che mi parve un po’ ridicolo. Il caso più grave che fino ad allora mi aveva passato Fornelli era una drammatica vicenda di ingiurie, percosse e violazione di domicilio.
Insomma, considerati i precedenti non ero troppo incline a prendere sul serio la classificazione di delicatezza e urgenza dei casi che mi passava Sabino Fornelli.
«Domani vado a Roma, Sabino, e non so a che ora rientro. Dopodomani è sabato, e dunque puoi farli venire – diedi una rapida occhiata all’agenda – lunedì sul tardi, dopo le otto. Di che si tratta?».
Ci fu una breve pausa.
«Va bene per dopo le otto. Ma vengo anch’io, li accompagno, così ti spieghiamo insieme. È meglio, per una serie di ragioni».
Toccò a me fare una breve pausa. Non era mai accaduto che Fornelli accompagnasse al mio studio i clienti che mi passava. Stavo per chiedergli quali erano queste buone ragioni e per quale motivo non poteva accennarmi niente al telefono, ma qualcosa mi trattenne. Così dissi va bene, ci saremmo visti da me lunedì alle otto e mezza, e chiudemmo la comunicazione.
Rimasi qualche minuto a chiedermi di cosa potesse trattarsi. Non trovai una risposta e alla fine tornai al mio ricorso per cassazione.
Due
Andare in cassazione mi piace. I giudici sono quasi sempre preparati, è raro che qualcuno venga a dormire in udienza, i presidenti, con le dovute eccezioni, di regola sono piuttosto cortesi, anche quando ti chiedono di parlare poco e di non far perdere troppo tempo.
A differenza di quello che succede nei tribunali e soprattutto nelle corti d’appello, in cassazione si ha l’impressione di un mondo ordinato e di una giustizia che funziona. Trattasi soltanto di una impressione, perché il mondo non è ordinato e la giustizia non funziona. Ma è una bella impressione. Per questi motivi sono in generale di buon umore quando devo andare a fare un processo in cassazione, anche se mi tocca alzarmi la mattina presto.
Era una bella giornata, fredda e luminosa. L’aereo, sovvertendo le mie banali previsioni, partì e arrivò puntuale.
Nel tragitto in taxi fra l’aeroporto e la cassazione feci un’esperienza singolare. L’auto era appena partita quando notai una decina di libri in edizione economica ammucchiati sul sedile anteriore di destra. Quando vedo libri in giro per una casa mi incuriosisco subito. Figuriamoci se li vedo in un taxi, che non è il posto in cui abitualmente se ne trovano. Diedi un’occhiata alle copertine. C’erano un paio di gialli di bassa lega, ma anche Luci nella notte di Simenon, Una questione privata di Fenoglio e persino una raccolta di poesie di García Lorca.
«Come mai ha quei libri, lì?».
«Li leggo, fra una corsa e l’altra».
Giusto. Risposta asciutta a domanda idiota. Cosa si fa dei libri? Si leggono.
«Sa, gliel’ho chiesto perché non è così… frequente trovare dei libri, tanti libri, in un taxi».
«Non è vero, però. Ci sono parecchi miei colleghi cui piace leggere».
Parlava quasi senza accento, e sembrava fare attenzione alla scelta delle parole. Sembrava maneggiarle con cautela, come fossero oggetti delicati e anche un po’ pericolosi. Lame.
«Ah, certo, immagino. Però lei ha proprio una specie di biblioteca».
«È perché mi piace leggere più libri contemporaneamente. Dipende dall’umore. Così ne tengo diversi, poi alcuni li finisco, rimangono in macchina e allora si forma un piccolo mucchio».
«Anche a me piace leggere più libri contemporaneamente. Cosa sta leggendo adesso?».
«Un romanzo di Simenon. Mi piace anche perché una parte della storia si svolge in macchina, e io sto sempre in macchina. Ho l’impressione di capirlo meglio, per questo. E poi le poesie di García Lorca. La poesia mi piace molto, anche se è più impegnativa. Poi, quando sono stanco, leggo quell’altro». Indicò uno dei gialli commerciali. Non disse né il nome dell’autore né il titolo, e mi parve giusto. Mi parve ci fosse tutta un’estetica, precisa, tagliente e conclusiva, nel modo in cui mi aveva parlato delle sue letture in corso, e della loro implicita gerarchia. La cosa mi piacque. Cercai di guardargli il viso, un po’ nel profilo in fuga, un po’ nell’immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Poteva avere trentacinque anni, era pallido e aveva un’ombra di timidezza negli occhi.
