Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Polvere negli occhi di Agatha Christie. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto).
Polvere negli occhi: trama del libro
Un giorno come tanti nell’ufficio del signor Fortescue. COme sempre la signorina GRasvenor, la segretaria personale del Direttore, alle dieci prepara il tè per il suo datore di lavoro. Ma questa volta accade qualcosa di assolutamente inatteso: subito dopo aver bevuto, il signor Fortescue viene colpito da terribili dolori e muore. Nelle tasche del cadavere, inspiegabilmente, viene ritrovata una manciata di chicchi di segale. Le indagini, subito avviate da Scotland yard, si ocncentrano attorno al Villino dei Tassi, la casa che il signor Fortescue divideva con alcuni famigliari, ma proprio qui ben presto si verifica un secondo omicidio. Il caso vuole che la seconda vittima si auna conoscente di Miss Marplee sarà proprio l’acuta vecchietta, con la sua logica implacabile, a risolvere l’intricata e bizzarra vicenda. un giallo classico, scritto nel 1953, caratterizzato da una soluzione finale al tempo stesso semplice e sbalorditiva
Approfondimenti sul libro
Polvere negli occhi è in vendita anche in formato eBook al prezzo di euro 7,99.
Versò il tè e portò in giro le tazze con sul piattino un paio di biscotti zuccherati e mollicci perché non del tutto freschi.
«Ci siamo di nuovo, Somers! L’acqua non bolliva ancora» esclamò in tono brusco la signorina Griffith, la sbrigativa dattilografa in capo dai capelli grigi, un autentico caporale, che lavorava alla Consolidated Investments Trust da sedici anni. La faccia mansueta e preoccupata della signorina Somers si tinse lievemente di rosa. «Oh, povera me! Stavolta ero proprio convinta che bollisse!» rispose.
“Forse durerà ancora per un altro mese, e proprio perché siamo sovraccarichi di lavoro” disse tra sé la signorina Griffith. “Ma… insomma! Se penso al pasticcio che quella cretina ha combinato con la lettera alla Eastern Developments… un lavoretto di una semplicità incredibile; e, poi, sempre così maldestra quando deve preparare il tè. Se non fosse tanto difficile trovare dattilografe brave e capaci… Fra l’altro, la scatola di latta dei biscotti non deve essere stata chiusa bene, l’ultima volta, direi! Davvero…”
Come tanti altri monologhi segreti della signorina Griffith anche questo rimase in sospeso.
In quel momento entrò, incedendo lentamente, la signorina Grosvenor che doveva preparare, secondo una specie di sacro rito, il tè per il signor Fortescue. Per lui c’erano un tè differente, una tazza differente e biscotti speciali. Soltanto il bricco e l’acqua presa dal rubinetto del bagno erano gli stessi. Ma in tale occasione, visto che si trattava del tè per il signor Fortescue, l’acqua era bollente. A questo provvedeva la signorina Grosvenor di persona. La signorina Grosvenor era una biondina incredibilmente affascinante che indossava un piccolo tailleur nero di ottimo taglio e aveva le gambe inguainate nelle migliori e più costose calze di nylon che il mercato nero potesse offrire.
Attraversò con andatura regale la stanza delle dattilografe senza degnare nessuno né di una parola né di uno sguardo. Per quel che la riguardava, le dattilografe avrebbero potuto essere altrettanti scarafaggi. La signorina Grosvenor era la segretaria privata del signor Fortescue, e anche se le malelingue avevano sempre lasciato cadere velate allusioni al fatto che fosse non solo quello ma qualcosa di più, ciò non corrispondeva assolutamente a verità. Il signor Fortescue, di recente, si era risposato e la seconda consorte, molto bella e di gusti dispendiosi, era pienamente in grado di far concentrare su di sé tutte le sue attenzioni. La signorina Grosvenor costituiva, per il signor Fortescue, soltanto un elemento necessario al décor dell’ufficio che, fra l’altro, era molto lussuoso ed elegante.
La signorina Grosvenor tornò indietro reggendo il vassoio come se fosse stato un’offerta rituale. Attraversò l’ufficio della segreteria, la sala d’aspetto dov’era concesso sedersi ai clienti più importanti e il proprio ufficio, una specie di anticamera di quello del principale. E infine, dopo aver bussato garbatamente, entrò nel sancta sanctorum del signor Fortescue.
Questo era un ampio locale con il pavimento lucidissimo sul quale erano stesi alcuni tappeti orientali di pregio. Le pareti apparivano rivestite di una boiserie chiara e, qua e là, si vedevano gruppi di ampie e accoglienti poltrone imbottite di cuoio beige. Dietro un’enorme scrivania in acero, centro e punto focale della stanza, sedeva il signor Fortescue.
Benché il suo aspetto fosse meno imponente di quel che avrebbe richiesto un ambiente tanto fastoso, il signor Fortescue cercava di fare del suo meglio per esserne all’altezza. Era corpulento, flaccido, con una luccicante testa calva. Una sua tipica affettazione era quella di indossare comodi completi in tweed, da campagna, anche quando veniva in ufficio, in città. Stava osservando, accigliato, alcune carte che aveva davanti quando la signorina Grosvenor, con movenze sinuose da cigno, gli si avvicinò. Deponendo il vassoio in modo che lo avesse a portata di mano, mormorò con voce bassa e impersonale: «Il vostro tè, signor Fortescue» e si ritirò.
Tornata alla sua scrivania, la signorina Grosvenor si accinse a sbrigare altre incombenze. Fece un paio di chiamate telefoniche, corresse alcune lettere già dattiloscritte che aspettavano solo la firma del signor Fortescue, e rispose a una telefonata.
