Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il peso della farfalla di Erri De Luca. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 7,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il peso della farfalla: trama del libro
Il re dei camosci è un animale ormai stanco. Solitario e orgoglioso, da anni ha imposto al branco la sua supremazia. Forse è giunto il tempo che le sue corna si arrendano a quelle di un figlio più deciso. E novembre, tempo di duelli: è il tempo delle femmine. Dalla valle sale l’odore dell’uomo, dell’assassino di sua madre. Anche l’uomo, quell’uomo, era in là negli anni, e gran parte della sua vita era passata a cacciare di frodo le bestie in montagna. E anche quell’uomo porta, impropriamente, il nome di “re dei camosci” – per quanti ne aveva uccisi. Ha una Trecento magnum e una pallottola da undici grammi: non lasciava mai la bestia ferita, l’abbatteva con un solo colpo. Erri De Luca spia l’imminenza dello scontro, di un duello che sembra contenere tutti i duelli. Lo fa entrando in due solitudini diverse: quella del grande camoscio fermo sotto l’immensa e protettiva volta del cielo e quella del cacciatore, del ladro di bestiame, che non ha mai avuto una vera storia da raccontare per rapire l’attenzione delle donne, per vincere la sua battaglia con gli altri uomini. “In ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove,” dice De Luca. E qui si racconta, per l’appunto, di questi due animali che si fronteggiano da una distanza sempre meno sensibile, fino alla pietà di un abbraccio mortale.
Approfondimenti sul libro
In ebook Il peso della farfalla (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 3,99 euro.
Orfano insieme alla sorella, senza un branco vicino, imparò da solo. Crebbe di una taglia in più rispetto ai maschi della sua specie. Sua sorella fu presa dall’aquila un giorno d’inverno e di nuvole. Lei si accorse che stava sospesa su di loro, isolati su un pascolo a sud, dove resisteva un po’ di erba ingiallita. La sorella si accorgeva dell’aquila pure senza la sua ombra in terra, a cielo chiuso.
Per uno di loro due non c’era scampo. Sua sorella si lanciò di corsa a favore dell’aquila, e fu presa.
Rimasto solo, crebbe senza freno e compagnia. Quando fu pronto andò all’incontro con il primo branco, sfidò il maschio dominante e vinse. Divenne re in un giorno e in duello.
I camosci non vanno a fondo nello scontro, stabiliscono il vincitore ai primi colpi. Non cozzano come gli stambecchi e le capre. Abbassano la testa al suolo e cercano di infilare le corna, appena curve, nel sottopancia dell’altro. Se la resa non è immediata, agganciano il ventre e lo squarciano tirando indietro il collo. Di rado arrivano a questo finale.
Con lui fu diverso, era cresciuto senza regole e le impose. Il giorno del duello c’era sopra di loro il magnifico cielo di novembre e in terra zolle di neve fresca, ancora minoranza. Le femmine vanno in estro prima dell’inverno e mettono al mondo i figli in piena primavera. A novembre si sfidano i camosci.
Entrò nel campo del branco all’improvviso, sbucando dall’alto giù da un salto di roccia. Le femmine fuggirono coi piccoli dell’anno, restò il maschio che scalciò sull’erba con gli zoccoli anteriori.
In alto si ammucchiarono ali nere di cornacchie e gracchi. Sospese sulle correnti ascensionali guardarono il duello aperto a libro sotto di loro. Il giovane maschio solitario avanzò, batté zoccolo a terra e soffiò secco. Lo scontro fu violento e breve. Le corna dello sfidante si aprirono una breccia nella difesa e il corno sinistro agganciò il ventre dell’avversario. Lo squarciò con un chiasso di strappo e in alto strepitò il frastuono di ali. Gli uccelli proclamavano il vinto a loro destinato. Il camoscio sventrato fuggì perdendo viscere, inseguito. Le ali si tolsero dal cielo e scesero in terra a divorarle. La fuga del vinto si spezzò di netto, s’impuntò e cadde sopra il fianco.
Sul corno insanguinato del vincitore si posarono le farfalle bianche. Una di loro ci restò per sempre, per generazioni di farfalle, petalo a sbattere nel vento sopra il re dei camosci nelle stagioni da aprile a novembre.
Quel mattino di novembre si svegliò stanco. Da molti anni dominava il territorio, sfidato da nessuno. I figli suoi cresciuti nella società delle madri non conoscevano la sua asprezza. Sotto di lui non c’erano duelli. I maschi grandi andavano in esilio in cerca di altri branchi.
Fu tempo di pace nel loro regno, si moriva per la caccia dell’uomo e dell’aquila. Ai predatori, di fondovalle e di cielo, i camosci pagavano il debito di abitare il regno. L’uomo si caricava la cattura sulle spalle e la portava a valle, l’aquila consumava sul posto e poi prendeva la rincorsa in discesa per rimettersi in volo.
L’aquila a terra è goffa. Appesantita dal pasto è poco più di un tacchino. Va via sopra le zampe corte e prima di salire tocca e rimbalza a terra un po’ di volte. Un’aquila sazia a terra è vulnerabile.
Il re dei camosci ne aveva uccisa una sopra un altipiano. Aveva aspettato che si appesantisse e poi l’aveva attaccata. L’aquila non riusciva a prendere quota, affannava bassa. Il branco sbigottito da lontano aveva visto il loro re buttarsi a muso a terra addosso all’aquila che scappava e ricadeva. Il re con un colpo di corno sinistro l’aveva trafitta a mezz’aria mentre si abbassava. Ferita, poi l’aveva calpestata saltandole sopra con gli zoccoli, lasciandola a morire. Non si era mai visto, nel regno dei camosci.
Quel mattino di novembre si svegliò stanco e seppe che era all’ultima stagione di supremazia. Le sue corna si sarebbero arrese a quelle di un suo figlio più deciso. Ne aveva già dovuto ferire uno al ventre, senza andare a fondo, uno che scalpitava. Uno di loro avrebbe sparso le sue budella al prato e lui sarebbe stato una carcassa sconfitta e svuotata. Non doveva finire così, meglio scomparire, in quello stesso inverno e non farsi trovare.
Non dormiva col branco, neppure nell’autunno della monta. Aveva diversi rifugi notturni, sotto mughi scavati, in grotte sospese sopra rocce friabili dove l’uomo non poteva salire neanche con l’odore. Scendeva al branco in ore diverse, con la nebbia, prima dell’alba, dopo il tramonto. Non dava a nessuno il vantaggio di prevederlo. Al suo arrivo le femmine gli andavano incontro e i giovani maschi piegavano il ginocchio ad abbassarsi.
Quel giorno di novembre il re riconobbe il declino. Il cuore batteva più lento dei duecento colpi al minuto, spinta che dà ossigeno agli slanci in salita e li fa superare in leggerezza.
Gli zoccoli del camoscio sono le quattro dita del violinista. Vanno alla cieca e non sbagliano millimetro. Schizzano su strapiombi, giocolieri in salita, acrobati in discesa, sono artisti da circo per la platea delle montagne. Gli zoccoli del camoscio appigliano l’aria. Il callo a cuscinetto fa da silenziatore quando vuole, se no l’unghia divisa in due è nacchera di flamenco. Gli zoccoli del camoscio sono quattro assi in tasca a un baro. Con loro la gravità è una variante al tema…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Erri De Luca.
Molto Bello!
Riassunto molto apprezzato!!!
Grazie mille!!