«Come mai ha questa passione per la lettura?».
«Se le racconto la storia non ci crede».
«Me la racconti».
«Fino a ventotto anni non avevo mai preso un libro in mano, a parte quelli della scuola. Ma lei deve sapere che io avevo un difetto: balbettavo. Balbettavo proprio forte. È una cosa che ti può rovinare la vita, sa?».
Annuii. Poi mi resi conto che non poteva vedermi, non bene almeno.
«Sì, credo di immaginare. Però lei parla benissimo» dissi. Ma ripensavo al modo cauto, alla circospezione con cui maneggiava le parole.
«A un certo punto non ce l’ho fatta più. Sono andato da una logoterapista e ho seguito un corso per guarire dalla balbuzie. E in questo corso ci facevano leggere dei libri, ad alta voce».
«Ed è così che ha cominciato?».
«Sì. Ho scoperto i libri. Poi il corso è finito e io ho continuato a leggere. Dicono che nella vita non succede niente per caso. Può darsi che avessi la balbuzie perché dovevo scoprire i libri. Non lo so. Però la mia vita è completamente cambiata, da allora. Nemmeno riesco a ricordarmi come passavo le giornate, prima».
«Beh, è una bella storia. Mi piacerebbe che capitasse a me qualcosa di simile».
«In che senso? Non le piace leggere?».
«No, no, mi piace moltissimo. Forse è la cosa che mi piace di più. Volevo dire che mi piacerebbe un cambiamento straordinario, come quello che è capitato a lei».
«Ah, capisco» disse. E poi rimanemmo in silenzio mentre l’auto percorreva fluidamente la corsia preferenziale della via Ostiense.
Arrivammo in piazza Cavour senza trovare un solo ingorgo. Il mio amico tassista lettore si fermò, spense il motore e si girò verso di me. Pensai stesse per dirmi quanto dovevo e portai la mano al portafoglio.
«C’è una frase di Paul Valéry…».
«Sì?».
«Dice, più o meno, così: il modo migliore per realizzare i propri sogni è svegliarsi».
Rimanemmo qualche istante a guardarci. C’era qualcosa di più complicato della timidezza, negli occhi di quell’uomo. Come un’abitudine alla paura, una disciplina per governarla, sapendo che era e sarebbe stata sempre lì, in agguato. Nei miei occhi credo ci fosse stupore. Mi chiesi se avessi mai letto qualcosa di Valéry. Non ne ero sicuro.
«Ho pensato che questa frase potesse ispirarla, per via di quello che ha detto prima. Sul cambiamento. Non so se agli altri capita la stessa cosa, ma io ho voglia di condividere quello che leggo. Quando ripeto una frase che ho letto, o un concetto, o una poesia, mi sembra un po’ di esserne l’autore. Mi piace molto».
Disse le ultime parole con un tono quasi di scusa. Come se si fosse reso conto d’un tratto che poteva essere stato invadente. Così mi affrettai a rispondere.
«Grazie. Capita anche a me, da quando ero un ragazzino. Non ero mai stato capace di dirlo così bene, però».
Prima di scendere dall’auto gli diedi la mano e mentre me ne andavo a fare l’avvocato pensai che invece avrei preferito restare lì, a parlare di libri e di altre cose.
Ero in anticipo di almeno un’ora. Il processo lo conoscevo benissimo, non c’era nessuna necessità di riguardare le carte e dunque decisi di fare una passeggiata. Attraversai il Tevere passando dal ponte Cavour. L’acqua era giallo-verde, lanciava riflessi scintillanti di mercurio e metteva allegria. C’era poca gente in giro, pochi rumori di macchine attutiti e voci indistinte, in sottofondo. Ebbi la sensazione, forte e deliziosamente insensata, di una quiete grandiosa, allestita per il mio uso personale. Qualcuno ha detto che i momenti di felicità ci prendono di sorpresa e a volte – spesso – non ce ne accorgiamo nemmeno. Scopriamo di essere stati felici soltanto dopo, che è una cosa assai stupida. Mentre camminavo verso l’Ara Pacis mi tornò in mente un ricordo di tanti anni prima
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Gianrico Carofiglio.