Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Pet Sematary di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Pet Sematary: trama del libro
In una limpida giornata di fine estate, la famiglia Creed si trasferisce in un tranquillo sobborgo residenziale di una cittadina del Maine. Non lontano dalla loro casa, al centro di una radura, sorge Pet Sematary, il cimitero dei cuccioli, un luogo dove i ragazzi del circondariato, secondo un’antica consuetudine, usano seppellire i propri animaletti. Ma ben presto la serena esistenza dei Creed viene sconvolta da una serie di episodi inquietanti e dall’improvviso ridestarsi di forze oscure e malefiche. Uno dei primi classici del Maestro del Brivido.
Il comitato per le ricerche, all’università, si era mosso lentamente; trovare un alloggio che consentisse di fare il pendolare casa-ateneo era stato allucinante; quando finalmente furono in prossimità del punto dove lui era convinto che si trovasse la casa – i punti di riferimento sono tutti esatti… come i segni astrologici la notte prima dell’uccisione di Cesare, pensò morbosamente Louis – erano tutti stanchi, in tensione e con i nervi a fior di pelle. Gage stava mettendo i dentini e si lamentava quasi di continuo. Non voleva dormire, e Rachel aveva un bel cantare e ninnarlo. Arrivò perfino a offrirgli il seno, sebbene avesse ormai smesso di allattarlo. Gage, sul proprio svezzamento, la sapeva lunga quanto lei – di più, forse – e immediatamente la morsicò con i suoi dentini nuovi nuovi. Rachel, che ancora non era del tutto convinta su quel trasferimento nel Maine da Chicago, dove aveva sempre vissuto, scoppiò in pianto. Eileen, senza perdere tempo, la imitò. Nel retro della giardinetta, Church continuava ad aggirarsi, irrequieto, come aveva fatto nei tre giorni che avevano impiegato per arrivare fin lì da Chicago. I miagolii che mandava dalla sua cesta erano stati un tormento, ma quel suo incessante aggirarsi dopo che si erano arresi, alla fine, e l’avevano lasciato libero, era stato quasi altrettanto snervante.
Lo stesso Louis aveva una mezza voglia di piangere. Gli venne d’improvviso un’idea pazzesca, ma in fondo attraente: avrebbe proposto di tornare indietro fino a Bangor per mangiare qualcosa, in attesa che arrivasse il furgone con i mobili e, una volta scesi i suoi tre affetti più cari, avrebbe schiacciato l’acceleratore a tavoletta e sarebbe filato via a razzo, lasciando che il grosso carburatore della giardinetta ingurgitasse benzina super a go-go. Avrebbe fatto tutta una tirata verso sud fino a Orlando, in Florida, dove avrebbe cercato lavoro come medico a Disney World, sotto falso nome. Ma prima di imboccare l’autostrada – la vecchia e ampia Novantacinque, diretta a sud – si sarebbe fermato sul margine della carrozzabile per scaricare anche quel dannato gatto.
Aggirarono un’ultima curva e apparve la casa che soltanto lui aveva visto, fino a quel momento. Una volta ottenuta la certezza che l’incarico all’Università del Maine era suo, era venuto lì in aereo per esaminare ciascuna delle sette possibilità che avevano preso in considerazione in base alle foto, e su quella era caduta la sua scelta: una grande e vecchia casa coloniale del New England (ma sistemata e rimodernata di recente: le spese di riscaldamento, sebbene paurose, non erano esagerate in termini di consumo), tre grandi stanze al piano terreno, altre quattro al piano superiore, una lunga tettoia che, con il tempo, poteva trasformarsi in altre stanze, il tutto circondato da un prato lussureggiante, rigogliosamente verde perfino in quel caldissimo agosto.
Dietro la casa c’era un vasto campo dove i bambini potevano giocare, e al di là del campo c’erano boschi che si stendevano quasi a perdita d’occhio. La proprietà confinava con terreni demaniali, aveva spiegato l’agente immobiliare, e non si prevedevano nuove costruzioni, almeno in un prossimo futuro. I superstiti della tribù degli indiani Micmac avevano avanzato pretese su quasi ottomila acri a Ludlow e nelle località a est di Ludlow, e la complicata vertenza, che coinvolgeva il governo federale oltre quello dello stato, poteva protrarsi fino al nuovo secolo.
Rachel smise bruscamente di piangere. Si tirò su. «È quella?»
«Quella, sì», disse Louis. Era in apprensione o, per meglio dire, in ansia. Anzi, era terrorizzato. Aveva ipotecato dodici anni della loro vita per quella casa; prima che fosse del tutto pagata, Eileen avrebbe compiuto diciassette anni.
Deglutì. «Che ne dici?»
«Dico che è bella», fu il commento di Rachel, che gli tolse un gran peso dallo stomaco… e dalla mente. Lei diceva sul serio e lo si vedeva dal modo come guardava la casa mentre svoltavano nel viale asfaltato che girava tutt’attorno fino alla tettoia sul retro, passando in rassegna con gli occhi le finestre vuote, la fantasia già al lavoro su cose come le tende, le incerate per foderare gli armadietti e Dio sa cos’altro.