«Temo che al momento sia impossibile» disse in tono sussiegoso. «Il signor Fortescue è in riunione.»
Mentre posava il ricevitore sulla forcella, guardò l’orologio. Le undici e sette minuti.
Fu a questo punto che uno strano suono filtrò attraverso la porta quasi completamente insonorizzata dell’ufficio del signor Fortescue. Per quanto soffocato, era perfettamente riconoscibile: si trattava di un urlo strozzato di dolore lancinante. Nello stesso momento, dal telefono interno sulla scrivania della signorina Grosvenor, si levò un susseguirsi di prolungati e frenetici richiami. La segretaria, dopo essere rimasta impietrita per un istante, si alzò in piedi con aria incerta. Di fronte all’imprevisto, aveva perduto il suo abituale contegno sofisticato. Comunque, si diresse ugualmente verso la porta dell’ufficio del signor Fortescue con le solite movenze flessuose, bussò leggermente ed entrò.
Lo spettacolo che trovò davanti rese ancora più vacillante il suo autocontrollo. Il principale, seduto alla scrivania, sembrava in preda a dolori atroci. I suoi movimenti convulsi erano allarmanti da osservare.
«Oh, santo cielo, signor Fortescue! Non vi sentite bene?» domandò la signorina Grosvenor e, subito, si rese conto di aver fatto una domanda stupida. Perché non c’erano dubbi: il signor Fortescue era in condizioni preoccupanti. Quando gli si avvicinò, la sua segretaria si accorse che continuava a essere in preda a convulsioni dolorose e spasmodiche.
Dalle labbra gli sfuggì, a singulti, qualche parola: «Il tè… cosa accidenti… ci avete messo dentro… Chiamate aiuto… presto, fate venire un medico…».
La signorina Grosvenor scappò dalla stanza. L’altezzosa e bionda creatura affascinante di poco prima sembrava scomparsa per lasciare il posto a una povera ragazza terrorizzata, che aveva completamente perduto la testa.
Entrò a precipizio nell’ufficio delle dattilografe, gridando: «Il signor Fortescue ha le convulsioni… Sta morendo… Bisogna chiamare un dottore… Ha un aspetto spaventoso… sono sicura che è in agonia.»
Le reazioni furono immediate, e di vario genere.
«Se è un accesso di epilessia, bisogna mettergli un turacciolo in bocca. Chi ne ha uno?» disse la signorina Bell, che era la più giovane delle dattilografe.
Ma nessuno aveva un turacciolo.
«Alla sua età è probabile che si tratti di un colpo apoplettico» disse la signorina Somers.
«Dobbiamo chiamare un medico… immediatamente»disse la signorina Griffith.
Però, stavolta, malgrado l’abituale efficienza, non fu all’altezza della situazione perché, anche se lavorava in quell’ufficio da sedici anni, non aveva mai avuto necessità di fare niente del genere. C’era il suo medico personale, d’accordo, ma stava a Streatham Hill. Dove se ne poteva trovare uno un po’ più vicino?
Nessuno lo sapeva. La signorina Bell afferrò l’elenco del telefono e cominciò a cercare i dottori sotto la D. Ma non si trattava dell’elenco per categorie e, quindi, i dottori non erano rintracciabili automaticamente come i posteggi dei taxi. Qualcuno suggerì un ospedale, ma quale? «Dev’essere quello giusto» insistette la signorina Bell «altrimenti non vengono. Per la faccenda della Sanità nazionale, voglio dire. Dev’essere l’ospedale di zona.»
Qualcuno propose di chiamare il 999 ma la signorina Griffith, sconvolta di fronte a una simile prospettiva, affermò che non lo si poteva assolutamente fare perché sarebbe stato come chiamare la polizia. Certo che, per essere cittadine di uno Stato in cui esisteva un Servizio sanitario pubblico, quel gruppetto di donne, tutte discretamente intelligenti, dimostrò di possedere una notevole ignoranza in materia. La signorina Bell si mise a scorrere l’elenco telefonico sotto la lettera A per Ambulanze.
«C’è il suo medico personale… Ne avrà pure uno!» fece notare la signorina Griffith. E qualcuno corse a prendere la rubrica degli indirizzi privati. Intanto lei si decise a spedire fuori il fattorino perché cercasse un dottore, di qualsiasi genere, ovunque lo trovasse. Nella rubrica degli indirizzi privati, poi, rintracciò il nome di Sir Edwin Sandeman, con lo studio in Harley Street. La signorina Grosvenor, che era crollata di schianto su una seggiola, si mise a piagnucolare con una voce singolarmente meno sussiegosa e sofisticata del solito: «Io ho preparato il tè come sempre… Davvero!… Non poteva esserci dentro niente che gli facesse male.»
«Che gli facesse male?… Nel tè?» La signorina Griffith rimase immobile, con la mano sospesa sul disco del telefono. «Ma cosa state raccontando?»
«L’ha detto lui… il signor Fortescue… Ha detto che era stato il tè…»
A questo punto la mano della signorina Griffith rimase incerta fra il numero del medico e il 999. «Si potrebbe fargli bere dell’acqua con un po’ di senape dentro… Ma, subito» insistette la signorina Bell, giovane e piena di buona volontà. «Non abbiamo senape in ufficio?»
No, non avevano senape in ufficio.
Poco dopo il dottor Isaacs di Bethnal Green e Sir Edwin Sandeman si incontrarono nell’ascensore mentre due diverse ambulanze venivano ad arrestarsi davanti al portone del palazzo. Il telefono e il fattorino avevano fatto il loro dovere.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittrice britannica rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Agatha Christie.
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