«Papà?» disse Ellie dal sedile dietro. Anche lei aveva smesso di piangere. Perfino Gage aveva finito di frignare. Louis assaporava quel silenzio.
«Cosa, cara?»
Incontrò gli occhi della piccola, castani sotto i capelli d’un biondo scuro, riflessi nello specchietto retrovisore. Stavano a loro volta esaminando la casa, il prato, il tetto di un’altra casa sulla sinistra, in distanza, e il grande campo che si stendeva fin dentro i boschi.
«È casa nostra?»
«Lo diventerà, tesoro», rispose lui.
«Urrà!» urlò lei, quasi sfondandogli un timpano. E Louis, che Ellie aveva a volte il potere di irritare terribilmente, capì che non gli importava affatto non posare neppure lo sguardo su Disney World, a Orlando.
Parcheggiò davanti alla tettoia e spense il motore dell’auto.
Rimase solo il rombo del raffreddamento. Nel silenzio, che sembrava enorme dopo Chicago, e la congestione di State Street e del Loop, un uccello cantava dolcemente nel tardo pomeriggio.
«La nostra casa», mormorò Rachel, sempre guardandosi intorno.
«Casa», ripeté compiacente Gage, che lei teneva in grembo.
Louis e Rachel si fissarono. Nello specchietto retrovisore gli occhi di Eileen si spalancarono.
«Hai…»
«Sbaglio o…»
«Ma era…»
Parlarono tutti insieme, poi risero tutti insieme. Gage non ci badò; continuava placidamente a succhiarsi il pollice. Diceva «mamma» da circa un mese, ormai, e aveva fatto uno o due tentativi di dire «paaa», o forse era solo un pio desiderio da parte di Louis.
Ma quella, vuoi per caso o per imitazione, era stata una parola intelligibile. Casa.
E quello fu il loro arrivo a Ludlow.
2
Nella memoria di Louis Creed, quel particolare momento conservò sempre un che di magico: in parte, forse, perché fu realmente magico, ma soprattutto perché il resto della serata fu un incubo. Nelle tre ore che seguirono, non vi fu segno né di pace né di magia.
Louis aveva preparato con cura le chiavi di casa (era un uomo ordinato e metodico, Louis Creed), chiudendole in una bustina sulla quale aveva scritto: CHIAVI DELLA CASA DI LUDLOW, RICEVUTE IL 29 GIUGNO. Poi, le aveva messe nel vano portaoggetti della macchina. Di questo era assolutamente certo. Ora, non c’erano.
Mentre lui le cercava, sempre più irritato, Rachel prese in braccio Gage e seguì Eileen verso l’albero là nel campo. Lui stava guardando per la terza volta sotto il sedile dell’auto quando sua figlia urlò e poi cominciò a piangere.
«Louis!» chiamò Rachel. «Si è fatta male!»
Eileen era caduta dall’altalena e aveva battuto il ginocchio su un sasso. Il taglio non era profondo, ma lei gridava (fu l’intimo commento, poco generoso, di Louis) come chi ha perso una gamba. Louis guardò verso la casa dall’altra parte della strada, dove c’era una luce accesa nel soggiorno.
«Avanti, Ellie, ora basta. Quella gente, là dentro, penserà che qualcuno venga assassinato.»
«Ma mi fa maleeeee!»
Louis lottò con il bisogno di esplodere e si avviò in silenzio verso la macchina. Le chiavi erano scomparse, ma la cassetta del pronto soccorso era ancora al suo posto. La prese e tornò. Quando Ellie la vide, cominciò a urlare più forte che mai.
«No! Quella roba che brucia non la voglio! Non voglio, papà, brucia! No…»
«Eileen, è soltanto mercuriocromo, e non brucia affatto…»
«Da brava, su», disse Rachel. «Sei grande, ormai. È solo…»
«No-no-no-no-no-no…»
«Smettila, sai, o tra poco ti brucerà il sedere», minacciò Louis.
«È stanca, Lou», intervenne sottovoce Rachel.
«Sì, a chi lo dici. Tienile tesa la gamba.»
Rachel posò Gage e tenne la gamba di Eileen, che Louis pennellò di mercuriocromo nonostante i lamenti isterici della figlia.
«È uscito qualcuno, dal portico di quella casa là di fronte», annunciò Rachel. Riprese in braccio Gage, che aveva cominciato ad allontanarsi gattoni tra l’erba.
«Bella figura», mormorò Louis.
«Lou. la bambina è…»
«È stanca, lo so.» Riavvitò il tappo del mercuriocromo e guardò sua figlia. «Fatto. E non hai sentito male neanche un po’. Confessa, Ellie.»
«Sì, invece! Fa male! Fa maaaale…»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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